C’aggia fa’, alla voce «normalità» sto dalla parte di Brecht, penso anch’io che sperare negli eroi è un brutto segno, credo che il cambiamento quello vero stia molto di più nelle mani delle persone normali, quelle che ogni mattina si alzano e cercano di fare bene quello che devono fare, qualunque cosa debbano fare, a prescindere, ma non perché si aspettino di ricevere un riconoscimento, solo perché è così che si fa. Nei miei due giorni a Cotronei, che sembrano essere stati due mesi tanto sono stati intensi, ne ho conosciute diverse di persone così, Francesca Romano è una di queste, e sono felice di raccontarla per più ragioni, in primis perché da qualche anno è in pensione, parola che ultimamente fanno di tutto per farcela sembrare brutta ma brutta non è, almeno dal punto di vista sociale, che dal punto di vista personale invece come tutte le cose di questo mondo qualche controindicazione ce l’ha, ma ci arriviamo tra poco.
Francesca ha 70 anni e ha lavorato come maestra nella scuola materna per 42 anni, ne aveva 23 quando ha iniziato. Mi dice che avrebbe voluto continuare gli studi come due delle sue sorelle ma non era stato possibile, e così lei, un’altra sorella e il fratello – perito elettrotecnico nella città dell’elettricità – si sono fermati al diploma.
Volete sapere cosa mi ha risposto quando le ho chiesto di definire con una sola parola i suoi 42 anni di lavoro? «Meravigliosi!» Proprio così, meravigliosi.
«Sai Vincenzo – ha aggiunto – in 42 anni ne vedi passare tanti di bimbi, genitori, nonni, e poi bimbi che diventano genitori e genitori che diventano nonni, e con tutti ho avuto sempre un bel rapporto, sia dal punto di vista professionale che umano.
Lo so che è giusto così, ma per me come persona andare in pensione è stata una tragedia. Io sono una che quando fa una cosa cerca di farla bene perché mi piace fare così, non conosco altro modo, e il lavoro mi faceva sentire più viva, compiuta, valorizzata, avevo un bel rapporto sia con le altre colleghe che con il direttore. I bambini stavano con me dai 3 anni fino ai 5 compiuti, insomma prima di 6, spesso li portavo anche a leggere, e poi i corsi di cucina, ho insegnato loro a impastare, e poi le rappresentazioni, le recite le diverse attività durante l’anno, insomma una meraviglia, ma questo te l’ho detto già.»
Ecco, adesso però non pensate che una donna così energica e determinata – non ho paura di nulla, mi dice, neanche delle vipere – una volta andata in pensione se ne stia in casa a far nulla – il marito e l’unico figlio lavorano in giro per l’Italia – perché pensereste male. Lei continua a fare mille cose e tra queste mille un posto importante hanno le passeggiate in montagna in cerca di funghi, di asparagi, di cicoria.
«Vincenzo, in particolari i funghi sono la mia passione, sono una gran cercatrice, come tutti sono gelosa dei miei posti e dei miei percorsi, in paese lo sanno tutti, è una passione che ho fin da piccola, quando andavo a funghi con mio padre nei luoghi dove lavorava, mi ricordo un piano inclinato all’inizio di una condotta forzata con una camera valvola, è lì che ho fatto addestramento, che ho contratto questa malattia, e da allora non sono voluta guarire più, pensa che anche quando andavo a scuola uscivo per funghi alle quattro e mezza di mattina, mi facevo un’oretta di passeggiata nei boschi, poi ritornavo a casa mi preparavo e andavo a scuola.»
«Francesca, ma mi ci porti una volta con te?»
«A te si, perché non sei di qua e poi da solo non ti orienteresti, ma agli amici di Cotronei no, vado da sola, come ogni vera cercatrice.»
Ecco, questa è un po’ della storia della maestra Francesca cercatrice di funghi, che in paese è bello passeggiare con lei, che tutti la salutano, e le sorridono, perché alla fine ha ragione Veronica ne L’ultimo bacio di Muccino, «è la normalità la vera rivoluzione». La normalità delle cose ben fatte. La normalità delle cose fatte con amore.