Caro Diario, come ti ho già raccontato qui la prima volta che mi sono ritrovato faccia a faccia con Raffaele Gaito è stato lo scorso Venerdì a Milano, con lui che usciva e io che tornavo in albergo perché avevo dimenticato il mio telefono in camera. Gli ho chiesto se mi aspettava, mi ha risposto di sì, e così pochi minuti dopo la strada verso Campus Party l’abbiamo fatta insieme, e così abbiamo vissuto insieme anche la preparazione del mio speech e del suo, e così mentre in treno tornavo verso casa volevo scrivergli in chat «quando conosci una persona da 10 minuti e ti sembra di conoscerla da 10 anni, allora quella persona è speciale» e invece l’ha scritto prima lui a me e allora naturalmente ho lasciato perdere.
Come dici amico diario? Questioni di feeling? Direi di sì, però anche questione di comunità, di sangue e di link, di amicizie vere e di vite condivise, per esempio prima del nostro incontro con Giuseppe Jepis Rivello e dopo con Emanuele Cavaliere Gaito, il fratello di Raffaele, che come avrebbe detto mio padre «non farti meraviglia» se uno di questi giorni ti racconto di lui, anche perché Raffaele come avevo immaginato ha fatto tutto da solo, è bastato fargli le tre domande che mi piacciono tanto e il resto è venuto da sé.
Come faccio ogni volta gli ho chiesto innanzitutto di raccontarsi attraverso le cose e i mondi che gli piacciono e quelle/i che invece no, e leggi un po’ qui che cosa mi ha risposto:
«Amo leggere, ma non riesco a staccarmi dai libri cartacei. Sono uno che vive di digitale, ma quando si parla di libri tira fuori il lato romantico e non riesce a rinunciare alla carta, a quell’odore e a quella sensazione sotto le dita che un ebook non ti darà mai.
Amo il caffè, in tutti i modi. Anche se la moka vince su tutto. Per me la pausa caffè è fatta di gestualità, di dosare l’acqua attentamente, di mettere quel mezzo cucchiaino in più di miscela che fa tutta la differenza, di tenere la fiamma bassa per non bruciarlo.
Amo il cinema e le serie tv, di ogni tipo. Non esagero se dico che Lost mi ha cambiato la vita. È stata un’esperienza crossmediale senza precedenti che ha portato la narrazione seriale su confini dove nessuno si era mai spinto.
Amo Batman, soprattutto quello che rappresenta. Alla domanda “supereroi si nasce o si diventa?” Batman ti fa capire che chiunque può diventarlo. E mentre la massa si concentra sul fatto che è ricco, pochi fanno attenzione al fatto che si allena senza sosta.
E poi amo tante altre cose: la birra, soprattutto quella belga; cucinare, soprattutto i primi; viaggiare, ma non per lavoro; la tecnologia, ma senza esagerare; scrivere, anche se lo faccio troppo poco; mettermi alla prova, di continuo.
Non amo David Lynch. È il regista più sopravvalutato di sempre e sarebbe ora che qualcuno lo dica.
Non amo Superman e quello che rappresenta. È troppo facile fare il bullo su un pianeta che non è il tuo, quando sei un alieno con i poteri.
Non amo lavorare troppo a lungo sulle stesse cose, mi annoia e mi spegne. Mi nutro di stimoli continui.
Non amo gli stacanovisti e i workaholic. Lavorare fino a tardi e tutti i weekend non è figo, è stupido.
Non amo la piega che hanno preso le conversazioni online. Siamo stati dei cretini a rovinare internet e forse è troppo tardi per tornare indietro.
E poi non amo tante altre cose: stare in fila; disegnare; il cavolfiore; le critiche non costruttive; i cocktail dolci.»
Come dici caro Diario? Immagini la faccia che ho fatto quando ho letto che è stupido lavorare fino a tardi e tutti i weekend? Immagini male, non ho fatto nessuna faccia, a parte che non sono stakanovista e workaholic neanche sapevo cosa significa e adesso lo so, non è che perché io e Raffaele siamo amici quello che vale per lui debba valere per forza anche per me. Invece di preoccuparti della mia faccia leggi che cosa mi ha risposto quando gli ho chiesto di raccontarmi i suoi lavori, tutti i suoi lavori, compresi quelli apparentemente meno importanti:
«Nelle estati delle scuole medie e superiori ho fatto di tutto: dal volantinaggio in strada, all’aiutare mio nonno nei campi, passando per fare l’imbianchino con mio fratello.
Ho avuto il primo computer molto tardi, ma ne sono rimasto subito affascinato e coinvolto in pieno. Fin da subito ho capito che si trattava di un potentissimo strumento di lavoro e non solo di svago.
E quindi negli anni i lavoretti estivi si trasformarono in lavori al PC: montavo i filmati dei matrimoni, assemblavo i computer agli amici, configuravo computer nuovi, realizzavo i primi siti web.
