Irene va al lavoro

Bacoli, 19 Dicembre 2020
Caro Diario, Irene Casa è stata una delle studentesse del corso di Cultura e Comunicazione Digitale nel 2016, però lei non è scomparsa appena dopo l’esame come accade nella maggior parte dei casi. In questi anni nella sua giovane vita sono successe tante cose. Come dici? Facciamo qualche esempio?
L’esperienza che ha fatto con me con la Prima A e con la Prima E del I.C. 83 Porchiano Bordiga. La laurea, come ti ricorderai il suo lavoro di tesi te l’ho raccontato insieme a quello di Vincenzo Orefice, un altro ragazzo molto in gamba, in questo articolo. La decisione di continuare i suoi studi a Barcellona, con me che ogni tanto le scrivevo per dirle di raccontarsi ancora e lei che ogni tanto, con mia grande gioia, lo faceva e lo fa. Infine il lavoro quello con la “L” maiuscola, perché sì amico Diario, Irene è una ragazza assai assennata e in gamba e alla sua età viaggiare, imparare, lavorare sono tutti verbi straordinariamente importanti. Come dici? Sono d’accordo! Lei non è solo brava a raccontare, è una che capisce le cose importanti, per esempio che oltre a saperle le cose bisogna anche saperle fare, che per saperle fare le devi fare, devi sbagliare e devi imparare e che questo è molto importante per il suo futuro. Ecco, con questo ti lascio al suo racconto, buona lettura.

iv

PIACERE, MI RACCONTO
di Irene Casa

L’ULTIMO POST

Disfruta de los tuyos
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Oggi a lavoro una collega mi ha detto: “Torni a casa? Si vede, hai una luce negli occhi.”
E quindi si, siamo a casa e l’aeroporto di Napoli non mi è mai sembrato così bello.
Con gli occhi stanchi ma finalmente con la pace nel cuore.
Io e Camilla viviamo nella stessa città e quest’anno le volte in cui ci siamo potute vedere forse si contano sulle dita delle mani.
Oggi ci siamo riviste nell’ aeroporto di Barcellona dopo 3 mesi. Restrizioni su restrizioni, per quartiere, per municipio, coprifuoco e runioni proibite. Soprattutto negli ultimi mesi, quando la paura di non poter tornare per Natale era reale, i nostri messaggi su wahtsapp erano solo di ansia e rabbia. Avevamo deciso che se ci avessero cancellato il volo saremmo tornate in nave e, se anche quello non fosse stato possibile, avremmo fittato una macchina e avremmo percorso i 1600 km e viaggiato 24 ore.
Il mezzo non era importante, il Natale a casa si. Troppo. E dopo quest’anno era sacro, intoccabile.
Qualche settimana fa una persona mi disse: “L’ essere umano è capace di adattarsi a tutto. Non capisco perché non riusciamo ad adattarci a un Natale diverso e che potremmo festeggiare magari più avanti.” Non lo so, non so perché non ci riusciamo, però so che non c’è niente di più necessario, vitale, intoccabile del passare questi 15 giorni a casa.
Proprio prima aspettando l’apertura del gate ci raccontavamo del livello di nervosisimo a cui eravamo arrivate nell’ultima settimana. A me è uscita un’infezione, solitamente in queste situazioni succede sempre cosi. Camilla si è svegliata tutta la settimana nel pieno della notte senza più riuscire a dormire.
Essere italiani all’estero è difficile. Lo è sempre stato e lo sarà per sempre. Ma quest’anno.. mamma mia, quest’anno..
Facendomi due conti ripensavo al fatto che nel 2020 ho visto i miei genitori e le mie sorelle per 15 giorni. 15 giorni in un anno per una a cui, arrivata ai due mesi di lontananza, salta l’allarme e prendo l’aereo per tornare anche solo per 2 giorni.
Non importava come, dovevamo e volevamo tornare. Dal 1 di dicembre ci siamo recluse in casa e siamo uscite solo per lavoro e commissioni necessarie. La paura del contagio era reale, la respiri e sai che non perdona. Quindi ieri abbiamo festeggiato l’esito negativo del test come la vittoria di un mondiale.
In Spagna quando sanno che ti riconcilierai con la tua famiglia usano l’ espressione “Disfruta de los tuyos”, “Goditi i tuoi” (riferito al tuo circolo stretto di familiari e amici). E quindi si, “disfrutaremos de ellos”, non importa se a un metro e mezzo di distanza.

