I telegrammi e i debiti di Maria Rosaria

Caro Diario, era l’Anno Domini 2000. Sì, proprio quello in cui avrebbe dovuto esserci il Y2K, Millennium bug per la gente normale, con l’annessa crisi dei sistemi digitali e catastrofi annunciate in ogni parte del mondo. Quell’anno lì Maria Rosaria De Rosa lavorava come libraia alla Feltrinelli di Ponte di Tappia, a ridosso della storica via Toledo, nella città più bella e più complicata del mondo.
Se glielo chiedi adesso ti dice che se lo ricorda ancora il giorno nel quale le arrivono i due telegrammi. Uno che le annuncia che ha vinto una borsa di studio di perfezionamento in storia delle donne presso l’Università di Vienna e rappresenta il coronamento di un percorso iniziato con la laurea in Scienze Politiche all’Istituto Universitario l’Orientale di Napoli. L’altro che le comunica che ha vinto un posto di vigile urbano al Comune di Napoli, esito inaspettato di un concorso al quale ha partecipato più per accompagnare la sorella che per convinzione.
Adesso però non la fare facile perché prendere una decisione a fronte di due alternative così non è come scegliere tra la mortadella e la cioccolata, non  puoi considerare solo le preferenze, che da quel versante non ci sarebbe stata partita, Vienna e la carriera universitaria sono il sogno di Maria Rosaria da sempre, devi valutare anche le conseguenze, e a Vienna il lavoro è solo per un anno mentre al Comune di Napoli è per tutta la vita.

«Vincenzo, da qualche parte negli archivi del personale del Comune deve esserci ancora la copia sgualcita della mia convocazione, appallottolata e lanciata in aria al termine di un furioso litigio con mio padre, scoppiato in seguito alla mia decisione di non accettare il lavoro di vigile urbano. Mi presento in Comune con questa carta malmessa dicendo che no, non potevo accettare il lavoro, perché ero in partenza per Vienna. Io non so perché l’impiegato dell’ufficio del personale si sentì così preso dalla mia storia, so che mi disse “Mi scusi, ma perché rifiuta? Lo sa che esiste una legge che consente di conservare il lavoro per i casi come il suo?”.
Io non l’ho mai più rivisto quell’impiegato, ma è grazie a lui che è iniziato il mio “doppio” percorso. Accetto il lavoro di vigile urbano rinunciando con dispiacere alla mia amata libreria, e dopo pochi mesi sono a Vienna. In seguito ho vinto il dottorato di ricerca, e così sono partita di nuovo, questa volta direzione Parigi. Tra un viaggio e l’altro sulle strade dei miei sogni sono in strada a fare il vigile, non senza momenti difficili e qualche crisi di identità. Oggi, dopo quindici anni al Comune, so che se non fosse stato per quel litigio con mio padre e per quell’impiegato disinteressato non avrei potuto portare avanti la mia passione per la ricerca. Grazie al lavoro di vigile ho potuto sostenere la precarietà della vita universitaria e allo stesso tempo godere dei diritti spesso negati a quelli della mia generazione: un mutuo, una casa, la possibilità di fruire dei congedi parentali quando sono nate le mie figlie.»

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Accade proprio così, soprattutto quando la ricerca è la tua vita. Maria Rosaria avrebbe potuto accontentarsi di un lavoro più regolare, che tanto lei pure al Comune ci tiene a fare bene le cose, e così è cresciuta dal punto di vista professionale, non le sono mancate soddisfazioni e riconoscimenti, e però il richiamo degli archivi, dello studio, della storia è stato troppo forte.

«Oggi insegno storia contemporanea all’Orientale ma, non essendo strutturata all’università, è ancora grazie al mio lavoro al Comune che posso permettermi di andare in giro per convegni, far conoscere le mie ricerche, sentirmi meno precaria e guardare lontano. Ho appena scritto un libro sulle relazioni economiche delle mercantesse all’inizio del Novecento e viaggio per l’Europa perché faccio parte di un gruppo internazionale di ricerca sul credito al consumo. Tra una pratica e l’altra in ufficio al Comune quest’anno sono volata a Belfast, a Miami, dove ho raccontato le mie ricerche e ho creato nuovi contatti che mi porteranno ancora a Milano, a Parigi, e chissà dove altro ancora. Allo stesso tempo sono entrata a far parte del Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni del Comune di Napoli, e questo dopo tanti anni mi è sembrato un modo di far incontrare le due strade parallele che percorro da sempre. E’ stato la prima volta, ed è stato bello.»