Poi con l’università ho fatto il salto e quella vena imprenditoriale che avevo di sottofondo ha trovato sfogo in diversi modi. Mi sono pagato l’università con varie attività di impresa, dal mondo dei siti web al mondo delle app passando per tutto ciò che c’è stato in mezzo. Ho fatto il programmatore per una vita. Però più andavo avanti e più mi appassionavo agli aspetti di marketing e di business. Contemporaneamente mi rendevo conto che amavo troppo la programmazione per farne un lavoro. In più c’era il fatto che non me la sono mai cavata male a parlare in pubblico e quindi ecco che, piano piano, c’è stato il cambio di rotta, e così sono finito a fare il docente all’università, a parlare nelle più grosse conferenze italiane, a realizzare corsi online e a fare formazione di ogni tipo, dai bambini delle elementari ai manager in giacca e cravatta. Sì, Vincenzo, con gli anni ho realizzato che adoro scambiare e trasmettere conoscenza.
Questo ultimo periodo è molto particolare. Sono stabile in Inghilterra da un po’ e per questo motivo ho cercato di ridurre le attività time consuming come la consulenza classica per dare spazio ad attività a più alto valore come la formazione. Mi sto concentrando molto su progetti personali e di personal branding (blog, video e tanto altro).
Lavorare con l’Italia vivendo all’estero ti mette in una posizione privilegiata, riesci a essere più distaccato e obiettivo nei giudizi, a riconoscere i tanti limiti del nostro Belpaese e allo stesso tempo a coglierne le potenzialità, che non sempre sono sotto gli occhi di tutti.
Questa prima metà del 2017 è quindi molto particolare: alterno settimane nelle quali sono immerso nel verde di Cambridge e lavoro dai suoi suggestivi baretti, sorseggiando caffè di pessima qualità con musica Jazz in sottofondo e settimane in cui passo le giornate tra aerei e camere d’albergo. Ho superato abbondantemente i 30 voli presi dall’inizio dell’anno e per quanto dall’esterno possa sembrare eccitante e adrenalinico, la verità è che è anche incredibilmente stancante e, a volte, alienante.»
Che cosa stai farfugliando amico mio? Se l’avessi avuto sottomano a questo punto Raffaele l’avrei abbracciato? È inutile che sfotti, l’avrei abbracciato e anche baciato se me lo avesse permesso, perché è facile per voi che ve ne state fermi da una parte dire «che vita interessante che fai, sempre in viaggio, sempre in posti diversi.» Che ne sapete voi della sindrome di Proust? Dell’angoscia che ti prende quando ti svegli la notte e non sai da che parte devi scendere dal letto, non sai se stai a casa tua o a Milano, a Londra o a Roma. Lasciamo perdere va, che è meglio, leggi piuttosto che cosa mi ha risposto Raffaele quando gli ho chiesto di dirmi perché per lui il lavoro è importante, vale:
«Guarda Vincenzo, i miei nonni erano, rispettivamente, una contadina, un carpentiere e due commercianti, insomma il lavoro è stato sempre una cosa importante nella mia famiglia. Sono cresciuto col concetto che potevo comprarmi quello che potevo permettermi e quindi ho iniziato a lavorare fin da ragazzino, dando al lavoro il giusto peso e rispetto, vedendolo non solo come un sacrificio ma anche come un’opportunità per essere indipendente. Per dirne una, a 10-12 anni compravo le bustine di figurine dei calciatori, poi le aprivo e vendevo le figurine singole, in base a quanto erano rare o famose. Non penso che possa contare come un vero lavoro, ma credo che dia l’idea di un certo spirito imprenditoriale che mostravo fin da piccolo.
Come ti dicevo prima, l’equilibrio tra lavoro e vita privata è per me una cosa fondamentale e così negli ultimi anni una delle cose più importanti che ho imparato è a saper dire di no. Può sembrare una banalità ma non lo è affatto. La capacità di dire di no cambia tutto: ti fa lavorare su meno cose, ti fa scegliere attentamente i progetti a cui dedicarti, ti fa capire che molte cose nelle quali ti butti sono delle perdite di tempo, e così via. Che poi, alla fine, non ti sto dicendo niente di nuovo, questi sono i capitoli 11, 12 e 13 del tuo Manifesto: fare bene le cose è bello; fare bene le cose è giusto; fare bene le cose conviene. Sì, conviene a noi e agli altri.»
Ecco amico Diario, questo è un po’ di Raffaele, che dopo tanto tempo che lo conoscevo nel mondo dei bit sono stato felice di conoscerlo anche nel mondo degli atomi. L’ho detto anche a Cinzia, magari quando andiamo a Londra ci fermiamo anche da lui, ne ho parecchi di amici italiani che fanno belle cose da quelle parti, magari ci tiro fuori un bel reportage. Però adesso che ci penso forse è meglio di no, se lavoro mentre sono in vacanza questa volta si arrabbiano in due, Cinzia e Raffaele, e una la posso reggere, due no, sono troppi anche per me.