Bacoli, 17 dicembre 2017
Caro Diario, mentre metto in fila qualche idea per l’incontro con gli studenti di Automatica della Facoltà di Ingegneria dell’Università del Sannio organizzato per domani dal mio amico prof. Luigi Glielmo sono inciampato in questo post di due anni e mezzo fa che continua a sembrarmi di straordinaria attualità, anche se nessuno più ne parla, e dunque eccomi qua a riproporlo.
Ricordo che al tempo lanciai anche una petizione su Change.org che non ebbe molta fortuna, ma neanche questa mi sembra una buona ragione per rinunciare a ragionarci su. Se hai voglia di dire la tua, sai come si fa, basta inviare una mail a partecipa@lavorobenfatto.org
Per intanto, buona lettura.
Roma, 28 Luglio 2015
Alla Camera dei Deputati viene presentata la Carta dei Diritti in Internet. Un preambolo e quattordici gli articoli che compongono il documento: Riconoscimento e garanzia dei diritti; Diritto di accesso; Diritto alla conoscenza e all’educazione in rete; Neutralità della rete; Tutela dei dati personali; Diritto all’autodeterminazione informativa; Diritto all’inviolabilità dei sitemi, dei dispositivi e domicili informatici; Trattamenti automatizzati; Diritto all’identità; Protezione dell’anonimato; Diritto all’oblio; Diritti e garanzie delle persone sulle piattaforme; Sicurezza in rete; Governo della rete.
La Carta «mira a garantire l’effettività dei diritti fondamentali di ogni persona anche in Rete» ed è il risultato di un anno di lavoro di una Commissione presieduta dal professor Stefano Rodotà e composta da deputati di ogni partito ed esperti della società civile. Devo riconoscere che purtroppo mi accade sempre più di rado, ma questa volta sono fiero del fatto che sia stato il Parlamento italiano il primo a produrre – come ha ricordato la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini -, «un atto così importante, a sottoporlo alla consultazione pubblica, a definire una Carta di portata internazionale e di respiro costituzionale».
Esagerato? Niente affatto! Se come ha raccontato Thomas Khun una rivoluzione è «una specie molto particolare di cambiamento che comporta una sorta di ricostruzione dei dogmi condivisi da un gruppo», Internet è una vera, grande rivoluzione. Un major event che ha rideterminato, sta rideterminando, i caratteri stessi della modernità; che spariglia le carte con cui siamo soliti interpretare il mondo, e noi nel mondo, e ci costringe a decostruire e ricostruisce linguaggi, identità, sistemi di relazione, modi di essere, di fare, di comunicare e di rappresentarsi, delle persone e delle organizzazioni; che riscrive le partiture di valori, credenze, preferenze che fanno da colonna sonora alle nostre vite e ridefinisce i confini di ciò che per noi è importante, è certo, è stabile, e ciò che invece non lo è.
Internet è insomma molto di più di una tecnologia, di una infrastruttura, di una rete, e la scelta di tutelare i diritti delle persone in un mondo come mai prima moltiplicatore di opportunità e allo stesso tempo esposto alla manipolazione di bisogni e desideri da parte dei padroni degli algoritmi ha un valore e una rilevanza assolutamente strategici. Soprattutto se sapremo mantenerla viva questa scelta, se la discuteremo tra i cittadini, nelle scuole, sui social network, nelle università, nelle associazioni, in ogni luogo e in ogni occasione ci si presenta davanti. Questioni di consapevolezza, insomma, ma su questo tornerò tra poco.
Buonos Aires, 28 Luglio 2015
Nel corso dell’International Joint Conference on Artificial Intelligence viene resa nota la lettera aperta promossa dal Future of Life Institute contro la possibilità di creare armi capaci di prendere autonomamente la decisione di uccidere. Quando a metà Agosto decido di firmarla anche io il sito segnala che i sostenitori che fanno ricerca nei settori dell’intelligenza artificiale e della robotica – primo firmatario Stuart Russell, professore di Computer Scienze e direttore del Center for Intelligent Systems dell’Università di Berkeley – sono 2833, mentre quelli che operano in altri campi – primo firmatario l’astrofisico direttore del Dipartimento di Matematica Applicata e Fisica Teoretica a Cambridge Stephen Hawking, -, 16440. Nei giorni precedenti, i media di tutto il mondo hanno messo in evidenza che tra i firmatari eccellenti ci sono il creatore di Space Exploration Technologies e Tesla Motors Elon Musk; il filosofo e logico Daniel Dennett; il cofondatore di Apple Steve Wozniak; lo studioso di intelligenza artificiale e direttore delle ricerche di Google Peter Norvig; il linguista-filosofo Noam Chomsky; il direttore del Microsoft Research Lab Eric Horvitz.
Perché decido di essere – al momento della firma, è facile prevedere che saranno ancora in tanti a firmare la lettera appello – quasi ventimillesimo tra cotanto senno? Naturalmente perché condivido a fondo le ragioni e le motivazioni che la animano, che sento mie non solo da un punto di vista etico ma anche da quello della utilitas umana tanto cara a Spinoza. E perché sono convinto che l’uso di qualunque tecnologia abbia bisogno di un atto di consapevolezza individuale, di un’assunzione di responsabilità che in nessun caso – meno che mai di fronte alla decisione di uccidere – può essere delegata a una macchina, per quanto intelligente essa possa essere.
