L’empatia di Filippo, infermiere professionale

Caro Diario, oggi ti racconto di Filippo Salamone, che una di queste mattine, appena uscito di bottega, lo trovo che chiacchiera con Jepis e scopro un mondo.
Ci sediamo, cominciamo a parlare, mi dice che tiene 36 anni e 3 figli, che gli piace giocare a pallone, passeggiare, vestire con cura, “andare in giro belli sistemati”, sì, proprio come diceva mia mamma, e che al primo posto viene l’amore per la famiglia.
“Insieme al mio lavoro mi rilassa fare il cameriere”, aggiunge, “ho cominciato che avevo 12 anni ed è una passione che non mi è passata più”.
Ancora alla voce “un po’ di me” mi racconta che non sopporta la presunzione, che preferisce decisamente l’umiltà, “se non so fare una cosa non ho difficoltà a chiedere aiuto”, conclude.
Da come parla e si muove intuisco che è una persona sincera, mi conferma che se una cosa te la deve dire te la dice senza mezze misure, sa che è un’arma a doppio taglio, parlando con schiettezza ti fai dei nemici, ma non gli interessa più di tanto, Pirandello direbbe “così è, se vi pare”.
“In compenso non porto rancore Vincenzo, accetto le persone come sono e mi regolo di conseguenza”.

Non ti ho detto ancora, amico mio, che Filippo si è diplomato in ragioneria prima di diventare infermiere professionale, 10 anni fa, laurea conseguita alla Federico II di Napoli, però prima di arrivare all’infermiere conviene ritornare al cameriere, perché questa storia qui, come direbbe mio padre, è tutto succo, senza fronzoli, è meglio non perdersi niente.

“Vincenzo, come ti ho detto ho cominciato a fare il cameriere che avevo 12 anni. Il locale era di mio cugino, io ero un ragazzo molto controverso, assai timido, il lavoro di cameriere mi ha sbloccato. Oggi posso dire che mi hanno aiutato il contatto con le persone, la necessità di spiegare il piatto, penso che avere a che fare con le persone sia bellissimo.
Ancora adesso se vado una sera a fare il cameriere mi rilasso, per me è come fare una partita a calcetto.
Comunque qualsiasi lavoro se lo fai a forza non viene bene, per fare un lavoro bene ci deve essere amore, ci deve essere passione, ci deve essere impegno.
Per qualche mese ho fatto il boscaiolo con mio suocero, ma non mi piaceva, non c’era il contatto con le persone, e per me come ti ho detto il contatto con le persone è fondamentale.
Il mio lavoro di infermiere professionale ti permette di fare grosse esperienze a livello professionale, ho seguito un progetto con un farmaco in sperimentazione per la Fibrosi Polmonare Idiopatica, in pratica vuol dire che non se ne conosce la causa, ho fatto il corso per istruttore BLSD, insegno a fare bene il messaggio cardiaco e a usare bene il defibbillatore.”

Leggo negli occhi di Filippo serenità e contentezza mentre mi parla. Mi confessa che non pensava mai di poter fare il suo lavoro, a contatto con i bambini o con persone assolutamente fragili, a causa della sua sensibilità. Invece proprio la sensibilità lo ha aiutato ad attivare l’empatia, si mette nei panni delle persone che assiste, pazienti in stato vegetativo, semivegetativo, affetti da malattie genetiche. 
Mi dice che prima di fare questo lavoro si lamentava spesso della vita, si lamentava di questo e di quest’altro, quando ha incontrato la vera sofferenza e i veri problemi ha capito che i suoi erano tutti pensieri inutili.
“Ma come faccio a lamentarmi? Con quale faccia mi lamento io?”, questo è quello che mi dico adesso. Gli amici mi hanno soprannominato Peter Pan, dicono che sono un eterno sognatore, ma la vita presenta già tante difficoltà, cosa diventa se perdiamo la capacità di sognare?”

Come dici amico Diario? Sì, a questo punto sono già troppo contento della piega che ha preso la storia di Filippo, e invece la parte più bella deve ancora venire, accade quando gli chiedo di raccontarmi qualche esperienza che l’ha particolarmente segnato, risponde che qui si potrebbe scrivere un libro, e poi aggiunge che per ora gli basta ricordarne tre.