Come dici amico Diario? Cosa fa Maria Rosaria quando non pensa al lavoro o alla famiglia? Ascolta Janis Joplin, gli U2, i Dire Straits, i Queen, Keith Jarrett, dice che le musiche della sua vita stanno da quelle parti. Poi legge, legge, legge, come ogni bravo libraio dovrebbe fare. Con una passione esagerata per Javier Marías, il suo guru, così almeno sostiene lei. Pensate che quando la sorella in occasione del suo matrimonio le ha chiesto un’intenzione di preghiera da leggere sull’altare lei ha letto una pagina di un romanzo di Marías, lo zio prete ancora oggi non se ne capacita. E infine ci sono i viaggi, gli incontri, le soddisfazioni, il sogno che ogni tanto si trasforma e diventa realtà, come è accaduto a Miami, e come accadrà tra un po’ a Parigi, dove Maria Rosaria andrà per avviare un progetto su donne e banche con una collega conosciuta a Belfast.
Perché lei non lo dice che non le piace stare lì a fare l’incompresa, ma io lo so e lo sapete bene anche voi che in Italia certe opportunità capitano di meno, o non capitano affatto, perché da noi i mondi – università compresa -, sono più chiusi, l’incontro tra discipline diverse è più difficile, ci sono meno possibilità di confronto, ci si parla di meno.
Maria Rosaria no, lei ha tante anime non solo tanti lavori e tanti telegrammi,  ad esempio da piccola ha studiato al Grenoble,  a vent’anni ha preso un diploma di interprete, ha anche lavorato per un po’ in quel campo ma poi ha lasciato. Queste molteplici appartenenze sono un tratto del suo carattere, dunque come direbbe Eraclito del suo destino. Pensate che proprio negli Stati Uniti si è ritrovata associata più volte ai francesi, nel senso che pensavano fosse francese, e le cosa buffa è che lo pensavano anche loro, i francesi.
Come dici caro Diario? Mi sono dimenticato di chiederle che senso ha per lei il lavoro? Niente affatto, leggi qua: «Per me il lavoro è tante cose assieme, prima di tutto giornate molto lunghe. Vincenzo, la mia scrivania è un luogo affollato di notte, ho qualche momento di avvilimento, ma in fondo al mio cuore c’è la consapevolezza di aver trovato un mio modo di stare in questo mondo, un mio modo di trasformare in risorsa quello che una carta appollottolata, un impiegato premuroso e le mie scelte hanno portato nella mia vita quindici anni fa».
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Caro Diario,
qualche giorno fa nella vita della nostra Maria Rosaria è arrivata una bella cosa, lei l’ha detta a me, e io le ho chiesto di raccontarla, perciò prima leggi e poi io aggiungo una riga di commento.
Come dici? Questa cosa che ho aggiunto «debiti» nel titolo non ti piace? Perché sei un testone, se leggi scopri di quali debiti si tratta e ti tranquillizzi.

«Caro Vincenzo, ancora una volta mi ritrovo di notte a scriverti, perché questo è il momento migliore per raccogliere nel silenzio le parole giuste. Ti avevo raccontato un po’ di tempo fa che proprio di notte la mia scrivania è un luogo affollato: di appunti, quaderni, foto, libri, tanti libri. Il mio “A tempo debito” è nato in mezzo a questa folla notturna, a metà strada tra le vite parallele che ho scelto di percorrere.
Oggi, come sai, quelle strade sono meno parallele, ho cambiato lavoro e in qualche modo mi sembra di aver trovato un punto di contatto tra la mia passione per la ricerca, per l’insegnamento, ed il lavoro che svolgo tutti i giorni, non credo sia un caso che il libro che avevo da tempo nel cassetto sia venuto alla luce proprio ora che sento di stare al mio posto. Ecco, forse oggi per me questo significa il lavoro: sentirsi al proprio posto. E da questo posto giusto ho ricostruito le storie delle donne e degli uomini protagonisti della ricerca, mettendo in ordine le loro parole, le loro liti, il loro denaro, provando a spiegare un frammento della nostra città all’inizio del novecento.
Ho amato scrivere questo libro, perché per ogni capitolo c’erano persone e luoghi che ho finito per sentire un po’ miei. Così, accanto alle finalità scientifiche che naturalmente perseguo, non posso più fare a meno di Sofia, di Dolphin, di Ettore ed Anna, di Luisa e Alfredo e di tutti gli altri, non riesco a smettere di continuare a cercare le loro tracce negli archivi, come un segugio, o una spia, senza mai perdere il rispetto per i documenti e per quello che raccontano.
Spero che ritroverai almeno un po’ di questa passione nel libro, un libro che parla di debiti, ed io per ora il mio – con quelle mie tante anime che avevi raccontato – l’ho saldato.»
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Eccomi amico mio, ti avevo promesso una riga di commento e io sono uomo di parola, però la riga la rubo a Maria Rosaria, perché quando dice che per lei il lavoro è sentirsi al proprio posto mi piace assai. Ecco, nel futuro che piace a me vorrei che tutte/i, a partire dalle generazioni più giovani, abbiano un lavoro che li faccia sentire al loro posto. Ti dico di più, vorrei è poco, bisogna fare qualcosa per contribuire a costruirlo questo futuro.