#lavorobenfatto

INDICE
1. Il tempo della rosa, 23 Novembre 2015
2. La tesi di laurea, 17 Luglio 2017
3. Barcellona, 19 Gennaio 2018
4. Barcellona again, 9 Marzo 2018
5. Massa Lubrense, 30 Settembre 2018
6. Costruire, 5 Maggio 2019
7. Il regalo del tempo, 23 Maggio 2020
7. Disfruta de los tuyos, 19 Dicembre 2020

#lavorobenfatto

Il tempo della rosa
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«È il tempo che hai speso per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante».
Io, come molti della mia età, sono ancora alla ricerca della mia rosa. Intanto però, mentre mi guardo intorno e cerco di individuarla, mi dò da fare. Non so ancora quale sarà il mio futuro, non riesco ad immaginarmi tra 10 anni, quello che so è che non voglio aspettare, anche se non ho piani né progetti chiari.
Mi chiamo Irene Casa, ho 20 anni e frequento la Facoltà di Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa. Vengo da Massa Lubrense e dall’anno scorso per motivi di studio mi sono trasferita a Napoli, nei Quartieri Spagnoli. Si, da Massa Lubrense, gioiello della penisola sorrentina, ai Quartieri. In molti mi chiedono il perché di questa scelta, perché proprio i Quartieri. Beh, rispondo ogni volta che dopo un anno non me ne sono ancora pentita. Amo stare qui, nel cuore della mia città, sento di poterla vivere al meglio, sento di riuscire a coglierne tutti gli stimoli, sento di poter godere di ogni aspetto, estasiasmandomi e rammaricandomi per le cose meravigliose e orride che vedo ogni giorno.
 Se dovessi raccontare il momento di svolta nella mia vita, l’evento che più mi ha segnato fino ad ora racconterei sicuramente della mia esperienza lontana da casa, in un posto così particolare, tanto odiato e disprezzato e così poco conosciuto.
Sogno di poter essere sempre vicina alla mia città, sogno di non dover per forza scappare per trovare lavoro e raggiungere il successo. Io sogno di vivere e lavorare qui. È tanto sbagliato? È tanto paradossale? Sogno di poter essere sempre a contatto con tutto ciò che ora mi circonda, non voglio scappare, io voglio restare.
Dopo essermi diplomata al Liceo Socio-psico pedagogico di Meta di Sorrento, mi sono iscritta a Comunicazione nonostante la considerazione non altissima di questa facoltà, nonostante i tanti «Ma che vai a fare a scienze delle merendine?», «Scienze di cosa..?», «E dopo cosa puoi fare? Cosa puoi diventare? Ti offre opportunità di lavoro?».
Lavoro, lavoro, lavoro, ormai viviamo con l’ansia del lavoro, con l’angoscia del domani, con la rassegnazione di chi sa che «l’acqua è poca e la papera non galleggia». Sia chiaro, non è che per me il lavoro non sia importante, amzi mi schiero in prima fila tra queste persone, dico solo nel mio piccolo sto cercando di gettare le basi per quello che verrà.
Da ottobre seguo il corso di «Formazione e cultura digitale» e la prima lezione per me è stata una vera e propria scoperta, ascoltare i prof. parlare ha letteralmente smontato ogni mia certezza, mettendo in moto una serie di riflessioni, travolta dall’entusiasmo e dalla frenesia che ho respirato in quell’aula. Mi sento spronata e “messo in moto” dai ragionamenti che ascolto in classe e mi rendo conto che, per fortuna, ci sono ancora persone che scommettono su di noi, che vedono nei giovani la speranza che non muore mai, la fiamma che arde costantemente.
Da un anno faccio parte dello staff di RunRadio, la web radio del mio Ateneo, nel ruolo di autrice e da poche settimane scrivo per un giornale online. Cerco di sfruttare al meglio il tempo che ho a disposizione, cerco di approfittare delle opportunità che ho, in primis cerco di ripagare in qualche modo la possibilità che mi è stata concessa di poter vivere lontana da casa in una città così meravigliosa.
Si spero un domani di diventare «autrice», spero che continueranno ad esserci corsi come questo nelle Università, spero che le persone abbiano sempre la forza di credere nei giovani!
«Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno!».