Napoli, 31 Agosto 2015
Non so se «la vita è tutta fatta di coincidenze» come scrive José Saramago ne «L’anno della morte di Ricardo Reis», sono però propenso a pensare che ciò che è accaduto il 28 Luglio 2015 a Roma e a Buenos Aires contenga un messaggio importante, ci dica che ogni giorno di più non possiamo fare a meno di pensare e di agire con cognizione di causa, avendo coscienza delle cose che facciamo, delle ragioni e delle motivazioni che ci spingono a farle, delle conseguenze che esse sono destinate a produrre non solo sulle nostre vite ma anche su quelle delle generazioni future. Questioni di consapevolezza, ecco il punto. Un mondo più consapevole è non solo più inclusivo e meno ingiusto, è anche un mondo che riflette di più, dove c’è più conoscenza, più accortezza, più profondità, più accuratezza, più disponibilità a valutare ragioni e punti di vista diversi, più capacità di trovare soluzioni e risolvere problemi, più possibilità di prendere decisioni orientate al bene comune. E’ insomma un mondo che ha più identità e più senso.
L’esercito a responsabilità rigorosamente limitata della look-down generation non mi piace. Noi non siamo i nostri like, siamo la nostra consapevolezza. Perché, come ha raccontato John Locke, «essendo la stessa consapevolezza quella che fa sì che un uomo sia se stesso a se stesso, l’identità personale dipende da quella, e da essa soltanto». Perché la «generazione consapevole» è la risposta migliore al bisogno di sviluppare ambienti, contesti, sistemi, in grado di creare, condividere, diffondere conoscenza, lavoro, impresa, innovazione, sviluppo. Di migliorare la capacità di apprendere, di fare e di risolvere problemi, delle persone e delle organizzazioni. Di combinare idee-forza e valori capaci di mettere in campo comportamenti virtuosi, buone pratiche, soluzioni e risposte innovative alla crisi. Di generare nuovi beni di lealtà e di identità, di valorizzare le differenze e la capacità di ascolto, di ampliare i nodi e le relazioni che compongono le reti delle nostre vite quotidiane. Di dare il giusto valore alla storia e alla memoria. Di costruire cerchie di condivisione e di formare pubblici alternativi alla scena pubblica data. Di aiutare le persone a gestire il disorientamento e l’incertezza che inevitabilmente assale chi si trova a fare i conti con cambiamenti di così vasta portata al tempo in cui chiedersi qual è il significato di qualcosa equivale a chiedersi come essa è connessa con altre cose. Perché Internet non è solo l’ultimo modello di smartphone, la piattaforma per i giochi, per il commercio o per i viaggi più avanzata, il social network dove incontrare gli amici, l’assistente vocale che ci ricorda gli appuntamenti della giornata, la città intelligente dove vivere meglio. Perché Internet è prima di tutto una straordinaria occasione per attivare processi di abilitazione e di inclusione. Per combattere con più efficacia le ingiustizie dovute alla lotteria sociale e ridurre la sofferenza socialmente evitabile. Per rompere le gerarchie che fino ad oggi hanno caratterizzato i rapporti tra forti e deboli, nord e sud, centro e periferia, e fare in modo che da questa rottura emergano opportunità innanzitutto per coloro che fino ad oggi hanno fatto parte del club ad iscrizione rigorosamente involontaria degli svantaggiati. Per non venir meno alle ragioni di un moderno sistema di welfare che sia in grado da un lato di sostenere chi vuole avere più chance e opportunità e vuole realizzarle con determinazione e creatività, dall’altro di non lasciare sole e indifese le persone di fronte al disagio sociale che il nuovo scenario porta inevitabilmente con sé data l’esasperazione dei processi di competizione e la velocità con la quale siamo esposti al cambiamento.
Si, «Conscious Generation» mi piace. Mi piace l’idea di essere esploratori sulle vie della consapevolezza, mi piace il cambiamento connesso all’uso consapevole dei nuovi media, al tempo dei signori dell’algoritmo mi piace ancora di più. Mi piace la possibilità di istituire un giorno dedicato alla consapevolezza da celebrare una volta all’anno in tutto il mondo, perché magari ci aiuta a recuperare il senso culturale, sociale e politico della rete, che è sempre un po’ messo in ombra dalle leggi dell’economia e dalla forza dei numeri. Perché in fondo è vero, ha ragione il Piccolo Principe, «se dite agli adulti: «Ho visto una bella casa di mattoni rosa, con gerani alle finestre e colombi sul tetto…», loro non riescono a immaginarsi la casa. Dovete dire: «Ho visto una casa di centomila franchi». Allora esclamano subito: «Oh, che bella!».
Si, mi piace l’idea che Internet sia prima di tutto la possibilità di tornare a vedere – mentre siamo impegnati a fare i conti ogni giorno con i mille volti del cambiamento -, il rosa dei mattoni delle case, i gerani alle finestre e i colombi sul tetto. Spero che piaccia almeno un poco anche a voi.