Caro Diario, questa storia ha inizio un sabato mattina di un’estate fa, quando insieme a Patrizio e Giovanni Fiscina siamo partiti da Caselle in Pittari per andare a trovare Gianfranco Montano nella sua bottega a Sant’Arcangelo. Avevamo superato da poco Montesano sulla Marcellana quando Giovanni ha iniziato a raccontare il suo sogno, la sua idea di bottega in fabbrica, e io sono tornato per la milionesima volta alla discussione tra Richard Sennett e Hanna Arendt, all’idea di Sennet che “fare è pensare” e alle differenze della Arendt tra il lavoro che è il prodotto dell’animal laborans e l’opera che è il prodotto dell’homo faber.
“Questa volta non ho dubbi”, mi sono detto, “sto dalla parte di Sennett. È evidente che Giovanni è un uomo artigiano come Gianfranco, Patrizio e me. Siamo fabbricanti di storie, loro tre con le scarpe e io con le parole, persone che amano quello che fanno, che pensano che il lavoro dà identità, senso e significato alle loro vite, li aiuta a stare bene, a migliorarsi e a fare meglio, a conoscere persone e a scoprire possibilità, proprio come accadrà oggi”.
Fuori dai finestrini tanta luce e verde, alberi; tra una chiacchiera e l’altra arriviamo a destinazione. Poi l’abbraccio con Gianfranco, le presentazioni e il mio occhio che cattura l’insegna con la scritta “calzolaio”, solo questo. Entriamo, ciack, si comincia.
IL BANCHETTO
Chiedo a Giovanni di registrare le parole di Giianfranco, lui accetta volentieri ma poi forse se ne pente, lo assillo per tutto il tempo dicendogli di stare vicino al nostro amico calzolaio perché parla a bassa voce e va finire che non si sente. Il mio giovane amico è educato e mi vuole bene, altrimenti mi avrebbe mandato dove aveva tutto il diritto di mandarmi.
Gianfranco inizia parlando del banchetto, del montaggio della calzatura e degli attrezzi che si usavano una volta e che continuano a servire, “servono sempre”, dice. Poi ci mostra il bancone di lavorazione che usa sia per la riparazione che per il montaggio, ci indica le tomaie che ha appena finito di tagliare, montare e cucire e passa al banco di fresaggio con le varie macchine da cucire comprese la blacke, la pressa e tutta la comodistica che serve per il montaggio della scarpa. Accenna alla scaffalatura con le forme dei clienti, che naturalmente sono solo una parte, poi si ferma e dice che così non va bene, bisogna fare un passo indietro e ricominciare dal principio.
IL MAESTRO E FRANCIS FORD COPPOLA
“Prima di tornare in Basilicata ho lavorato in un’azienda di parmigiano a Parma, insomma facevo tutt’altro”, inizia. “Quando sono arrivato qui ho visto che mancava una figura di calzolaio e riparatore”, continua. “Ho fatto un primo corso da riparatore a Foggia, dopo di che ho aperto la bottega.
Trascorre un anno, più o meno, e uno zio di mio padre viene a sapere che in famiglia c’è un calzolaio, un altro calzolaio per meglio dire. Ad agosto scende da Firenze, trova la bottega chiusa perché sono in ferie e allora sapete che fa? Mi lascia un biglietto sul quale scrive ‘Ciao, sono Angelo Imperatrice, tuo parente, contattami appena puoi.’
Quando lo contatto mi invita a Firenze e grazie a lui scopro la bella realtà degli artigiani fiorentini della pelle. Mi innamoro della città, del Rinascimento, dell’artigianato, del cuoio, dell’odore delle botteghe. Inizio a fare dei corsi, due volte o tre volte al mese, faccio proprio la tramvia da qui a Firenze: parto la notte, arrivo la mattina, seguo il corso e torno indietro, vado avanti così per circa dieci anni.