#lavorobenfatto

La tesi di laurea
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A scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezza: un caso di studio.

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Barcellona
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Caro Prof.,
 è da un po’ che non ci si sente. Ho pensato a lungo a cosa scriverle e quando scriverle, ho rimandato a lungo questa lettera per troppi motivi, ma ora penso che sia trascorso il tempo necessario per poterle raccontare un po’ della mia nuova vita.
Il 2017 è stato un anno estremamente pieno, ricco di novità, esperienze e soprattutto cambiamenti. Un anno talmente denso da non rendermi conto né del tempo passato, né delle scelte importanti che hanno trasformato i miei progetti. Dall’esperienza insieme a lei all’Istituto Porchiano – Bordiga di Ponticelli, alla laurea arrivata così in fretta da aver perso completamente la percezione dei tre profondi anni trascorsi al Suor Orsola Benincasa, all’inizio di una nuova avventura all’estero.
Da settembre vivo a Barcellona e da ottobre frequento il master in Marketing y Ventas (Marketing e Vendite) all’Universitat de Barcelona. Ma andiamo per gradi.
Sicuramente si ricorderà dei nostri discorsi in circumvesuviana durante il breve tragitto da Barra a Piazza Garibaldi, quando terminati i nostri laboratori con i bambini di Ponticelli ci raccontavamo un po’ di cose: idee, progetti e pensieri, sempre con lo sguardo rivolto al futuro. Era un periodo di riflessione per me, come tutti i giovani della mia età dovevo iniziare a prendere qualche decisione un po’ più pesante, una di quelle che in un certo senso può condizionare il tuo futuro e ciò che vorrai fare nella vita. Ero in alto, altissimo mare, non sapevo precisamente dove andare a parare e ovviamente la paura di prendere scelte sbagliate ti condiziona ogni giorno, anche se non dovrebbe essere così, soprattutto a 22 anni.
Poi all’improvviso, dal nulla, spunta un’idea, una di quelle che ti sembrano illuminanti, che sembrano arrivare al momento giusto, che ti fanno pensare “Se non ora, quando?”.
A marzo parto per Barcellona per una settimana, viaggio per chiudere i tre anni al Suor Orsola insieme a una mia cara amica. Non sto qui a raccontarle i dettagli di quei sette giorni, né tutto il percorso fatto per giungere alla scelta definitiva, ma solo per dirle quanto possa cambiarti la vita un viaggio, quanto possa aprirti mente e cuore verso qualcosa che non avevi mai avuto il coraggio di prendere veramente in considerazione.
A luglio, dopo tre mesi infernali tra esami finali, lavoro e tesi, riesco a laurearmi alla prima sessione disponibile. A settembre sono pronta per trasferirmi e cercare casa: ironia della sorte, dopo tre anni vissuti a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, trovo casa in Spagna in Carrer de Sicilia, parallela di Carrer de Napoles. A ottobre inizio il master: inutile dire l’apprensione dei giorni precedenti all’inizio del corso, le preoccupazioni per la lingua (considerando che fino a 6 mesi prima non avevo mai studiato una parola di castigliano), l’ansia di confrontarmi con una materia mai affrontata così specificamente e in una classe di sconosciuti.
L’impatto, invece, non poteva essere migliore, mi sono ritrovata in una classe di 26 ragazzi provenienti da un’infinità di paesi diversi: Brasile, Colombia, Argentina, Uruguay, Venezuela, Panama, Guatemala, Cile, Salvador, Taiwan, Messico, Bolivia, Repubblica Dominicana, Spagna e Italia. Non potevo immaginare niente di più stimolante, confrontarmi ogni giorno con loro e con professori di altissimo livello è sicuramente l’esperienza più eccitante vissuta finora. Con i miei 22 anni sono la più piccola della classe, essendo un master la maggior parte degli studenti hanno già qualche anno di carriera alle spalle e un bagaglio di conoscenze sicuramente più ampio da cui non posso far altro che imparare.
