“Voi dite e io rispondo”.
Il mio incontro con Enzo Alberto Costanzo, per tutti, nella sua comunità, Caselle in Pittari, mastro Enzo, comincia così. Un inizio che forse suggerisce qualcosa di significativo circa l’età dell’uomo, 82 anni, i suoi modi, la sua educazione.
È dal mio arrivo a Cip, nel luglio del 2013, che lo conosco, lui non è una persona che passa inosservata, sia se lo incontri in piazza, all’Urmu, sia se lo incroci a bordo del suo Ape azzurrino e ti saluta con due inconfondibili e rumorosi colpi di avvisatore acustico.
Dei tanti uomini che è, come direbbe il poeta, a Cip si racconta soprattutto la sua passione per il ballo, la maestria nel lavoro, l’eleganza e la galanteria, diciamo così, con le donne. È da tanto che mi ripromettevo di farlo e la scorsa settimana finalmente sono andato a trovarlo per farmi raccontare un po’ della sua storia.
Lo confesso, ho voluto cominciare dal ballo, mio padre ballava il tango argentino figurato, io sono negato, però ho avuto sempre ammirazione per chi sa ballare, dovevo per forza partire da qui.
“Avevo 16 – 17 anni quando ho cominciato a ballare, allora si ballava in piazza quando era festa, sotto al palco. Sono stato anche a una scuola di ballo, dove ho cominciato a imparare la mazurka, il tango, il foxtrot, i balli latini americani. Però la maggior parte delle cose le ho imparate da solo, come un poco tutte le cose nella mia vita.
Ballavo tutti i balli che c’erano da ballare, e quando c’era un posto dove si ballava io ero il primo ad arrivare.
Ricordo che si ballava con queste ragazze che non sapevano ballare troppo bene, spesso insegnavo io dei passi, perché a me piaceva ballare, ero abbastanza bravo, e mi divertivo. Si cominciava verso le dieci, dieci e mezza, le undici di sera, e mi ritiravo alle due, alle tre, di mattina, spesso anche verso le cinque, le sei. Si ballava tutta la nottata, a Palinuro, a Marina di Camerota, da tante parti, pure qui a Caselle in Pittari. C’erano tante belle ragazze, ci divertivamo un sacco, a quel tempo era l’unico svago qui nel Cilento, per il resto che c’era?, non c’era niente.”
Il velo di rimpianto nella voce mi spinge a fermare mastro Enzo e a chiedergli della sua eleganza. “Siete elegante ancora adesso, immagino quando eravate giovane”, gli dico.
“È la mia cultura, sono stato sempre così, caro professore. Come ti presenti così ti trattano, così si dice e così la penso io. Le donne belle ballavano con me innanzitutto perché ero elegante, poi dopo si rendevano conto che sapevo ballare. È bello vestire elegante, presentarsi bene, profumati. Sapete perché le donne con me ballavano tutte? Perché ero elegante, avevo modi garbati e sapevo ballare. Mettete insieme queste tre cose e siete a posto. Uno si presentava elegantemente e diceva “mi concede questo ballo?” Se diceva sì ballavi, se diceva no “grazie tante” e andavi da un’altra. Però credetemi, a me dicevano sempre sì, diciamo quasi sempre altrimenti sembro presuntuoso. Si tornava di notte ma comunque la mattina bisognava andare a lavorare, altrimenti che fai.
Comunque grazie al ballo mi sono potuto godere la mia gioventù, come vi ho detto qui non c’era niente, solo il ballo, e così ho potuto vivere una bellissima gioventù. Il ballo è il divertimento più bello che c’è. Ho partecipato anche a qualche gara, però non è che ho vinto, ho partecipato e basta, la gara in sé non mi interessava, ero lì per divertirmi. Per il resto c’è la famiglia, c’è mia moglie Angela, ci sono i nostri due bellissimi figli Michele e Maria, c’è il lavoro. Certo, a causa di questa mia passione per il ballo qualche problema con mia moglie a volte si è creato, però come vedete siamo qui, tutti uniti, ci vogliamo bene, mia moglie è stata molto paziente, e questo è importante.”
“Maestro Enzo”, gli ho chiesto per chiudere questa parte. “Oltre al ballo avete qualche altra passione?” “Sì, la caccia”, mi ha risposto. “Qui siamo in tanti ad avere questa passione”.
“Maestro Enzo, secondo voi perché il lavoro è importante?”, gli ho chiesto venendo al punto.
“Il lavoro è importante perché la famiglia è importante professo’. Il ballo è la passione, qualcosa a parte, ma il lavoro è importante perché ti permette di provvedere alla famiglia, di non farle mancare niente.”
“È chiaro quello che volete dire, infatti adesso ci concentriamo proprio sul lavoro. A che età avete cominciato? Una volta mi avete detto che eravate un ragazzino.”
“Ero piccolissimo, avevo una decina di anni, anche meno.
In pratica era successo questo, io a quel tempo mi occupavo di due maiali però avevo una mia zia che faceva la manovale con un muratore e mi diceva sempre vieni qua nipote mio, vieni qua, vienimi ad aiutare, e così una volta una cosa, una volta un’altra, piano piano ho cominciato a prendere confidenza fino a che, a un certo punto, lasciai i maiali e andai a fare il mestiere di muratore. È stata una grande esperienza, sono diventato un bravo muratore.
Per la verità la persona con qui ho iniziato a lavorare non era un bravo muratore, ameno secondo me. Qui a Caselle, all’epoca, c’era un vero mastro che si chiamava Pasquale Ragone, lui sì che era bravo, era il tempo in cui si sparava nella montagna per ricavare le rocce, si portavano via questi massi abbastanza grandi che poi si dovevano mettere a squadro per poterli utilizzare nella costruzione delle case. Io ero molto piccolo, del 1948, del 1949, del 1950, avevo l’età del figlio e giocavo lui, però mi capitava di andarlo a chiamare quando era l’ora di pranzo e guardava quello che il padre faceva, per esempio le fornacelle antiche e tante altre cose belle.