È stato quando ho iniziato a capire che, partendo da zero, da un manto di pelle liscio potevo creare un paio di scarpe che mi sono innamorato di questo lavoro, che mi è venuta la passione. È stata quella la scintilla da cui è partito tutto. La visione da calzolaio fa sì che quando apri il manto della pelle che devi iniziare a tagliare già immagini come verrà la scarpa. Per me è questo il momento più bello, quello in cui immagini come deve venire la scarpa, è per quello che il lavoro diventa passione.
Grazie a questo mio zio maestro ho avuto la fortuna di potermi formare al Polimoda Fashion School di Scandicci e all’Accademia Riaggi, ho potuto avere accesso al formificio, ho potuto farmi fare le forme su misura, ho potuto trovare i pellami che ancora oggi compro a Firenze, mentre per gli accessori mi rifornisco da un grossista che sta a Roma. Mi piace guardare con i miei occhi e toccare con le mie mani quello che mi serve, e nella grande maggioranza dei casi quello che mi serve me lo faccio fare secondo le caratteristiche che voglio io.
Vale anche quando uso materiale vegetale, la pelle me la faccio fare dello spessore che voglio, quello che mi serve, perché la pelle dipende pure dalla scarpa che devi fare, se la vuoi un po’ più pesante ci metti uno spessore più pesante; naturalmente dipende molto anche dal cliente, quando fai i lavori su misura anche questo ti fai dire da lui,se vuole una scarpa più rigida più consistente devi aumentare un po’ di spessore, se invece vuole un paio di scarpe che gli calzano come un guanto lo spessore deve essere un po’ di meno.”
Gianfranco si ferma, sorride, ci chiede se vogliamo un caffè, la risposta che prevale è “dopo”, siamo parecchio presi dalle sue parole. Riprende e ci racconta di quando fa le prime scarpe e comincia a girare la voce che c’è un calzolaio che fa scarpe a mano su misura fatte come si devono fare. Sottolinea che non ha mai fatto un catalogo, perché non vouole standardizzare il prodotto, preferisce parlare ogni volta con le persone, fare una lunga chiacchierata con loro, capire bene quello che vogliono e come intendono utilizzare le scarpe che acquistano da lui. Aggiunge che nel primo periodo lo aiutano i social, qualche intervista, insomma il passaparola iniza a farsi più insistente fino a che arriva la direttrice di Palazzo Margherita, l’albergo acquistato nel 2006 da Francis Ford Coppola a Bernalda, e gli dice che Coppola ha bisogno di un paio di scarpe.
“Per genio e per caso”, penso io, “le cose accadono quando uno si trova al momento giusto al posto giusto perché è preparato e perché sa cogliere l’attimo”.
“Francis Ford Coppola ha determinato il salto di qualità alla voce passa parola”, fa lui come se mi avesse letto nel pensiero. “Da Coppola in poi cambia tutto, rimane a tal punto contento delle scarpe che scrive una mail ai suoi amici e mi presenta come il suo calzolaio di fiducia. Da lì le interviste si moltiplicano, e poi pian piano anche le persone che scelgono me per fare le loro scarpe, che restano soddisfatte e ritornano, che è la cosa più importante, perché se tornano vuol dire che hanno apprezzato la qualità, la comodità, l’unicità della scarpa che ho fatto per loro. Accade così che nel tempo arrivano nella mia bottega Carlo Conti, Rocco Papaleo, Javier Zanetti, Albano, Lino Banfi, Enzo Salvi e tanti altri.”
‘O ‘NGRIPPO
È qui che mi ha preso ‘o ‘ngrippo, come dicevamo a Secondigliano da ragazzi, che insomma mi si è ingrippato il cervello, caro Diario. È stato quando ho visto la forma del piede di Francis Ford Coppola che mi sono sentito come Joliet Jake e Elwood mentre sono in chiesa in The Blues Brothers e ho avuto la visione: la forma del mio piede di fianco a quella di Coppola.
È stato un attimo e non ho capito più nulla; ho chiesto a Gianfranco quando costa un paio di scarpe fatte da lui con cucitura Goodyear, mi ha detto il prezzo e ha aggiunto lo sconto che mi avrebbe fatto, che è esagerato, ma comunque è troppo di più di quello che penso io debba spendere per un paio di scarpe. La testa mi dice che non è cosa, il cuore invece dice sì, lei ribadisce che è una follia, lui risponde che anche la pazzia è ammessa una volta nella vita.