Vivere a Barcellona, per chi viene da Napoli, è in parte sentirsi a casa. Una volta le dissi Prof che non avrei mai voluto vivere in una città in cui non ci fosse il mare, e mi sento fortunata anche in questo: posso continuare a guardare e respirare il mare, mischiandomi in una città tra le più cosmopolita al mondo, che accoglie tante culture senza dimenticarsi della propria, non smettendo mai di essere la capitale della Catalogna.
Quello che mi affascina di Barcellona è proprio questo: è una città globale, ti insegna per davvero a essere “cittadino del mondo”, ad apprezzare ogni piccola differenza. È una città estremamente viva, pulsante, giovane, carica di energia, travolgente.
Lo so, Professò, forse cosa starà pensando adesso. Probabilmente starà pensando a quella mia piccola biografia che le consegnai un paio di anni fa, quando ci conoscemmo. Ricordo perfettamente cosa scrissi, di quel mio sogno che avevo e ho di voler riuscire a non abbandonare Napoli, di potermi realizzare nella mia città.
L’esperienza che sto vivendo adesso all’estero, per la prima volta veramente lontana da casa mia sta rafforzando ancora di più il legame con la mia terra. Io penso a Napoli ogni giorno, ho bisogno di pensare a Napoli almeno una volta durante la mia giornata, ogni volta che vedo, sento, provo qualcosa di nuovo penso a come sarebbe stato a Napoli, a come si sarebbe vissuta a Napoli, a cosa avrebbero pensato a Napoli. Ogni giorno, anche qui, penso a cosa possa fare per lei, che ci ha dato così tanto attraverso la sua storia, la sua arte e la sua cultura e a cui sempre restituiamo troppo poco.
I miei tre anni ai Quartieri e questa esperienza a Barcellona penso che siano tutto ciò che di veramente importante ho vissuto finora, ciò di cui vado più fiera, due momenti della mia vita estremamente differenti ma attraverso cui passa tutta la mia crescita.
Non è facile avere vent’anni prof, e non è facile averli soprattutto adesso, dove ogni giorno ti senti assillato per il tempo che passa, per le esperienze che devi fare assolutamente perché se no diventi troppo vecchio. E allora corri, studi, lavori, impazzisci per trovare la tua strada, che nella maggior parte dei casi ti verrà sbarrata.
Non è facile avere vent’anni Prof, non è facile prendere continuamente decisioni che sai potranno condizionare il tuo futuro e i tuoi progetti, per poi renderti conto che niente di quello che stai facendo è davvero quello che vuoi fare o essere, non è facile sentirsi continuamente angosciati da questa sorta di orologio biologico che ci impongono, dove a 22 anni sei troppo giovane, ma a 30 sei già troppo vecchio, dove devi assolutamente studiare, laurearti, lavorare, però poi devi anche sposarti e avere tre bambini.
Non è facile correre dietro a tutte le esigenze che vuoi o non vuoi ti verranno imposte. È quello di cui parlo sempre con i miei amici, con i miei coetanei, tutti indistintamente soffriamo delle stesse paure, ci sentiamo terrorizzati dalle stesse cose, ci sentiamo al buio nello stesso momento.
Io non so cosa farò quando in estate si concluderà la mia esperienza all’Università di Barcellona, come sempre mi è capitato fino a ora non ho messo a punto un piano, non ho pensato a un progetto definito, forse continuerò a prendere le decisioni più importanti sempre un attimo prima, non lo so. Soprattutto non sono in grado di dare consigli, né voglio e pretendo di darli, l’unica cosa che mi auguro e che auguro a tutti i ventenni del mondo è di non cedere mai a quella paura e di non darla vinta a quell’inquietudine che ci attanaglia. Se ci credi solo un po’ di più e ti convinci solo un po’ di più e ci LAVORI solo un po’ di più, ogni giorno, instancabilmente, incrollabilmente, incondizionatamente, qualcosa di inaspettatamente meraviglioso ti attende proprio dietro quell’angolo, dove non avevi mai osato guardare.

