Giampiero Assumma, i senzatetto e la follia

13 Febbraio 2019
Caro Diario, Giampiero Assumma ha vinto l’Hungarian Photo Press Contest e io sono troppo contento. Sono contento per lui, per la bellezza delle foto che fa, perché sceglie di raccontare molto spesso gli ultimi.
Com dici? Le foto di Giampiero sono davvero straordinarie? Sono d’accordo! Una te la mtto qui e quella che ha vinto in evidenza, mentre l’articolo lo puoi leggere su Kromia e la serie con le foto dalle quali è tratta quella vincitrice la puoi vedere qui. Prima di salutarti, ancora una bella notizia: il progetto di Giampiero, The Homelessness Life, continua, “grazie al prezioso incontro”, come ha scritto lui stesso in un post, “con gli amici della Comunità di Sant’Egidio di Budapest”. Alla prossima.
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Il racconto
Caro Diario, quando l’ho incrociato per la prima volta, otto anni fa, Giampiero Assumma l’ho raccontato soprattutto con le parole.
Difficile fare altrimenti, l’articolo era destinato a un settimanale cartaceo, Rassegna Sindacale, e così mi ero concentrato sul ricordo di una madre “costretta” a girare per casa tenendolo in braccio per fargli vedere e rivedere i quadri che amava, sulla malinconia di un padre perduto troppo presto e di un paesaggio che lentamente si rivestiva della nostalgia della perdita, sulla bellezza dei tramonti di settembre, sulla ricerca di risposte per lui troppo grandi, sulla voglia di fissare momenti di cui forse un giorno avrebbe colto il significato.
assumma1E poi c’era l’idea della fotografia che ti permette di chiudere un cerchio magico, di recuperare un senso alle cose, di annullarsi nella scena che si presenta allo sguardo. Si, la fotografia come incontro con l’imprevisto, quello che dà senso all’immagine che ti porti dentro, quello che ti fa chiudere gli occhi e scattare. E infine c’era quel suo inizio da ircocervo – forse la cosa che mi faceva impazzire di più – il suo essere “metà laureato e metà artista”, il lavoro di odontoiatra che gli permetteva di comprare rullini e attrezzature, viaggiare, conservare una certa indipendenza nella scelta di temi e soggetti fino a quando – undici anni fa – non ha  fatto la sua scelta: alle spalle Napoli, la professione, la sicurezza economica, le vite parallele; innanzi a sé Parigi e la fotografia.
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Oggi Giampiero vive e lavora a Berlino, dove è arrivato tre anni fa. Però questa volta è diverso, questa volta posso usare solo le parole necessarie, questa volta per raccontare il suo lavoro posso usare le sue immagini.

Quelle che in maniera arbitraria ho scelto di inserire qui, quelle ordinate per progetti che trovate sul suo sito: Faith Camp; Fontanelle Cemetery; Little Circus; London; Museums; Reichstag; Still Mill e soprattutto quello presentato questo Novembre 2014, nell’ambito di PechaKucha Night, a Berlino, in occasione del 25esimo anniversario della caduta del Muro.

Dieci artisti di differente provenienza e background sono stati invitati a raccontare con 20 immagini, 20 secondi per immagine, il proprio muro, visto, pensato, immaginato come metafora culturale.
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Il progetto presentato da Assumma ha per titolo Walls of Madness ed è un estratto di un progetto assai più ampio sugli ospedali psichiatrici criminali italiani, personalmente lo definirei il progetto di una vita, ma questo a Giampiero non l’ho domandato. Gli ho chiesto invece perché proprio la follia, e lui mi ha risposto che la sua ricerca fotografica sulla pazzia o anche “della” pazzia, è stata ed è ancora oggi un viaggio nei meandri più profondi e misteriosi dell’esperienza umana, personale e collettiva. A questo punto si è fermato, mi ha guardato, ha scosso la testa e ha aggiunto “sinceramente non ti so dire se a tutt’oggi sono riuscito a coglierla e a trasformarla in immagini questa esperienza, direi piuttosto che ho ritratto uomini che vivono in un manicomio”.
Ecco, adesso io non vi dirò che Assumma si sbaglia, e neppure che possiede la modestia che è propria dei grandi, vi dico solo di guardare le foto, solo questo, cliccate sulla foto, guardatele e ascoltate le sue parole, e poi magari ne riparliamo.
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Giampiero’s madness and other portraits
When I first met him 8 years ago, I told the story of Giampiero Assumma mostly with words. And it was  difficult to do otherwise, the article was for a weekly newspaper, Rassegna Sindacale, and thus I focused on his mother’s memory when he at a very early age, “forced” her to carry him around the house in her arms to let him seen again and again the paintings he loved. I focused on the melancholy of a father who had been lost too soon and of a landscape that was slowly being covered in the nostalgia of a loss. I focused on the research of answers that were too big for him, and on the will to set the moments of which meaning he would maybe understand one day.
And then there was the idea of photography as something that allows you to close a magical circle, to get the sense of things, to lose yourself in the scene that gets revealed to the eye. Yes, photography as an encounter with the unpredictable, that gives a sense to the image you carry inside, that makes you close your eyes and just shot. And last, there was his surreal beginning – maybe the thing that mostly drove me crazy – his being half graduate and half artist, his work as an odontologist that allowed him to buy his photography tools, to travel, and to keep a certain independence regarding  his photography themes and subjects, until ten years ago, when he finally made his choice: Naples, his profession, and economic safety, were left behind, and Paris and photography were laying ahead.
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Giampiero is now living and working in Berlin, where he arrived three years ago. But this time it’s different. This time I can only use a minimal amount of words, this time I can rather use his images to tell the story of his work.
The ones that I randomly chose to insert here, the ones that are sorted by the projects they are grouped in on his website are: Faith CampFontanelle CemeteryLittle CircusLondonMuseumsReichstagStill Mill.
And, most of all, the project he presented this November at PechaKucha Night in Berlin, on the occasion of the 25th anniversary of the fall of the Berlin Wall. On this occasion, ten artists with various backgrounds and origins were invited to narrate, through 20 pictures each, for 20 seconds per image, their own Walls, seen, thought and imagined as a cultural metaphor.
The project Assumma presented was entitled “Walls of Madness” and it’s an extract from a much wider project of his, on the Italian criminal psychiatric hospitals. I would personally call this “the project of a lifetime”, but I haven’t asked him about this. Instead, I asked him “why madness?”, and he answered that his photographic research on (or even “of”) madness was and still is a voyage to the deepest and most mysterious meanders of human experience, either personal or collective. At this point he stopped, he looked at me, he shook his head and he added: “I honestly can’t tell you whether I managed pick this experience and turn it into images or not yet, I would rather say I portrayed people living in a madhouse. Here, I won’t say that Assumma is wrong, and I won’t say that he has the modesty of the great ones either, I’m only telling you to look at the photos, just this, click on each photo, look, and listen to his words, and then maybe we’ll talk about it again.