Ricostruire il nesso tra autonomia e lavoro

Caro Diario, non credo di averti mai detto che io l’ho fatto nel 1980, e il mio amico Gerardo nel 1983, e la mia amica Rosa nel 1985, Gennaro nel 1988,  nel 1990 è toccato a Giovanni e nel 1993 a Nunzia.
Come dici? Cosa abbiamo fatto? Quello che per lungo tempo hanno fatto la quasi totalità delle italiane e degli italiani dopo aver trovato un lavoro: ci siamo resi autonomi, abbiamo preso casa, insomma ci siamo fatti una famiglia.
Sia chiaro, non è che la vita non fosse tribolata anche quando l’abbiamo fatto noi, c’erano il terrorismo (il 9 maggio 1978 era stato assassinato Aldo Moro), le fabbriche in crisi, che erano tante, l’attacco alla scala mobile, e poi Tangentopoli e poi è meglio che mi fermo perché altrimenti ci intristiamo.  La differenza è che le tante tribolazioni personali e sociali non mettevano in discussione il fatto che con il lavoro si entrava definitivamente nel mondo degli adulti, si diventava autonomi, era come se il lavoro ti dicesse “guarda che adesso, se vuoi, puoi provare a realizzare il tuo personale progetto di vita, puoi provare a mettere su casa e famiglia, con tutte le piccole, meno piccole e grandi conseguenze che questo comporta, vedi alla voce affitto casa, attivazione utenze gas, luce, telefono, acquisto mobili ed elettrodomestici” con tutto quello di positivo che questo significava sia dal punto di vista del lavoro e dei consumi che da quello del senso, delle regole, del significato della vita.

Purtroppo sono almeno dieci anni che per un numero sempre più grande e insopportabile di giovani il nesso tra lavoro e autonomia si è rotto, semplicemente non c’è più. Dopo di che se vogliamo scherzare possiamo anche pensare di risolvere la questione con l’equazione dicendo che non ci sono più i giovani di una volta, se vogliamo fare sul serio no.
Perché sì amico Diario, se un trentenne che ha un lavoro a tempo indeterminato guadagna intorno a 1200 euro al mese in una città dove per affittare due stanze ti chiedono 6-700 euro, l’uomo in questione è di fatto obbligato a ridiventare ragazzo e a rimanere a casa con mamma e papà, che almeno lì se la cava con il contributo mensile. E lo stesso accade a una donna di 40 anni, che dopo averci provato, e non per un mese, per 8 anni, a vivere nella sua stanza e un poco pur di avere una vita tutta sua, alla fine ha ceduto, della serie «Vincenzo non si può vivere soltanto per pagare l’affitto e le bollette e allora me ne torno a casa dei miei così almeno in estate ho i soldi per fare due settimane di vacanza».

Hai preso nota caro Diario?, Guarda che le chiacchere stanno a zero, perché la rottura di cui ti sto parlando non riguarda solo l’esercito dei precari ma anche un numero sempre più consistente di giovani lavoratrici e lavoratori “stabili”, che hanno un rapporto di lavoro regolato dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di categoria, lavoratrici e lavoratori come quelli di cui ti ho appena raccontato.

Come dici? Vero, nessuno ne parla, nessuno lo dice, sono tutti presi dai vincoli, dai parametri e dalle compatibilità, però il tema “ricostruzione del nesso tra lavoro e autonomia” rimane in tutta la sua urgenza e rilevanza. E vedi che non si tratta solo di una fondamentale questione di giustizia, dato che in un paese civile non si possono lasciare intere generazioni di donne e di uomini senza le opportunità e il futuro a cui hanno diritto, si tratta anche di uno stato di necessità, dato che le stesse opportunità, e il futuro, della nostra bella Italia, la capacità del sistema Paese di darsi una missione, di allungare l’ombra del suo futuro sul presente, sono strettamente collegate alla ricostruzione di questo nesso.

Come si fa? Sarei tentato di stare sull’attualità e rispondere “come si fa nel resto d’Europa”, dato che solo in Italia il welfare è così penalizzante verso le generazioni più giovani, solo in Italia l’affitto rappresenta in media il 60-70 percento del salario, solo in Italia i giovani che valgono, e sono tanti, sono pagati così male, solo in Italia ci sono così tanti buoni progetti senza budget e così tanti sprechi senza ragione. E invece no, prometto di tornarci su, nel senso che questo post continua, però intanto tu non perdere di vista il messaggio, prova a dire la tua, lo stesso proverò a fare con i nostri lettori. A presto.
arfanotti
Romina Lardo
… e se puoi tornare a vivere con i tuoi sei anche fortunato. Spesso, molti, compreso me e tanti amici miei, vivono in città lontane. Stabili, con contratti a tempo indeterminato, ma eterni coinquilini non solo di altri giovani e non, ma eterni coinquilini dei proprio sogni che, ahinoi, pagano il prezzo più alto del canone di locazione: il tempo, che inesorabilmente corre.
Era il lontano 2018 … diremo un giorno … forse!
Un saluto, Vincenzo.

Angela Bosco
Ciao Vincenzo, il tema è molto attuale e particolarmente sentito sia dai giovani, sia dalle famiglie. L’assenza di prospettive di lavoro e quindi di autonomia incide sullo stato emotivo, sulla motivazione, sul livello di autostima, sulle dinamiche relazionali. Il rischio di avere un numero sempre maggiore di giovani che getta la spugna è molto alto e preoccupante. Occorre una grossa iniezione di fiducia ed un’azione politica seria, e non so se ispirarsi al modello europeo può bastare.

Roberto Paura
Il tema è molto interessante e naturalmente lo sento molto vicino. Io non me ne preoccuperei se fosse un fenomeno più ampio, esteso a tutta l’Europa. D’altro canto, l’età media aumenta ed è inevitabile che l’ingresso nel mondo del lavoro venga spostato più in avanti, in sincronia con lo spostamento in avanti dell’età media del pensionamento. Tuttavia, negli altri paesi europei questo fenomeno non avviene, o comunque non nelle proporzioni che si riscontrano in Italia. Ciò ci spinge a concludere che si tratti di una distorsione, di un problema esclusivamente italiano, connesso quasi certamente con gli stipendi troppo bassi pagati dal settore privato ai giovani ai primi anni di inserimento lavorativo (almeno i primi 5 anni dalla laurea), e al turn-over che impedisce al settore pubblico di realizzare le ampie assunzioni di cui hanno beneficiato le generazioni precedenti.