#lavorobenfatto

Barcellona again
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Buongiorno Prof! Come vanno le cose? Volevo aggiornarla un po’. Nelle due ultime settimane ho fatto vari colloqui di lavoro, in realtà per cercare un tirocinio, in modo da poter avere a fine Master un’esperienza non solo teorica ma anche pratica.
Sono stata contattata da due grosse multinazionali e da una piccola impresa nata tre anni fa che sviluppa progetti a livello europeo in campo educativo, formativo e di sostenibilità ambientale.
Le confesso che pur avendo dovuto per ora accantonare l’idea di lavorare con le prime due perché gli orari non erano compatibili con quelli del master, che è una cosa sui cui sto investendo soldi e tempo e che voglio portare a termine bene fino alla fine, sono stata contenta che entrambe le società mi abbiano proposto di ricontattarle a fine Master per trovare una nuova soluzione di collaborazione.
Dalla prossima settimana inizio quindi con molto piacere il mio tirocinio con la terza azienda, quella più piccola di dimensioni, per la quale dovrò curare gli aspetti di comunicazione e marketing.
L’altra cosa positiva è che il tirocinio è anche retribuito e dato che io la mattina sono a lezione fino al giovedì mi hanno proposto di fare telelavoro,insomma lavorare da casa durante la settimana e in presenza il venerdì, il che mi permette di gestire il master e lo studio in maniera molto più flessibile.
P.S.
Mi fa piacere dirle che quest’azienda mi ha fortemente voluta non solo per i miei studi pedagogici ma anche perché ho raccontato e spiegato il nostro progetto nell’Istituto Comprensivo 83° Porchiano Bordiga di Ponticelli! Grazie mille ancora.

#lavorobenfatto

Massa Lubrense
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Buongiorno Prof! Il suo post di oggi mi ha ricordato che non dovevo più rimandare e dovevo scriverle per aggiornarla. Martedì parto nuovamente, dopo due mesi nella mia Massa. Ho avuto una proposta di lavoro da un brand molto importante e dopo giorni e notti tormentate ho deciso di accettarla.
L’ambito in cui lavorerò non è proprio quello che avevo immaginato, quello per cui ho studiato o quello che avevo pianificato, ma le dimensioni dell’azienda e la sua filosofia mi hanno spinto ad accettare. Ora le spiego: lavorerò al centro logistico europeo di questa azienda (praticamente dal centro dove sarò io si gestisce tutta la logistica continentale) e mi occuperò della comunicazione interna, di gestione del personale e di gestione dei progetti che si metteranno in moto. Sono stata assunta come responsabile logistico, un’area in cui non avrei mai pensato di lavorare e di cui so veramente poco, ma le condizioni sono buone e l’ambiente è molto disponibile (o almeno questa è l’impressione che ho avuto). Inoltre mi piace l’idea di costruirmi un profilo dinamico, che non sia focalizzato solo su un’unica area, e mi stimola (e allo stesso mi spaventa) l’opportunità di imparare cose totalmente nuove. Il direttore stesso mi ha parlato della loro filosofia, dicendomi che la crescita del personale è tra i principali obiettivi e che, quindi, le possibilità di crescere o di muoversi all’interno dell’azienda sono reali.
Non so se ho preso la scelta giusta per me, già sto accusando la distanza da casa mia e dai miei affetti, e il sapere che adesso è “lavoro” e non più tirocinio o studio mi mette un po’ di pressione. La sua opinione per me è sempre importante per questo ho voglia di tenerla aggiornata di tanto in tanto.
In questi giorni ho anche letto della nuova tematica scelta da lei e dalla Prof. D’Ambrosio per il percorso di quest’anno, il tempo. Ci sarebbe tanto da dire, la mia percezione del tempo adesso è agli antipodi, a volte sento di avere ancora tutto il tempo e gli anni del mondo, di potermi concedere qualche pausa, di poter rallentare, altre volte, invece, sento di dover correre, non sprecare nemmeno un minuto, approfittare al massimo di questi anni. Insomma, se in questo momento dovessi aggiungere una citazione a quelle che lei ha scelto e su cui lavorare quest’anno, utilizzerei quella del meraviglioso Robin Williams in uno dei suoi capolavori, “L’attimo fuggente”: “Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà.”
Tornando alla mia nuova sfida, in realtà avevo anche tante altre idee e progetti in mente, il pensiero di dover lasciare casa di nuovo per una come me, che è visceralmente legata alle sue radici, è duro da accettare e da metabolizzare, ma sento che questa opportunità potrebbe essere adatta per valorizzare bene il mio tempo da 23enne.
Ala fine, Prof., tutto gira sempre intorno a lui, al tempo e ancor di più alla sua percezione, a quel tempo che è sempre troppo o troppo poco, che ci sfugge o che crea attese interminabili. Spero di essere felice in questo nuovo viaggio e di avere sempre la saggezza di saperlo valorizzare.
La lascio con la citazione che le scrissi in quella prima lettera con cui mi ha conosciuta e che sembra chiudere un po’ un cerchio (strano, no?).
Le auguro un anno ricco di cose belle e soddisfazioni. La sua grinta e determinazione lo meritano. Ecco la citazione: «È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante.»