“La prima riguarda un ragazzo che all’epoca aveva una trentina di anni, in seguito a un’operazione aveva avuto uno shock anafilattico ed era rimasto paralizzato, con il ventilatore meccanico e tanti altri problemi.
Ho iniziato ad andare da lui la mattina per un’ora e mezza, poi con il tempo siamo diventati amici, parlavamo di vita, di calcio, lui tifoso del Napoli e io dell’Inter, ci sono stati tanti momenti bellissimi tra noi, è stato un ragazzo che mi ha dato veramente tanto, adesso che non c’è più mi manca.”

La seconda è la storia di un ragazzo che adesso ha 20 anni, Filippo lo assiste da 10, è affetto da SMA-1, è paralizzato del tutto, riesce a muovere al massimo un dito, in condizioni particolari, per esempio quando ascolta la musica, e gli occhi.
“Vincenzo, È un ragazzo intelligentissimo, a volte comunichiamo con l’aiuto del computer, ma lui si scoccia, di solito parliamo con gli occhi, ormai siamo in simbiosi. Ricordo che quando sono andato da lui la prima volta, qualcuno mi ha detto fai una prova, se ti trovi bene rimani. E che cos’è un melone che faccio la prova?, mi sono detto. È stato amore a prima vista”.

Filippo racconta e sorride, e io con lui. Mi ricorda che in certi contesti non si entra in contatto soltanto con il paziente, che si entra in casa di una famiglia, che bisogna stabilire delle relazioni positive con tutti i suoi componenti, che l’intera famiglia ti deve sentire uno di loro, che bisogna conquistare la loro fiducia, che è stato un traguardo quando hanno cominciato ad andare a fare la spesa e a lasciarlo da solo con lui.

“Tieni presente che anche se il ragazzo fisicamente ha molti problemi, dal punto di vista emotivo e psicologico è un ragazzo normale, con tutte gli stimoli che ha un ragazzo di 20 anni, e quando dico tutti intendo proprio tutti. Per me le persone così sono speciali, se posso dirlo le ritengo superiori a noi. Comunque sono entrato così in confidenza con il ragazzo e la sua famiglia che quando si è fatto la Cresima mi hanno scelto come suo padrino, e per me è stato un onore.
Con lui ho fatto il percorso delle scuole medie, il liceo linguistico e adesso sta all’università, studia scienze motorie da casa, c’è un ragazzo che lo aiuta nei compiti e quando fa gli esami risponde a questionari a risposte multiple con gli occhi, il computer ha il movimento oculare.”

L’ultima esperienza che mi racconta riguarda un bambino che oggi ha 6 anni, ha fatto l’asilo e adesso ha cominciato le elementari. Filippo lo segue da 4, non con la stessa frequenza con cui segue il secondo, il bimbo ha avuto problemi in seguito a un parto trigemellare, è un bambino che a 6 anni ha subito già 23 – 24 interventi chirurgici, Filippo gli fa assistenza, igiene e altro.
“Vincenzo, pare che prima che andassi io il bimbo avesse momenti di violenza con se stesso, si tirava via i tubi, e a volte era violento anche con gli infermieri. Con me non accade, i genitori si meravigliano, credo che dipenda anche dal mio modo di essere padre, dal rapporto che ho con i miei tre figli, due maschi e una femmina.”

Ecco caro Diario, questo è Filippo Salamone, che insieme a questo fa anche il lavoro di reparto all’ospedale, il progetto è dell’ASL ma la gestione è dell’azienda per cui lavora, anche lì si prende cura di pazienti in stato vegetativo e semi vegetativo.
La nostra chiacchierata finisce con lui che mi dice che, a parte l’aspetto economico, il lavoro è qualcosa che deve appagare anche dal punto di vista emotivo.
“Funziona così Vincenzo”, aggiunge mentre ci salutiamo, “quando esco dal lavoro, a volte dopo turni lunghi e complicati, sto bene, sono rilassato; vedi, io quando lavoro non penso a niente, solo a quello che sto facendo, e questo mi rilassa. Del resto se non sto bene io come faccio a far star bene le persone che assisto?”

Già, come fa?

filippo2