Una volta, avevo intorno ai 10 anni, provai a mettere a squadra un masso e feci un buon lavoro per la mia età. Mastro Pasquale mi vide e mi disse ‘tu hai preso da tuo nonno Alberto, sei stato capace di rubare il mestiere con gli occhi’.
Erano anni in cui ognuno cercava di mantenere i suoi segreti, nessuno ti insegnava niente, se eri ciuccio (asino) rimanevi ciuccio, alla fine ho dovuto imparare tutto da solo, rubando con gli occhi come diceva mastro Pasquale.
Vi dico la verità, sono stato aiutato molto dal fatto che vengo da una famiglia di bravissimi artigiani, ce l’abbiamo nel sangue il lavoro artigiano. Mio nonno era ebanista e intagliatore, ha fatto delle opere d’arte, è stato un grande artista, noi veniamo da queste generazioni, il lavoro fatto a regola d’arte ce l’abbiamo nel sangue.
Ricordo che una volta il muratore con cui lavoravo doveva fare una fornacella, doveva mettere delle tegole, creare la base dove poi si dovevano appoggiare le pignate, le pentole nel quale si metteva il sugo, con la brace sotto, piano piano, po po po po po, a pippiare. Insomma lui, poverino, un poco non aveva gli attrezzi giusti, un poco non lo sapeva fare e ci siamo impantanati. La sera sono tornato a casa e ho detto a mio padre ‘papà, fammi una cortesia, regalami, dammi, una tenaglia, una raspa da falegname e altri attrezzi’. Avere gli attrezzi giusti è importante, e così quando facevamo i cerchi sopra la fornacelle, che dovevano essere precisi, si dovevano fare a mano, i flex non c’erano, mi mettevo io e facevo questi lavori qua.
Senza falsa modestia, ho fatto lavori precisissimi, al millimetro, perché mi piaceva lavorare bene, quella che conta è la passione professò, se non hai passione, se sei uno straccione nel lavoro, non combini niente. Devi essere bravo e devi avere la spinta per diventare bravissimo.
Qui a Caselle ho fatto il palazzo Orlando e il palazzo Materazzo, al palazzo Orlando non c’era niente, le cornici le ho dovute rifare tutte, ho fatto marcapiani, timpani, finestre, balconi, tutto.
In generale ho fatto tante cose, tanti camini, figure comprese, tutto a mano libera.
È bello fare cose belle. Ho lavorato anche nelle case a Sicilì e a Morigerati, anche lì fornacelle, camini, cornici. Di muratura ne ho fatta poca, soprattutto per la famiglia. Fuori l’ho fatta ma non mi piaceva, ho preferito lavorare all’interno, lavori più belli, più preci, più artistici.
Mio figlio Michele a casa ha due caminetti, uno sopra e uno sotto, e anche Maria ne ha uno. A Morigerati ne ho fatto uno bellissimo. Mi piaceva seguire l’istinto, non mi piaceva copiare, fare sempre le stesse cose. La bellezza è fatta pure di cose diverse, fermo restando ovviamente che la base quella è, un camino è un camino, da lì non si scappa.
Non copiavo, cercavo di fare cose nuove, a palazzo Orlando è stato impegnativo, perché come vi ho detto lì c’è stato bisogno di rifare tutto. Mia moglie mi ha aiutato anche nel lavoro, io ho lavorato sempre da solo, l’operaio mio era mia moglie.
Comunque lo ripeto, quello che ho fatto l’ho fatto tutto con passione, secondo me è la cosa più bella. Ho lavorato anche a Sanza da miei parenti, anche lì ho fatto caminetti, ho fatto cornici in casa, tante cose. Adesso la salute non tanto mi assiste, ma questo è, comunque tutti quando mi vedono masto Enzo di qua e masto Enzo di là”.
”Ne dovete essere fiero, è questo quello che conta, le cose che abbiamo fatto nessuno ce le può togliere. Vale per ognuno di noi, è così.”
“È vero. Comunque vi ripeto, io sono stato fortunato, vengo da una famiglia di grandissimi artigiani. Vi racconto un episodio. Mio nonno una sera era a Morigerati, aveva bevuto un po’, e c’erano tre o quattro ragazzini che facevano i musicanti che lo prendevano bonariamente in giro. Dicevano ‘si è ubriacato mastro Alberto’. A un certo punto mio nonno disse ‘venite qua, vi faccio vedere chi è mastro Alberto’, poi prese un pezzo di legno e si mise a intagliarlo, ta ta ta ta ta ta ta ta. Fece un Crocefisso e lo regalò a uno dei ragazzi, che era di Camerota. Il ragazzo se lo portò a Marina di Camerota, dove pure lui stava imparando il mestiere di falegname, e disse al parroco che il Crocefisso lo aveva fatto mastro Alberto. Ha fatti tanti lavori importanti mio nonno, più fuori Caselle che qui, ha lavorato a Salerno, ha fatto il pulpito a Pompei e anche un confessionale. Questo era mio nonno, caro professore.”
“Bello anche questo ricordo finale, grazie mastro Enzo. Per me direi che abbiamo finito, voi c’è qualche altra cosa che volete dire?”
“Va bene così anche per me, che posso dire, forse soltanto che ho vissuto una vita bellissima, non mi posso lamentare nemmeno un poco, sono stato bene io e ho fatto stare bene la mia famiglia, di cui sono contentissimo. Solo questo posso dire.”