#lavorobenfatto

Costruire
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“Alla sua età viaggiare, imparare, lavorare sono tutti verbi straordinariamente importanti. […] Lei non è solo brava a raccontare, capisce le cose importanti, per esempio che oltre a saperle le cose bisogna anche saperle fare, e per saperle fare le devi fare, devi sbagliare e devi imparare”.

Caro prof., questo è ciò che scriveva di me l’ultima volta che le parlai dei miei progetti. Da allora le cose sono andate avanti, velocemente e nella direzione in cui speravo, però oggi rileggendo queste sue parole non ho potuto fare altro che sentirmi completamente immedesimata nel concetto.
Da dove cominciare? Magari dal fatto che non ci sono arcobaleni senza pioggia e non ci sono mari calmi senza mari tempestosi, perché sì, prof., gli ultimi tempi per me sono stati esattamente così. Quando ad ottobre presi di nuovo quel volo solo andata Napoli-Barcellona non sapevo realmente cosa mi stesse aspettando. Come le dissi, avevo accettato una proposta di lavoro come responsabile logistico, avrei dovuto occuparmi della gestione e dello sviluppo di un team di persone tanto a livello umano quanto a livello processuale e organizzativo. Questo è quello che sapevo, cercavo di immaginare come sarebbe potuta essere la mia quotidianità ma non ci riuscivo. Ne sapevo davvero poco, anzi nulla, ero cosciente solo del fatto che i colloqui in quell’azienda mi avevano affascinato e che la valorizzazione delle risorse umane così come me l’avevano descritta aveva richiamato la mia attenzione. Quindi, perché no? Era il momento di uscire per l’ennesima volta dalla mia zona di confort.

Credo di non aver mai vissuto un cambiamento così traumatico nella mia vita: le prime settimane sono state infernali, capivo il 10% di quello che mi veniva spiegato, per la prima volta riuscivo a sentirmi un pesce fuor d’acqua, insomma una che lì, in quel contesto, non c’entrava nulla. Mi sentivo completamente ignorante in materia, nel senso che davvero, ma davvero non avevo la minima idea di quello che rappresentava la logistica per un’azienda così grande e in uno dei centri più importanti in Europa. Inoltre, avevo cominciato a fare conti con uno stile di vita completamente diverso da quello a cui ero abituata, iniziava l’inverno e ciò significava entrare a lavoro quando il sole non era ancora sorto del tutto e uscirne quando era ormai già tramontato. Mi sembrava qualcosa di orribile e la mancanza di casa la soffrivo mille volte di più e in maniera più amplificata. Ogni mia giornata, quindi, si concludeva con una chiamata a casa condita da pianti isterici e frasi malinconiche. Per qualche tempo pensai davvero di mollare tutto, non dovevo per forza soffrire così tanto, non dovevo vederla per forza come una sconfitta, ho 23 anni e a 23 anni puoi ancora fare marcia indietro tutte le volte che vuoi.

