Caro Diario, ne avevamo parlato qualche giorno fa con le ragazze e i ragazzi di Aula O e stamane un amico mi ha segnalato questo vecchio post. È del 2008, al tempo il mio blog si chiamava «della Leggerezza», e l’articolo riprendeva un pezzo di un mio saggio, Laurea.com, contenuto in un bellissimo libro scritto dal prof. Salvatore Casillo insieme a Sabato Aliberti e a me, Come ti erudisco il pupo, edito da Ediesse.
L’ho riletto, ci ho pensato su e mi sono detto che alla fine anche qui racconto di lavoro, il lavoro di chi studia e di chi insegna, e quando ho visto che tra le persone che l’avevano commentato c’era pure una delle studentesse del corso, mi sono detto che l’occasione era quella giusta per riproprorlo.
Come sempre in questi casi, la discussione è aperta, spero che tu e tante/i altre/i abbiate voglia di interagire.
«A loro dire la cosa più importante per tenere il passo è riuscire a resettare completamente la memoria ogni volta che si finisce un esame. Meno rimane, meglio è. Altrimenti non ce la si fa. Chi sono loro? I credit hunter, a mio avviso una delle più importanti e meno analizzate conseguenze prodotta al tempo dell’università «riformata».
Proprio così. Gli studenti, quegli stessi che in paesi come la Finlandia, gli USA, il Giappone, per fare qualche esempio, rappresentano il fulcro del processo di apprendimento, i soggetti a partire dai quali vengono valutate la qualità e l’efficacia del sistema, in Italia sembrano nel pieno di una mutazione che di fatto ne sta peggiorando la condizione attuale e le prospettive future. Da studenti a cacciatori di crediti. Credit hunter, per l’appunto. Che per definizione non hanno tempo per approfondire. Per capire. Per sperimentare. Per sbagliare. Per apprendere. Possono al massimo imparare. Fare l’esame. Resettare. Imparare. Fare l’esame. Resettare.
È una malattia che colpisce i bravi. Quelli capaci di presentarsi alla seduta di laurea con una media ponderata dei voti tra il 29 e il 30 e poi magari di risultare primi alla selezione per un Master alla Bocconi. E quelli che invece no. Quelli che non sanno chi è l’autore del manuale sul quale hanno studiato a meno che non si tratti del prof. con il quale devono sostenere l’esame.
In che modo gli studenti comprendono, organizzano, comunicano, utilizzano al meglio tanto ciò che conoscono quanto ciò che apprendono, sia in maniera esplicita che tacita? In che modo diventano autonomi, sviluppano senso critico, diventano capaci di usare con discernimento gli attrezzi che hanno accumulato nella loro cassetta del sapere e del saper fare? Qual è il contributo reale che l’istituzione università, a ogni livello, riesce a dare a questi ragazzi? In che maniera tale contributo viene valutato? E quali conseguenze concrete producono gli esiti di tali processi di valutazione?
Forse si potrebbe discutere di università e del suo futuro anche così. Partendo da domande come queste. Da risposte basate su dati confrontabili e verificabili. Dalle risposte che sono state date in giro per il mondo. Forse.»
Raimondo Casaceli, lavoratore studente
La seconda che hai detto (cit.)
Flavia Cantiello, studentessa
Quello che io personalmente credo è che bisognerebbe guardare il quadro generale. Viviamo in una situazione tale che non si può fare uno scrolling di Instagram senza trovare sponsorizzazioni di JobApp; “il lavoro che cerchi è a 2,9 km da te!” neanche fosse un McDonald’s. E Likedin e la nuova piattaforma affine per cercare lavoro e i sondaggi che prevedono che i millenials saranno autonomi a 40 anni. Quello che traspare non è solo una condizione di grave crisi economica che causa il precariato, ma un crollo dei valori che potrebbe essere causato proprio da quest’ultima. “Devi fare presto a laurearti, senno ti scavalcano!” È normale pensare di avere il buon senso di seguire e sperimentare ciò che ci interessa e ci incuriosisce, ma poi il mondo, la quotidianità, i sondaggi ci paralizzano. A molti neanche importa più dei voti, il loro obiettivo è finire prima. E provare in tutti i modi di fare esperienza e trovare un lavoro che ci renda autonomi. Questo succede in particolar modo per tutti quelli a cui sta stretta la nomea di “bamboccioni italiani”, per quelli che vogliono l’indipendenza e la vogliono il prima possibile. E poi ci sono i ragazzi che lavorano già, proprio per questo motivo. L’università è solo part-time. Ben lontana dall’idea di istruzione ai tempi dei greci, in cui la filosofia formava l’animo umano. Tutto ciò porta alla superficialità, nelle azioni, nelle decisioni che vanno prese in fretta perchè non-possiamo-perdere-tempo. E questi sono i veri credit hunter. Quelli che non pensano al viaggio, ma alla meta. E guardano con aria malinconica le lauree altrui. Molti studenti volevano seguire le loro passioni, ma la situazione li ha scoraggiati. Molti si sono iscritti tardi. E quasi tutti si iscrivono a “Scienze della Comunicazione” perchè si sa, è la laurea che maggiormente rispecchia indecisione. L’obiettivo è la laurea, per sopravvivere, per essere indipendenti, per trovare un lavoro, per fuggire via da Napoli o dall’Italia, che ormai non fa altro che scoraggiarci. Siamo nel secolo in cui, già dal liceo ci veniva detto “Beh, ti devi laureare per forza! Il diploma non vale più come trent’anni fa! Non si trova lavoro da laureati, figurati con il diploma”. Per questo credo che l’Italia non sfornerà mai tanti geni quanto gli altri paesi. Perchè la percentuale di quelli che studiano per passione è molto minore. Siamo in corsa, è una staffetta, dobbiamo arrivare al traguardo sennò siamo fuori, schiacciati da una società che non conosce meritocrazia. Siamo la generazione dei “sotto pressione”. Allego il commento di un amico ad un articolo che lascia riflettere: «Non sono laureato in ingegneria a pieni voti e sono anche molto lontano dai migliori, non sono un figlio di periferia, non sono un emigrante dai 18, non sono universitario di risparmi familiari… sono un fortunato!!! Eppure vivo o vivrò probabilmente questa realtà. Chi mi conosce sa che non mi rassegnerò. Non so dove mi ritroverò però sognerò per sempre una carriera giustamente ripagata nella mia terra!»