Caro Diario, sono quasi dieci anni che Piero Carninci, scienziato triestino da 20 anni al Riken, in Giappone, prima a Tokyo e poi a Yokohama, è un protagonista dei miei racconti alle ragazze e ai ragazzi di ogni età che ho la fortuna di incrociare grazie al mio lavoro. Comincio ogni volta da lì, da quell’autunno del 2005 in cui Cinzia Massa e io stiamo ultimando l’intervista per Technology Review. Sono da poco passate le 5 p.m. quando inviamo una mail a Piero per chiedergli qualche ulteriore specificazione sugli aspetti serendipitosi del suo lavoro.
Bisogna chiudere l’articolo, e speriamo di farlo quella sera stessa, ma basta un’addizione e ci rendiamo conto che in Giappone sono passate le 3 a.m. Ci mettiamo l’anima in pace, se ne parla l’indomani mattina. E invece no. Perché tempo 20 minuti e arriva la risposta di Piero.
Non resisto. Nuova mail. Testo: “Cosa ci fai in giro a quest’ora?” Risposta: “Siamo in laboratorio. Abbiamo da portare a termine un esperimento. Se non si finisce non se ne parla di tornare a casa”.
Perché comincio ogni volta da lì? Perché «uno può anche pensare quella scoperta avrei potuto farla io, quel libro avrei potuto scriverlo io, quella piazza avrei potuto progettarla io, quel canestro coast to coast, da un tabellone all’altro, sarebbe piaciuto farlo a me, a patto però di non dimenticare l’impegno quotidiano, il lavoro che ti porta alla scoperta, al libro, alla piazza, al canestro». Perché «neanche il genio può fare a meno del lavoro, vale nella scienza, vale nello sport e vale nella vita, perché alla fine a farcela sono quelli disposti a sopportare la fatica anche quando sembra che non sia più sopportabile, a conquistare un centimetro anche quando mancano chilometri al traguardo, a cercare una risposta anche quando gli altri pensano che non ci sia». E perché penso che tutto questo l’Italia se lo stia dimenticando, e non va bene.
Vale per Salvatore l’operaio, vale per Piero lo scienziato, vale per Michel il cestista e vale per Diego Armando il calciatore. Sì, vale anche per loro, perché anche nel loro caso è il lavoro a fare la differenza, perché altrimenti non te lo spieghi perché Jordan è il più grande di tutti fino a 40 anni e Maradona solo fino a 27.
Ma torniamo a Piero, che poi io nel 2007 sono andato in Giappone per studiare il Riken e la sua storia di successo, ho incrociato altre persone straordinarie come Franco Nori, Akira Tonomura e Ryoji Noyori, il Presidente del Riken, Premio Nobel per la Chimica 2001, ho scritto un rapporto di ricerca che puoi leggere qui in italiano e in inglese.
È stato proprio alla fine del mio viaggio in Giappone che Piero si è spostato a Yokohama, dove è Deputy Director del RIKEN Center for Life Science Technologies e Director della Division of Genomic Technologies.
E’ così che, in attesa del mio prossimo viaggio in Giappone, che prima o poi anche questo avverrà, continuo a seguire il suo lavoro di cervello italo-giapponese, che Piero ormai anche in Giappone è di casa e continuare a considerarlo un cervello in fuga dopo 20 anni gli fai solo un torto.
L’ultima scoperta in ordine di tempo del suo gruppo è stata pubblicata a fine marzo e se vuoi saperne di più puoi leggere qui. Se invece vuoi farti un’idea della tecnologia Cage da lui realizzata e sviluppata puoi cliccare qui e qui.
Quando l’ho saputo, gli ho chiesto come faccio ogni volta di fornirmi qualche particolare della nuova scoperta, però in versione accessibile, super divulgativa, perché alla fine che quello che posso fare io è contribuire a diffondere il lavoro scientifico nel mondo normale, che a noi umani “ci” fa solo bene sapere quello che accade nel mondo scientifico, che magari ci appassioniamo, approfondiamo, magari qualche studente si lascia coinvolgere, e io continuo a sperare che un giorno non troppo lontano potrò recuperare la capacità di imparare, e di ricordare, di quando ero ragazzo.
Come ogni volta, Piero solo non si è spazientito, ma mi ha scritto queste righe, che mi fa piacere condividere con te: «Vincenzo, per certi aspetti è una storia semplice semplice. Abbiamo fatto un catalogo di espressione di RNA in tante cellule chiamate primarie, perché assomigliano moltissimo alle cellule nel nostro corpo umano. Abbiamo preso un centinaio di tipi cellulari da 3 individui differenti anche per essere sicuri che quello che facciamo e rappresentativo. Poi abbiamo trovato circa 185000 promotori e 46000 enhancers. I promotori sono gli interruttori che accendono o spengono l’espressione dei vari singoli geni. Gli enhancers sono altri tipi di interruttori, posti più lontano nel genome e possono controllare aree relativamente più larghe.
Se lo compariamo ad un edificio, i promotori sono gli interruttori della luce che sono presenti in ogni stanza. Gli enhancers sono gli interruttori che controllano l’elettricità di un appartamento, o di un piano di un edificio, o delle scale. Pertanto gli enhancers possono anche esserne lontani dai geni che controllano.
Perché tutto questo è importante? Perché sappiamo cosa dobbiamo attivare se vogliamo ricreare in vitro delle cellule per terapie future (medicina rigenerativa). Non intendo dare illusioni di terapie miracolose in breve tempo ma questo database è un passo obbligato per differenziare e per creare terapie future in grado di farci vincere battaglie fino a poco tempo fa impensabili.
Perché tutto questo avviene al Riken? Perché abbiamo la tecnologia chiamata Cage che ho sviluppato e risviluppato negli ultimi 10 anni e questa tecnologia è essenziale per mappare promotori ed enhancers attivi.»
Che dici amico Diario? Non è una fortuna avere un amico così?
Continua a seguirci. Sotto il cielo del #lavorobenfatto made in Japan ci sono ancora tante belle storie da raccontare.