Intorno alla grandezza del piccolo

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Caro Diario, questa storia nasce in Bottega, da Jepis, mentre costruiamo cose, inseguiamo sogni, moltiplichiamo possibilità. È da quando sono arrivato, a inizio Giugno, che avverto nell’aria la forza del cambiamento, ieri è arrivato l’I Ching, il giovane Jedi non lo conosceva, oggi mi ha ringraziato per “lo splendido ferro di bottega”, ha aggiunto che il libro “è una pietra angolare”, sono stato contento assai anche se lo sapevo già.
Giuseppe sta ragionando intorno all’importanza del piccolo, credo che prima o poi ci regalerà altra bellezza, ma insomma questo, quando vorrà, ce lo dirà lui, io ti posso raccontare solo un po’ di quello che i nostri pensieri hanno lasciato a me, tanto poi ci ritorno, però intanto te lo volevo dire.

Comicio dal fatto che le parole sono importanti. Non penso solo a Wittgenstein quando ci ricorda che “le parole sono azioni”, o quando scrive “pensa alle parole come a strumenti caratterizzati dal loro uso, e poi pensa all’uso di un martello, all’uso di uno scalpello, all’uso di una squadra, di un barattolo di colla, e della colla”. Penso anche a Eduardo quando dice “c’è la parola giusta, usiamola, sennò mi confondo”, e a Rama quando spiega a Neo che “amore” non è un’emozione umana ma una parola e poi aggiunge che “l’importante è l’interazione che la parola comporta”.

Sì amico mio, le parole sono azioni, arnesi e interazioni, vanno usate nel modo e nel contesto giusto, altrimenti non fanno quello che devono fare, perdono senso e significato.
Prendiamo una delle parole più abusate del nostro tempo, “evento”. Ogni minuto un evento, viviamo dentro l’evento, lo sentiamo scivolarci addosso mentre ci prepariamo a quello successivo. Dopo di che arriva Derridà e ci racconta l’evento come “ciò che accade imprevedibilmente, singolarmente”. È evidente, tiene ragione lui, perché “un evento che si preveda è già accaduto, non è più un evento”. Perché ciò che dà senso all’evento è la sua singolarità, “ciò che ha luogo una volta, ogni volta una volta. Un evento che è dunque unico e imprevedibile, vale a dire senza orizzonte.”
Di fronte all’evento ci scopriamo spesso impreparati, secondo me è anche per questo che facciamo così tanta fatica a comprendere l’attacco alle Twin Towers o il Covid-19. E secondo te?
Mentre ci pensi vengo al punto, che si riferisce a un’altra parola assai difficile da maneggiare, “piccolo“.

Diciamoci la verità, nel caso dell’aggettivo “piccolo” i problemi cominciano dalla sua stessa definizione: “in genere, inferiore alla misura ordinaria, in senso proprio o figurato.” In pratica diciamo piccolo e pensiamo a minore, minimo, meno importante e significativo, persino poco degno di rispetto, come per esempio quando diciamo di qualcuno che è un piccolo uomo.
Come di certo avrai già capito se ho deciso di raccontarti tutto questo è perché vorrei proporti un altro punto di vista, una diversa prospettiva con cui guardare all’aggettivo “piccolo”, diciamo che intendo restituirgli almeno un poco dell’onore che, a mio avviso, merita.

Per parlarti della grandezza del piccolo parto da un libro che amo tanto e ho studiato di più, l’I Ching, il Libro dei Mutamenti, proprio lui, il libro che ho appena regalato a Jepis, il più antico testo di saggezza di cui è rimasta traccia scritta. In realtà qui si potrebbe aprire un altro capitolo perché la parola libro non ce la fa a contenere la saggezza, il senso e la profondità che, chiunque si approcci a quest’opera nella maniera giusta, può trovare nelle sue linee, nei suoi esagrammi, nelle sue sentenze, nelle sue immagini, ma visto che tutto non si può fare è meglio lasciar perdere.
Nell’I Ching gli esagrammi che si riferiscono al “piccolo” sono due: il 9, La Forza Domatrice del Piccolo, e il 62, La preponderanza del piccolo. Poiché si tratta di cose molto serie, mi guardo bene dal fare il riassunto, ti consiglio piuttosto di leggere il libro.
Per quanto mi riguarda in questo contesto l’I Ching è il contesto che mi aiuta a dirti due cose:
1. nell’universo piccolo e grande sono la stessa cosa; sai, ci sono giornate in cui nella mia testa e nel mio cuore si fa strada la speranza che un giorno non troppo lontano un nuovo Einstein, o un nuovo Bohr, trovi il modo di tenere assieme la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica; ci pensi, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo insieme, chissà quante nuove strade si potrebbero aprire;
2. è a livello del piccolo che possiamo agire per cambiare le cose, è lì che ha inizio il processo di trasformazione, è quando è piccolo che puoi raddrizzare il tronco dell’albero, una volta che è cresciuto non lo puoi fare più; su questa necessità di agire a livello del piccolo Jullien ha scritto pagine belle assai, mi viene in mente in particolare Le trasformazioni silenziose.