La testa da una parte, il cuore dall’altra e io in mezzo che mi sento come Charlie Bucket ne La fabbrica di cioccolato. È quando gli occhi di Patrizio incrociano i miei che prendo coraggio. Poi penso a Cinzia che quando la raggiungerò in spiaggia mi dirà che ho fatto bene e prendo la decisione, però non lo dico ancora, propongo a Gianfranco di fare un gioco, una specie di simulazione su come procederemmo se decidessi di farmi fare le scarpe da lui, ecco quello che è venuto fuori.
LA SIMULAZIONE
“Quali sono le caratteristiche fondamentali che devono avere le tue scarpe?”, mi fa lui.
“La comodità e la bellezza”, rispondo io. “Da dove cominciamo?”
“Che colore ti piace?”
“Blu Notte.”
“Va bene, Blu Notte. Hai in particolare un tipo di modello che ti piace, che non trovi più, che non hai mai portato e ti piacerebbe farlo?”
“In una tua foto ho visto un paio di scarpe che non hanno né lacci e né asole, però colore celeste.”
“Il colore non è un problema, le facciamo come vuoi. Penso di ricordare a quale scarpa ti riferisci, è un tipo simile a un mocassino. Dato che non ti piacciono i lacci li eliminiamo. La scarpa la vuoi utilizzare tutto l’anno o solo in un determinato periodo?”
“Quella che posso utilizzare tutto l’anno di che tipo di pelle è fatta?”
“Direi che usiamo un bel vitello morbido, concia vegetale, così lo possiamo tamponare a mano. Poi mettiamo all’interno un’asoletta di cuoio da 3 mm, che isola il piede sia d’estate che che d’inverno.
Vuoi camminare sul cuoio come battistrada o vuoi camminare sulla gomma? Quale preferisci?”
“Qual è che ammortizza di più?”
“La gomma. Guardandoti direi che devi stare su una scarpa che deve avere almeno un 2 centimetri e mezzo barra 3 di tacco per una questione di postura. Da questo punto di vista sconsiglierei il mocassino, alzerei un po’ sul tallone e metterei un fondo in gomma.”
“Va bene, come hai già capito mi piacerebbe poter indossare la mia scarpa tutto l’anno.”
“Si può fare, facciamo uno spessore da 1,2 però mettiamo una fodera da 0,9 in vitello naturale. Il fondo lo facciamo in gomma però abbiamo una soletta all’interno dove poggerà il piede che è di cuoio da 3,5 mm. La soletta ti isola, d’estate ti assorbe il sudore e d’inverno ti isola dall’umidità del terreno.”
“Va bene, definite le caratteristiche della scarpa poi che succede?”
“Prendiamo le misure e poi faccio un modello di prova che indossi per darmi modo di verificare come stringe sul collo del piede, se la pianta è stretta, lunga, corta o giusta, se scivola dietro e altre cose ancora.”
“Si misura un volta sola?”
“Di solito due, ma dipende dai casi. Un mocassino conviene farlo misurare due volte, perché se non è preciso al millimetro scivola dietro, anche perché i pellami con il tempo e con l’uso cedono. Comunque il tipo di scarpa lo vediamo dopo, quello che è importante è che una volta fatta ti deve calzare a pennello. Dopo di che te la spedisco a casa e nella scatola con le scarpe troverai un sacchetto, una spazzolina per pulire la scarpa con una piccola crema e i due tendiscarpa in cedro.”
“I tendiscarpa?”
“Certo, per quando non usi la scarpa, le tieni con il tendiscarpa all’interno. La scarpa tra un uso e l’altro la devi far riposare, perché l’umidità del piede è assorbita dalla pelle, dal cuoio. Il piede di legno in cedro assorbe l’umidità e fa in modo che la scarpa rimanga intatta.”
“Bisogna trattarle bene le scarpe”.
