Caro Diario, è vero che un biologo non è un principe splendente, neanche se si chiama Carlo Alberto, però la grandezza alberga dappertutto, e il fatto di aver lasciato Rivalta di Torino prima per il dottorato in Inghilterra e poi per l’attività di ricerca qui in Giappone dimostra che non bisogna essere un principe per essere illuminato dall’intelligenza, dal coraggio e dalla voglia di conoscere.
Oggi Tokyo, con i suoi trentaquattro milioni di abitanti, è l’area metropolitana più popolosa al mondo, e il Giappone non è certo più il paese chiuso e isolato che ho conosciuto io tra la fine del primo e l’inizio del secondo millennio, al tempo in cui noi donne non avevamo un nome proprio ed eravamo riconoscibili solo in quanto figlie, mogli, madri di uomini che per difendere la loro inesistente superiorità ci impedivano di accedere agli studi cinesi, riservandoci, in realtà, il privilegio di avere una scrittura tutta per noi, il giapponese.
Nonostante gli inevitabili cambiamenti, il mio continua però a essere un paese particolare, ad avere modi di fare che hanno bisogno di tempo per essere compresi, ancora di più per prenderci confidenza. Persino la nostra proverbiale gentilezza ha più facce, in superficie è prima di tutto un modo per mantenere le distanze, quando raggiunge la profondità ti sa dare un senso di condivisione e di appartenenza che non ha eguali al mondo.
Il diario di Carlo Alberto è molto diverso dai nikki che scrivevamo noi signore dell’aristocrazia nell’epoca Heian. Noi non annotavamo idee, pensieri, considerazioni quotidiane, ma facevamo una rivisitazione dei momenti più importanti della nostra vita sentimentale ed emotiva, sulla base dei ricordi che più corrispondevano all’argomento centrale che avevamo scelto di trattare. È questo a spiegare il diffuso ricorso al linguaggio poetico, la sincerità e la spontaneità di ciò che veniva scritto, l’approccio con il quale si analizzavano i sentimenti e gli stati d’animo. Però il fatto che sia differente non impedisce al diario di Carlo Alberto di essere bello, sincero, a tratti anche poetico.
Accade quando scrive che non è facile vivere lontano da casa e adattarsi a una cultura così diversa, che lo aiuta la voglia di fare di più e di impegnarsi con tutto se stesso, perciò stringe i denti e va avanti senza esitazioni per la sua strada, perché solo se si attraversano le difficoltà si possono raggiungere le stelle. Accade quando si entusiasma perché è giunto nel paese di Doraemon, Sampei, Ufo robot, Ken il guerriero, i cartoni animati che hanno popolato la fantasia dei ragazzi vissuti mille anni dopo di me in ogni parte del mondo. O anche quando racconta come è arrivato nel mio paese, a Tokyo, al National Institute, e poi della sua ricerca contro il cancro, della particolare tecnica che viene utilizzata dal suo gruppo, l’adroterapia, per combattere la malattia riducendo di molto gli effetti indesiderati. I raggi x, quelli utilizzati comunemente, hanno infatti una capacità di incidere sulle cellule malate che diminuisce man mano che aumenta il tessuto da attraversare, cosicché più il tumore è profondo più forti devono essere le radiazioni per essere efficaci e quindi maggiore è il danno provocato al tessuto sano. La capacità di impatto degli ioni, atomi privati di uno o più elettroni, è invece più grande in profondità che in superficie, perché la loro forza aumenta al diminuire della loro velocità e dunque sviluppano il loro massimo potenziale a fine corsa. Quando poi Carlo Alberto spiega perché gli ioni sono così efficaci in profondità utilizzando la metafora preferita del suo maestro – il prof. che più di ogni altro ha creduto nelle sue capacità -, quella del bambino nel negozio di cioccolata, lo trovo semplicemente fantastico.
Per cominciare ti spiega che gli ioni sono golosi di elettroni proprio come i bambini sono golosi di cioccolata. Poi aggiunge che basta immaginare un negozio interamente di cioccolata, pareti, porte e finestre comprese, un bambino che entra nel negozio per mangiarne il più possibile e un adulto che conduce il bambino per mano e il gioco è fatto: se l’adulto corre, il bambino mangerà poca cioccolata, se va piano, ne mangerà tantissima. È per garantire questo andamento lento al momento giusto che sono necessari gli acceleratori di particelle di piccola taglia, perché la velocità degli ioni dipende dalla grandezza di questi acceleratori, che quando sono troppo veloci possono attraversare il corpo umano da parte a parte senza lasciar traccia. In pratica, gli ioni vengono accelerati con la velocità iniziale che serve perché rallentino proprio in corrispondenza delle cellule tumorali, e così sarà proprio a loro che provocheranno il maggior danno. Un’altra cosa che colpisce è la gioia che leggi nei suoi occhi quando dice che anche in Italia, a Pavia e a Catania, sono disponibili questi acceleratori e viene realizzato questo tipo di intervento, e la soddisfazione per il piccolo grande contributo che anche lui sta dando al perfezionamento di questa tecnica che forse un giorno libererà il mondo dalla paura del cancro.
Certo che è una fortuna che questi ragazzi possono fare tutte queste esperienze in giro per il mondo. L’intelligenza, come la bellezza, non può aspettare in eterno di essere svelata, ha bisogno di circolare, di confrontarsi con realtà, approcci, modi di fare diversi, perché è solo così che si sviluppa pienamente. Certo, questo continuo mettersi in cammino dovrebbe essere il frutto di una scelta più che di una necessità, non si dovrebbe essere costretti a lasciare il proprio paese perché non ci sono opportunità, si dovrebbe poterci tornare quando ci si sarà stancati di stare in giro per il mondo, soprattutto si dovrebbe avere la possibilità di fare ricerca anche a casa propria con colleghi, giovani e non, provenienti da altre nazioni e continenti, perché insomma i cervelli dovrebbero poter circolare, non fuggire, ma questo purtroppo non dipende da me, e tanto meno da Carlo Alberto, che a un certo punto si ritroverà a Yokohama, nel gruppo di ricerca diretto da un suo connazionale, Michele, e insieme scopriranno come ridare elasticità al cervello umano, come fare in modo che anche a novantanni si possa imparare con la stessa facilità di una bambina di pochi anni.
E se domani tutto questo accadesse in Italia? Un po’ mi dispiacerebbe per il mio Giappone, che punta molto sulla ricerca per mantenere il passo con i paesi più sviluppati, però sarei contenta per i ragazzi come Carlo Alberto. Sì, sarebbe un bel mattino per illuminarsi d’immenso, anche perché nessuno, nell’inverno, può essere certo che vedrà la primavera. Carlo Alberto mi piace anche per questo, perché non aspetta il fiore, ogni mattina salta in groppa alla bicicletta e si reca contento a lavoro. Certo che gli pesa essere così lontano da casa, però sa di avere il futuro interamente nelle proprie mani. Io, quando vivevo a corte, pensavo fosse questa la posizione più fortunata. Oggi lo penso ancora di più.
[Vincenzo Moretti, Testa Mani e Cuore, Ediesse, 2013, pagg. 128 – 131]