Questo era quello che mi ripetevo, ma non era quello che pensavo davvero.
Il mio orgoglio e la mia rigidità per certi versi mi avrebbero sempre fatto rimpiangere una scelta simile. Così l’unica cosa che mi restava da fare era provarci e andare avanti.
Sa prof., penso che in questi casi, soprattutto in questi casi, l’ambiente che ti circonda vale tutto e, infatti, l’ecosistema aziendale è stata davvero l’unica cosa, all’inizio, che mi ha fatto stringere i denti. Non sto qui a descrivere tutto ciò che ho apprezzato e apprezzo ogni giorno arrivando al mio posto di lavoro, ma so per certo che nei momenti in cui la forza, la fiducia e la grinta non la trovi in te stesso devi trovarla negli altri.
È stato più o meno quello che ho fatto io, mi sono fidata e affidata ed è così che i mesi passavano e un mattone si aggiungeva ad un altro mattone.
Il mese scorso, quando il mio responsabile mi ha riferito di volermi come contratto a tempo indeterminato inconsciamente ho scaricato tutta la tensione accumulata precedentemente. Per la prima volta ho voluto davvero sentirmi orgogliosa, fiera, piena per l’obiettivo che avevo raggiunto.

Le opportunità che mi sta dando questo tipo di lavoro credo siano incredibilmente fondamentali per colmare e migliorare i miei punti deboli: ogni giorno sono responsabile della carriera professionale delle persone del mio team, ogni giorno ho l’opportunità di confrontarmi e di seguire personalmente l’andamento di un ragazzo di 18 anni e di un uomo di 50, ogni giorno profili così diversi si affidano a me per la propria crescita personale e io mi affido a loro per ottenere risultati positivi. Non credevo davvero che la logistica potesse essere il mio mondo, però la logistica fatta in questo modo può sicuramente appassionarmi.

Quando penso agli ultimi mesi mi viene in mente una canzone di Niccolò Fabi. Si chiama “Costruire”, mi viene in mente perché è esattamente quello che sto cercando di fare io da quando ho iniziato a mettere piede fuori casa. Costruire, cercare di mettere insieme esperienze, vittorie, fallimenti, gioie, tristezze, momenti euforici e momenti estremamente malinconici. Costruire, pretendere sempre qualcosa in più, approfittare di questo tempo.

Se lo ricorda il tempo, Prof? Quanto è dannatamente prezioso. La canzone nel suo ritornello dice: “In mezzo c’è tutto il resto
 / E tutto il resto è giorno dopo giorno 
/ E giorno dopo giorno è
 / Silenziosamente costruire / 
E costruire è sapere / 
E potere rinunciare alla perfezione”.
Se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi mesi è questa: saper rinunciare alla perfezione, alla sicurezza di saper fare bene qualcosa. Riconoscere i propri limiti e sentire il dovere di provare a superarli, anche se non dovesse andare come speri. Credo sia questo quello che sto cercando di fare ed è proprio quella che mi scriveva lei qualche mese fa: “Per saperle fare le cose le devi fare, devi sbagliare e devi imparare”.
Con lo sguardo al futuro come sempre non so collocarmi in nessun posto e in nessun contesto ben preciso. Il mio cuore resta lì, lei lo sa dove, in quel posto dove spero di poter finire un giorno, lì dove, nonostante tutto, sento il bisogno di stare e ritornare. Ho tante idee, tanti progetti e a volte penso di non avere abbastanza anni per poter fare tutto ciò che sogno di fare. Ho solo una speranza: qualsiasi cosa accada voglio che rimanga intatta la stessa passione che ho e che sento adesso.
“Tutto il resto è giorno dopo giorno…”, le lascio il video della canzone, immagino che lei non la conosca.