“Esatto. Se si fa la giusta manutenzione la scarpa dura, non finisce mai, però bisogna averne cura, a partire dalle piccole cose. Per esempio, la scarpa la devi togliere con le mani, non con i piedi, perchè bisogna fare una pressione notevole per toglierla e spingi oggi, spingi domani, se lo fai con i piedi oltre a deformarsi si scolla.”
L’ACCURATEZZA DELLE MISURE
Avrei fatto altre mille domande amico mio, ma ha vinto il desiderio e così ho detto a Gianfranco di prendere le misure e procedere con le mie scarpe da mettere tutto l’anno con cucitura Goodyear. Le foto che vedi, amico Diario, sono una piccola parte di quelle che ha scattato Patrizio per testimoniare l’accuratezza con cui Gianfranco si dedica a questa fase.
IL PROCESSO DI LAVORAZIONE
Lo confesso, questa cosa delle misure mi è piaciuta un sacco, così dico a Gianfranco di non perdere il filo del racconto. Lui mi guarda, capisce, sorride e dice che adesso che ha preso le misure bisogna preparare la forma delle scarpe e poi realizzarla con il suo proprio codice.
Come prima cosa si metterà a disegnare sul nostro adesivo il modello basato sul mio piede rappresentato da una delle forme che ha in bottega. Una volta disegnato per bene il modello rivestirà la forma con un nastro e aggiungerà la carta con le misure che ha preso, mentre il passaggio successivo lo porterà a creare una sorta di “camicia” su un cartoncino bianco, che in pratica è il nastro che ha tolto dalla forma. A partire da lì andrà a realizzare tutta la modellistica, sempre su carta.
“Ti faccio un esempio”, aggiunge, mentre Patrizio e Giovanni, che sanno il fatto, sorridono. Dopo di che mi mostra un disegno, una camicia con tutti i pezzi realizzati per un’altra scarpa, punta, laterale, elastici, il topponcino.
“La stessa cosa farò con la fodera”, continua, “nel senso che andrò a realizzare la fodera prima sul cartoncino e poi sul pezzo di pelle stessa, e lo stesso farò con la tomaia, cartoncino e pelle, cartoncino e pelle”.
A questo punto si ferma, cerca un bicchiere, si verse un poco d’acqua e beve. Quando riprende a raccontare comincia dal momento in cui inizia a scarnire i pezzi, dato che quando taglia le ghette ha due spessori notevoli che vanno scarniti. Mi spiega anche che quando i modelli sono pochi li fa a coltello, altrimenti usa la macchina elettrica, e che in ogni caso assottiglia quella parte e poi la va a regolare, perché sia nel tipo “a scivolo” che in quello “a zip” deve accoppiare due materiali e dunque non può lasciare troppo spessore, deve necessariamente assottigliarlo.
“Una volta che ho scarnito il tutto”, continua, “inizio a montarmi la tomaia e a cucirla, dopo di che ci cucio la fodera intorno. Una volta che è montata la tomaia inizio a preparare la forma, che vuol dire che inizio a mettere il cuoio sotto la forma che ho realizzato con le tue misure. Inchiodo, bagno e inizio a modellare, in pratica preparo il cuoio sotto la forma del tuo piede.
Una volta che la forma è bagnata, inizio a grattarla all’interno con un vetro. È anche questo un passaggio importante, perché altrimenti il piede non respira; per far respirare il cuoio mi metto a grattare con il vetro e tanto olio di gomito, lo faccio con il vetro perché va a togliere solo la prima patina della pelle.
Finita questa fase inizio a preparare i puntali e i contrafforti.
Anche qui bisogna fare un bagno veloce per ammordire, in alterntiva si ammorbisce solo manualmente perché comunque poi il tutto si deve asciugare per metterci la colla al vegetale a scagliolino. Tieni presente che quando si inizia a montare la tomaia con questi puntali ho al massimo due ore di tempo perché altrimenti si indurisce, il che vuol dire che in quelle due ore non mi deve disturbare nessuno.”
Qui si infervora il mio amico calzolaio. Ribadisce che quando deve montare questa tomaia sulla forma del mio piede deve essere assolutamente precisa, e tirata bene, senza piegature.
