Caro Diario, Antonella Vecchi è apparsa nella mia vita giusto un anno fa, con un messaggio su Linkedin. Mi ha scritto di visione e di valori in comune, mi ha detto che aveva appena acquistato “Il lavoro ben fatto” e mi ha segnalato il suo libro, “Umane Risorse. Come restare Umani sul Lavoro“.
È tornata una ventina di giorni dopo per dirmi che si era gustata il libro fatto di narrazione e di contenuti di valore, parole sue, dove biografia equivale a esperienza vissuta, valori agiti, a cui si è dato forma. “Parliamo la stessa lingua anche se siamo partiti da territori differenti”, ha aggiunto, “abbiamo fatto esperienze diverse, ma siamo arrivati allo stesso punto”, e ha concluso con l’auspicio a incontrarci, prima o poi.
Sì amico Diario, è cominciato tutto così, con me che sono stato molto contento di questa nuova bella connessione e Antonella pure, fino a quando, a fine maggio scorso, non ci siamo finalmente fatti una videochiacchierata e ci siamo raccontati un bel po’ di cose. Come puoi immaginare lo sapevo già, ma dopo che ci siamo parlati non ho più avuto dubbi e ho deciso di raccontarla, nel senso che le ho inviato le mie tre domande chiedendole di raccontarsi, di raccontare i suoi lavori e perché per lei il lavoro è importante, vale. Quella che segue è la sua storia raccontata da sé. Buona lettura.
Caro Vincenzo, le mie due passioni più grandi sono l’interesse per il mondo del lavoro e la fotografia. Insieme a queste ce ne sono parecchie altre: la natura, le persone e le buone relazioni, leggere e scrivere, la buona cucina e il buon vino, cucinare per le persone che amo. E avere cura: delle persone, delle cose e dei luoghi con cui entro in contatto. Mi piace ascoltare e osservare: sono molto curiosa delle storie, dei luoghi, dei particolari. Non sopporto il conflitto e la violenza, le prevaricazioni e le bugie. Prediligo invece la gentilezza, non per moda ma per natura. Se c’è da combattere combatto, ma mai contro. Combatto per. Se dovessi definirmi con una frase direi che sono una guerriera con un fiore in mano.
Per finire direi che amo cercare l’identità: dei luoghi, delle persone, delle città e cerco costantemente la bellezza, anche dove sembra non esserci. È questo lo spirito con cui fotografo e questa è l’immagine che più mi rappresenta, è del 2018, è stata fatta in provincia di Ferrara, si intitola “I colori del mare in una stazione del gas. Cercare la bellezza dove sembra non esserci”.
Alla voce lavoro mi presento con l’incipit del mio primo libro: “Sono nata il 1° maggio e mi piace lavorare.”
Gli studi me li hanno pagati papà e mamma, ma gli sfizi me li toglievo lavorando a maglia. Confezionavo maglioni per una boutique di Genova e avevo una buona mano, ero ben pagata.
Il valore del lavoro me l’ha insegnato proprio la mia famiglia, persone semplici, legate alla terra e ai suoi cicli da generazioni, abituata a fare i conti con la fatica e con l’ineluttabilità degli eventi esterni. Lì c’era già il seme del senso di responsabilità e del mio approccio al mondo del lavoro, ma anche alla vita in genere. Ho imparato a dare il meglio di me scoprendo e allenando le mie potenzialità, i miei talenti, cercando così di portare valore. Penso che questa sia la strada dell’autorealizzazione e per nobilitare il lavoro.
La mia soddisfazione più grande è stata quella di vincere un concorso pubblico come dirigente senza alcuna raccomandazione. Scandaloso, vero? Sembra una bugia, eppure è la verità. E così è stato sempre, ogni traguardo l’ho raggiunto applicandomi al pieno delle mie possibilità e poi affidandomi, fiduciosa che ogni esperienza sarebbe stata una buona occasione per imparare.
Ho dedicato poco più di 30 anni ad occuparmi di risorse umane e di organizzazione del lavoro nella sanità pubblica, con diversi ruoli: prima la cosiddetta gavetta, come quadro, e poi come dirigente. Passando dalle trincee alle stanze dei bottoni e dalle consulenze esterne in diverse aziende ho sempre mantenuto un vivace senso critico nei confronti delle varie teorie delle organizzazioni e delle definizioni standardizzate, così frequenti nel mondo del lavoro. Il mio interesse infatti è sempre stato per la Persona nella sua globalità, seppur inserita in un contesto organizzativo con un ruolo definito all’interno del ciclo produttivo. Le potenzialità dell’individuo non si esauriscono certo in quella porzione di sé che l’individuo dedica normalmente al lavoro.
Questo mio interesse per la relazione tra la persona e il mondo del lavoro mi ha portata ad occuparmi, negli ultimi dieci anni, di benessere lavorativo. Quando ancora non era di moda.
In ben due aziende sanitarie pubbliche con più di 5000 dipendenti sono riuscita a fare approvare piani pluriennali di benessere lavorativo, tuttora attivi. Anche queste sono soddisfazioni. Poi la svolta: nel 2020 ho deciso di dedicare gli ultimi dieci anni della mia vita professionale a supportare imprese e lavoratori a creare ambienti di lavoro favorevoli all’autorealizzazione e alla nobilitazione del lavoro. Spesso ho temuto di essere considerata l’alicenelpaesedellemeraviglie del mondo del lavoro e forse un pochino le assomiglio, in effetti. Ma rimango pragmatica e ben radicata nel cercare sempre prima ciò che funziona, apprezzandolo e valorizzandolo, per poi intervenire nelle aree di miglioramento e favorendo processi trasformativi e generativi di benessere e di etica del lavoro.
Il mio grande sogno è di diffondere la cultura del benessere lavorativo e lo faccio con ogni mezzo, anche con la fotografia.
Da due anni infatti sto sperimentando un metodo di approccio ad un’analisi organizzativa con focus sul benessere lavorativo mediante la fotografia: fotografo quello che io chiamo il bel lavoro, fatto di gesti, ambienti, oggetti, ritratti che parlano di senso etico del lavoro, del suo aspetto più nobile e che porta all’autorealizzazione personale, oltre che valore all’impresa. È un progetto artistico e socio culturale che ha come obiettivo finale quello di un’esposizione itinerante dei reportage fotografici e una pubblicazione.
Utilizzo poi il materiale fotografico anche per i miei interventi di consulenza e di team coaching. È senza dubbio un approccio sperimentale, oggetto di studio e ricerca continui e che vedo avere un grande impatto esperienziale.
Concludo dicendo che per me il lavoro è vita, che non è importante ciò che fai ma come lo fai. Dietro i ruoli ci sono le persone. Sempre. E far crescere le persone fa crescere l’azienda.
Un caro saluto Vincenzo, direi che per ora è tutto, ma sono in cantiere un po’ di altre possibilità e spero di raccontartele presto.
Antonella.