Totò, siente

Caro Diario, mi raccomando, leggi bene, Totò, con la «o» stretta, forma contratta di Totore, diminuitivo di Salvatore, perché quest’uomo qui merita ogni attenzione, e ti assicuro che non c’entra niente il fatto che gli ho voluto bene assai.
A Salvatore Staiano devo un sacco di cose importanti, a partire dal posto di lavoro, che fu lui quasi 40 anni fa a fare un vero e proprio blitz per assumermi al sindacato dei chimici della Cgil, che anche a quel tempo le difficoltà erano tante e assumere uno come me che non veniva dalla fabbrica ma dall’università non era considerato proprio il massimo.
Del resto era fatto così. Tosto assai, ti teneva sempre sul filo, ti metteva alla prova in cento maniere diverse, e però poi quando aveva deciso aveva deciso, non si fermava neanche di fronte alle cannonate. Ora non è che posso mettermi qui e raccontare tutta la storia, che ci vorrebbe un libro, però per dirvi di che pasta era fatto Salvatore vi racconto quello che mi disse sul finire di un memorabile pomeriggio del Gennaio 1978.
«Guagliò – esordì  -, nel sindacato ci sono due tipologie di compagni: l’attivista e il dirigente. L’attivista è quello che fa volantinaggio, attacca i manifesti, distribuisce le tessere, fa il servizio d’ordine durante le manifestazioni e così via. Bada bene, sono tutte attività fondamentali per la vita di un’organizzazione come la nostra, senza attivisti una organizzazione non può esistere e funzionare bene, ma di attivisti ce ne sono tanti, quelli che mancano sono i dirigenti, gli uomini capaci di decidere, di farsi ascoltare, di guidare, di assumersi responsabilità. O dimostri di saper dirigere, o per te qua non c’è spazio».

Ecco amico Diario, assieme alla distinzione tra uomini e caporali, che debbo al film di Totò, e a quella tra le cose che vengono prima e quelle che vengono dopo, che debbo a mio padre, questa tra attivisti e dirigenti che debbo a Salvatore è stata una pietra miliare della mia esistenza.
Cosa aggiungere ancora? Che di Salvatore mi hanno sempre impressionato la capacità di coltivare le intelligenze e la voglia di farle lavorare assieme, attorno al mensile «Sedicipagine», nella definizione di una piattaforma rivendicativa, nell’organizzazione di un’esperienza indimenticabile come il corso di formazione per 50 quadri e dirigenti di una settimana presso la scuola sindacale di Ariccia dove, avevo 22 anni, ho visto un pezzetto di una tappa del Tour de France seduto a fianco di Luciano Lama mentre il cuore mi batteva a mille all’ora. E poi il fatto che sapeva “metterci la faccia” sempre, in anni in cui in Cgil, diciamo quelli precedenti all’ascesa di Sergio Cofferati, noi del sindacato dei chimici venivamo spesso criticati perché ritenuti troppo moderati e poco conflittuali.
Volete sapere la mia verità? Avevamo il torto di pensare che la lotta é uno degli strumenti per raggiungere un obiettivo – la conquista o la difesa di un diritto, un pò di soldi in più in busta paga, un lavoro meno nocivo, un maggior riconoscimento della professionalità, la valorizzazione del lavoro di gruppo -, e non un esercizio rivoluzionario, e poi quando preparavamo una piattaforma contrattuale non ci mettevamo dentro tutto, perché sapevamo che tutto non l’avremmo avuto, e allora facevamo delle scelte, perché, continuo ad esserne convinto ancora oggi, con i lavoratori è meglio essere chiari fin dal principio.
Comunque la verità non è che conta sempre, e soprattutto non sempre permette di veder riconosciuto il tuo lavoro. Più le difficoltà erano grandi e più Salvatore ti ripeteva fino all’ossessione che bisognava lavorare di più e con maggiore impegno. Lavorare, lavorare e lavorare. Prendendo ad esempio sempre quelli che lavoravano più di te ed erano più bravi di te. Fermo restando che se invece si trattava di parlare di quello che guadagnavi, la prospettiva cambiava immediatamente, perché bisognava guardare sempre a quelli che stavano peggio di te. Tu gli dicevi «Salvatò, ma questo me lo dice anche papà», e lui ti rispondeva «e allora?, tuo padre ti dice cose giuste».
Ricordo ancora le mattine in cui arrivavo in sede e gli dicevo «Totò siente», con lui che mi rispondeva «che vvuò», io che gli dicevo «niente» e lui che mi faceva «dai dimmi, ti vedo turbato, hai litigato con tua moglie, tuo figlio ha la febbre, cosa è successo?». A quel punto io mi mettevo là seduto e gli raccontavo velocemente i fatti miei, lui ad ascoltare mi ascoltava tranquillo tutto il tempo ma poi alla fine il commento era sempre lo stesso: «stai tranquillo, vedrai che poi si risolve tutto; sono problemi di abbondanza, il fatto è che state troppo bene».
Mi dovete credere, mi arrabbiavo in un modo esagerato, gli dicevo «ma io con te che ci parlo a fare che tanto per te sono sempre problemi di abbondanza», e allora lui sorrideva, e quel suo sorriso mi faceva infuriare ancora di più e dicevo a me stesso che non gli avrei detto più niente, fino al successivo «Totò, siente».

È grazie a maestri come Salvatore che mi sono potuto dare un futuro inesorabile come il passato. Si, sono stato fortunato assai, perché nelle varie fasi della mia vita ho avuto maestri così, persone tra loro profondamente diverse eppure accomunati da alcuni tratti fondamentali: l’importanza di essere uomini e non caporali; l’etica del lavoro, l’impegno a prescindere, l’idea che il lavoro è qualcosa che vale, una parte fondamentale delle attività che permettono di dare senso e significato alle nostre vite; la necessità di non confondere, la capacità di tenere distinte, le principali dalle subordinate, ciò che vale di più da ciò che vale di meno, ciò che viene prima da ciò che viene dopo, le cose che non possono aspettare da quelle che invece sì.

Il tempo e le vicende della vita cambiano molte cose, e così è accaduto anche tra me e Salvatore, ma le cose fondamentali non sono cambiate mai, in qualche modo Totore è stato sempre nella mia vita, attraverso i suoi insegnamenti e attraverso le persone che ci legano.
L’ultima volta l’ho sentito qualche mese fa, mi aveva chiesto di fargli avere documenti e notizie della Ex Merrell, una multinazionale americana del settore farmaceutico che aveva sede a Napoli, in via Pietro Castellino, che era stata il teatro di una storica vertenza sindacale. Purtroppo non ho potuto e non ho saputo fare quello che mi ha chiesto, o comunque non ho fatto in tempo, e anche se oggi questo non cambia molto resta il fatto che mi dispiace.

Ecco, questo è solo un pezzettino minuscolo della lunga storia di Salvatore Staiano, un uomo dalla parte giusta, la parte dei suoi convincimenti e dei suoi ideali, come ha raccontato anche nel suo bel libro di memorie.
Come dite? No, no, non me lo fate questo torto di pensare che queste cose le ho scritte oggi che Salvatore non c’è più, non è così, lo posso dimostrare, nella loro parte essenziale le ho pubblicate nel mio libro Bella Napoli auscito a Marzo 2011.
La verità è che Salvatore è stato proprio così, un uomo che se uno lo ha conosciuto davvero, è molto difficile che si possa scordare di lui.
A proposito: Totò, siente, dato che non si può mai sapere, nel caso avessi sbagliato i miei calcoli e da qualche parte dovesse esistere il Paradiso, salutami tanto a Luigi.
staiano1