“Per questo lo faccio o la mattina molto presto”, conclude, “diciamo a partire dalle 5:00, o al pomeriggio dalle 14:00 fino alle 17:00 che non viene nessuno. Ripeto che è una fase molto importante e delicata perciò spesso mi chiudo e non apre a nessuno. Vincenzo, devo procedere per forza così; quando cuci le tomaie non ti devono proprio disturbare perché se sbagli la punta è finita, devi buttare tutto, in pratica la scarpa è già fatta e non c’è modo di correggere l’errore.”
IL VIAGGIO DI RITORNO
Mentre torniamo verso Caselle, anzi verso il mare dove mi aspetta Cinzia, cerco da Patrizio e Giovanni feedback che confermino che la pazzia che ho fatto non è ho troppo grande. Devo dire che entrambi non hanno dubbi, Patrizio mi ripete più volte che insieme alla bellezza del fatto e del processo che abbiamo condiviso, anche dal punto di vista economico Gianfranco ha fatto il massimo.
“Prof. la qualità costa”, mi dice a un certo punto. “Costano i materiali, ci vuole tanto lavoro e tanto tempo per fare le cose fatte bene come le fa lui. Tu sei il maestro del lavoro ben fatto, e anche un sociologo del lavoro, queste cose le insegni tu a noi, perciò tranquillo. Gianfranco ti ha fatto un regalo.”
Giovanni guida, io sto seduto davanti di fianco a lui, mi giro, guardo Patrizio, gli sorriso e gli batto con la mano sulla spalle come per dirgli insieme che lo ringrazio e che sono d’accordo con lui. Giovanni fa sì con la testa, continuiamo a parlare della bella mattinata che abbiamo trascorso insieme a Gianfranco, dei progetti di Giovanni, delle tante possibilità che un giovane e bravo artigiano delle calzature come lui ha davanti a sé, insomma le cose che ti ho raccontato qui.
LA PRIMA PROVA
Caro Diario, Gianfranco sa che non guido e mi fa un altro regalo, mi viene a trovare lui a Caselle per la prima prova. Ha con sé tutto l’armamentario, i due modelli di prova, la pelle con la quale farà le mie scarpe, un pezzetto di fodera, alcune delle cose che mi lascia alla fine le puoi vedere nella foto sotto.
Mi fa indossare i due modellini, stringe, allarga, riprende misure, segna tutto su un suo quadernetto, decide quale dei due modelli è la mia scarpa e poi mi chiede di mostrargli un paio di scarpe che mi piacciono e che uso molto. Anche se non capisco cosa vuole fare naturalmente eseguo e gli porto le scarpe, lui osserva tacco e suola, si sofferma sulle parti dove sono più consumate e me le fa indossare, dopo di che mi chiede di camminare, avanti e indietro per il corridoio con lui che mi segue, e infine mi conferma che da un lato ci vuole un piccolo rinforzo. A pensarci adesso, uno spettacolo nello spettacolo.
Finita questa parte ritorniamo a parlare prima del colore, ribadisce che il tipo di blu lo sceglieremo poi insieme, e poi del modello. Io riprendo da dove avevo cominciato da lui in bottega, lui mi fa parlare, ne discute con me, poi a un certo punto mi dice “Vincenzo, ti devi fidare di me, la tua scarpa deve avere una doppia fibia, è la scarpa per te, senza lacci e asole come dici tu, ma non un mocassino, una scarpa più classica, la tua scarpa. Se ti fidi di me rimarrai contento, ci metto la firma”.
Sto per dirgli che a me il tipo di scarpe di cui parla lui non piacciono tanto, poi però penso alle mie storie e a quanto è importante, per me, raccontarle come piace a me e a quel punto mi fermo. A me stesso dico “hai voluto le scarpe fatte con la testa, con le mani e con il cuore?, e allora lascia fare all’autore. Gli hai dato tutte le indicazioni, stai a posto, adesso lascia fare a lui, il processo creativo è suo, non tuo.” A lui invece “Gianfranco per me possiamo procedere, crea liberamente la scarpa che hai pensato per me”. “Vedrai che ti piacerà”, mi risponde.