 
#lavorobenfatto

Il regalo del tempo
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“Io sono bravo a fotografare, non ho studiato, è qualcosa di innato. So, però, che se non mi alleno e non mi esercito dimenticherò gran parte di quello che so fare”. Me lo disse un mio amico una volta per convincermi a scrivere di più.
Caro prof., penso a questa frase ogni volta che mi ricordo che non le scrivo da tanto tempo, non per pigrizia, ma per quella falsa convinzione di non avere niente da raccontare. Si ha sempre qualcosa da raccontare. In un dei libri che ho letto durante la quarantena si diceva che l’ispirazione non nasce fino a quando non ti siedi da sola in silenzio con il foglio vuoto davanti, e così stamattina ho deciso di provare a vedere se fosse vero.
Dall’ultima volta che le ho scritto, in cui le raccontavo del lavoro e dell’impatto che stesse avendo su di me, non sono cambiate poi tante cose. O forse si. Alla fine pensi che la tua vita stia scorrendo normalmente e con una certa conformità, ma quando ti guardi indietro ti rendi conto che non è mai così.
Dopo oltre un anno trascorso a lavorare nello stesso settore logistico, con gli stessi colleghi e lo stesso team mi viene proposto di muovermi a un altro a partire dall’inizio di quest’anno. Un team più grande, con un’altra organizzazione, altri processi e altre millemila cose da dover imparare. Alla fine la tranquillità, la convinzione di saper dominare qualcosa, di poter contar su determinate persone piace a tutti, e quindi quando dovetti salutare tutto questo per cominciare di nuovo da zero, con altri colleghi, un team diverso e processi diversi, pensai che era la peggiore delle fortune possibili. Ovviamente non ho avuto molte altre occasioni di pensare a questo perché una volta realizzato il cambio le cose succedono e passano così velocemente che non hai il tempo di continuare a rimpiangere i momenti andati. Devi solo focalizzarti sull’obiettivo.
C’era però una cosa che chiedevo e che sentivo mi mancasse: il tempo. Immancabile protagonista di tutte le nostre conversazioni, prof, e ancora una volta presente, come sempre. L’unica cosa che pensavo era: “Ho bisogno di più tempo, tempo per conoscere le persone, per formarmi, per studiare la nuova organizzazione”. Ma la situazione difficile che trovai nel nuovo settore non lo permettevano, quindi dovetti imparare “sobre la marcha”, come dicono qui, cioè “facendo”.
Poi all’improvviso è successo quel che è successo, quel virus in Cina di cui sentivamo parlare in TV non era più così lontano. Prima a cadere l’Italia e dopo poco la Spagna. L’estendersi della pandemia ha riversato le aziende in una crisi grave, l’attività economica si è fermata all’improvviso, tutti i centri d’Europa hanno cominciato a rallentare la produzione e le vendite. Le conseguenza le conoscono tutti, le stiamo vivendo e continueremo a viverle. Con la cassa integrazione del 80% del personale mi sono ritrovata a lavorare in un contesto completamente diverso, con un’attività completamente controllata e con un centro che passa dall’ospitare più di 300 persone ad averne 30.
Tutti abbiamo avuto e vissuto quella sensazione di surrealismo durante questo periodo, ma se c’è una cosa che questa pandemia mi ha regalato è stato proprio il tempo. A lavoro ho avuto tempo per ricollocarmi, formarmi, imparare dalla pratica e non dalla teoria. Nella vita personale ho avuto tempo per risistemarmi in una nuova casa, focalizzarmi su cose che prima pensavo impiegassero troppo tempo, ho ricominciato a leggere, altra cosa che avevo abbandonato con la scusa del “tempo”.
In poco più di un mese ho letto la tetralogia de “El cementerio de los libros olvidados” di Carlos Ruiz Zafón, per scoprire e conoscere ancora di più la Barcellona che mi ospita. Ho avuto tempo di svegliarmi con il cinguettio insistente degli uccelli, qualcosa di abbastanza strano in una città così grande, tempo per ascoltare il silenzio e ammirare la rivincita della natura. Ho visto i cinghiali scendere dalle colline che circondano la città e riversarsi nelle strade, senza paura. Ho pensato che il male che abbiamo fatto al nostro pianeta durante secoli deve essere davvero qualcosa di immane se in soli 30 giorni la natura ha la forza di ricomporsi e mostrarsi in così tanta bellezza.
Adesso che si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel inizio a sentire un po’ la nostalgia del tempo di questi mesi. È strano, lo so, ma so anche che in men che non si dica la vita frenetica che siamo abituati a vivere prenderà di nuovo il sopravvento. Ci aspettano momenti duri, a quello che si dice la peggior crisi dell’ultimo secolo, dicono gli economisti. Non so che ne sarà di me e di noi, però penso che tra 20 anni quando racconterò della pandemia ai mie figli, oltre a tutto l’orrore che ha portato, potrò raccontare di un mondo che fu costretto a fermarsi, che si riscoprì. Soprattutto potrò raccontare del tempo che mi fu regalato.
Prometto di scriverle di più, Prof. Alla fine, come sempre, il tempo è solo una percezione.

Zafòn