Il mio discorso intorno alla grandezza del piccolo non si ferma naturalmente alla Cina. Anche dalle nostre parti, nella parte Ovest del mondo, non mancano le occasioni per ragionarci su.
Per esempio, secondo te è un caso che il principe de Il Piccolo Principe sia piccolo?
Calma, lo so che  la sai, la mia domanda è retorica, mi serve per dirti altre tre cose e questa volta lo faccio utilizzando tre citazioni:
1. Tutti i grandi sono stati piccoli, ma pochi di essi se ne ricordano.
2. Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose.
3. È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante.
Aggiungo una sola postilla alle tre citazioni, precisamente alla terza, per sottolineare le possibilità insite nella scelta di usare l’attenzione, il tempo che dedichiamo a una cosa, come unità di misura per definire la sua importanza. L’attenzione al posto delle dimensioni,  la qualità invece della quantità, con tutto quanto ne consegue.

Ancora a proposito di interazioni, non so a te ma a me quando Jorge Luis Borges racconta che “Andrew Lang diceva che siamo tutti geniali fino ai sette otto anni. Cioé, che tutti i bambini sono geniali. Ma da quando il bambino cerca di somigliare agli altri, va in cerca della mediocrità, e nella maggior parte dei casi ci riesce”, mi fa pensare al ruolo spesso negativo che esercitano in questo senso due tipologie di adulti molto importanti nella vita dei bambini: i genitori e gli insegnanti. Non mi riferisco tanto alla necessità di fare i conti con il mostro della porta o del banco accanto, quello che prende tutti 9 e 10 alle interrogazioni e trova il lavoro appena diplomato o laureato mentre tu invece no, penso proprio alla furia normalizzatrice, dal non alzarsi in piedi e muoversi dal banco al non scrivere fuori dal rigo e da lì sempre più giù fino alle follie secondiglianesi di quando ero bambino io, della serie non scrivere con la mano sinistra perché è la mano del diavolo.

Concludo questo mio elogio del piccolo ricordando che insieme ad Adorno che ricorda che “la filosofia fa come la cattiva pittura, s’immagina che la dignità di un’opera e la gloria che le spetta dipendano dalla dignità degli oggetti, e che una rappresentazione della battaglia di Lipsia valga di più di una seggiola vista di sbieco», ci sono anche la Canzone Piccola di Jovanotti e quella di Cristicchi, che sono belle anche se non hanno avuto un grande successo, chissà che non sia colpa anche del titolo.

Spero di non deluderti caro Diario, ma io una morale della storia non ce l’ho, del resto la morale è una cosa da grandi, mentre il mio è un discorso intorno alla grandezza del piccolo. E poi devi considerare che questo è un post che apre, non chiude. Quello che intendo dire è che non ci sono vincoli, ci possiamo tornare su ogni volta che vogliamo, non solo io e te, chiunque voglia contribuire è benvenuto, basta che non perdersi nelle banalità tipo “piccolo è bello”, ma mi pare che leggendo il senso del ragionamento si capisce, non penso sia necessario tornarci su.
Naturalmente il fatto di non avere una grande morale non mi impedisce di avere un piccolo pensiero, che mi piace riassumere così: l’aggettivo piccolo, nel contesto che propongo qui, non si riferisce a una dimensione, a una unità di misura, definisce piuttosto un approccio, una consapevolezza, un modo di essere essere e di fare. Accade un poco come con il lavoro ben fatto, che se vuoi capirlo, farlo, comunicarlo nella maniera giusta bisogna che ci prendi confidenza, ci fai l’abitudine, lo afferri con le mani, con la testa e con il cuore. È questa confidenza che ci permette di dare senso e significato al piccolo lavoro che facciamo ogni giorno amico mio, perché tiene ragione Calvino, “per chi non è un balordo contano quei due principî lì: non farsi mai troppe illusioni e non smettere di credere che ogni cosa che fai potrà servire”. Lo sai, tengo 65 anni e 65 mila idee e progetti per il futuro, quello mio, quello nostro e quello di coloro che verranno, ma se ogni mattina quando metto i piedi per terra comincio a fare bene quello che devo fare non è né per le mie idee e né per i miei progetti, è perché non smetto di credere che le piccole cose che faccio possono servire. Secondo me basta questo, non serve altro, quando dico che non abbiamo alibi voglio dire proprio questo, che fare bene le cose è la migliore delle nostre possibilità.