TU CHIAMALE SE VUOI, EMOZIONI
Ogni volta che sullo schermo mi appare una foto di Gianfranco è un’emozione. Anche se a distanza, seguo tutte le fasi di realizzazione delle mie scarpe. Ogni tanto lui mi chiede un feedback, soprattutto sul colore si fa guidare e mI guida allo stesso tempo, mi suggerisce di tenerle un poco più chiare di quello che vorrei, “con il tempo si fanno più scure”, mi dice, “e in ogni caso ti porto io la crema adatta a scurirle”, aggiunge. Non sono solo contento di accettare il suo suggerimento, adesso se io fossi Dante lui sarebbe Virgilio, mi lascio portare da lui, io lo seguo senza problemi.
È STATA ‘NA CAPATA
Una settimana prima della consegna decidiamo con Gianfranco che anche stavolta viene lui a Caselle, la volta precedente siamo stati da Giuseppe in Jepis Bottega, gli è piaciuto tanto, ci siamo detti che così facciamo una bella chiacchiera e Giuseppe si è detto disponibile a fare qualche bella foto, ne ho selezionate una parte, di più mi sembrava esagerato.
Per il resto posso aggiungere soltanto che abbiamo passato una bellissima mattinata, che mi Gianfranco mi ha dato ancora un po’ di istruzioni per la corretta manutenzione, diciamo così, delle scarpe, e che anche il tempo che abbiamo trascorso a pranzo da Mario Pellegrino al Ristorante Zì Filomena è stato all’altezza delle nostre aspettative. Sì, direi che è stato tutto ‘na capata, come a dire eccezionale, eccezionale veramente.
LE MIE SCARPE RACCONTATE DA GIANFRANCO
Caro Diario, non te l’ho detto ancora ma come avrai capito la scarpa che Gianfranco ha pensato per me mi è piaciuta un sacco. Aveva ragione lui, però anche io ho fatto la mia piccola parte perché l’ho capito in tempo. Comunque il giorno dopo ho chiamato il mio amico calzolaio, l’ho ringraziato ancora di cuore per la bellezza del suo manufatto e per la disponibilità che ha mostrato nei miei confronti e gli ho chiesto se mi inviava un suo commento sul tipo di scarpa che aveva realizzato per me. Lui, come fanno ormai quasi tutti, usa spesso i messaggi vocali, che invece io mal sopporto, ma il mio intendimento era quello di trascriverlo. Invece quando l’ho sentito l’ho trovato così carino con la sua voce che ho deciso di fartelo ascoltare in versione audio, alla fine in questa storia ci sono già tante parole scritte, se ne risparmiamo un po’ non è male.
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IL GIORNO DI PASQUA
Caro Diario, non era programmato ma è accaduto. Che cosa?, dirai, è accaduto che, tra una cosa e l’altra, la prima uscita pubblica con le mie scarpe belle l’ho fatta il giorno di Pasqua, che è stata anche la prima Pasqua che io e Cinzia abbiamo trascorso insieme a Caselle.
Mentre camminavamo per via Indipendenza abbiamo incontrato Giuseppe, che prima mi ha fatto una bella foto e poi, arrivati all’Urmu, mi ha preso in giro con gli amici per mezza mattinata, mentre Cinzia commentava affermando che sono l’uomo più fotografato che conosce. È bene che tu lo sappia amico mio, quando fai una certa età cominciano a sfotterti tutti, poi non dire che non te l’avevo detto.
L’ULTIMA FOTO
L’ultima foto è dedicata all’ingrippo da cui tutto è iniziato. Qualche giorno fa ho chiesto a Gianfranco di farla e di inviarmela, lui mi ha accontentato e io sono stato contento.
Come dici amico Diario? Non lo so se con l’età sto tornando bambino, a me piace pensare che lo sono stato sempre, ma vai a sapere.
POST SCRIPTUM
Caro Diario, c’è un libro che ho letto più di 30 anni fa e mi è rimasto nel cuore, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. Ecco, ti volevo dire che rileggendo questa lunga storia mi è venuto in mente il libro di Pirsig, ovviamente senza nessun paragone, come potrei, però mi è venuto in mente.