Caro Diario, all’inizio questa doveva essere una nota a margine, invece alla fine, che poi, come vedrai, la fine non è, ho pensato che c’era un’altra possibilità e ho deciso di coglierla.
Il protagonista della storia è Gennaro Melillo, che entra nella mia vita come compagno di squadra del narratore libraio, Luca. Nel mondo dei piccoli, di età, Gennaro è insomma amico di mio figlio, nel mondo dei grandi, sempre di età, diventa anche amico mio, anche se in realtà pure nel mondo di mezzo, una quindicina di anni fa, ci sarebbero tante cose da raccontare sul nostro rapporto di amicizia ma non è questo il giorno. Per ora ti anticipo solo che la parola amico, riferita a me, il narratore sociologo, crea un certo imbarazzo a Gennaro, che mi vede di più, parole sue, come uno zio saggio. È andata a finire che ho deciso di chiamarlo amico nipote, che mi ricorda il “cumpare nepote” di Totò in Miseria e Nobiltà. Basta spiegazioni. Buona lettura.
INDICE
27 Maggio 2020, 28 Maggio 2020, 30 Maggio 2020, 1 Giugno 2020
2 Giugno 2020, 9 Giugno 2020, 11 Giugno 2020, 12 Giugno 2020
17 Giugno 2020, 18 Giugno 2020, 19 Giugno 2020, 22 Giugno 2020
30 Giugno 2020, 1 Luglio 2020, 9 Luglio 2020, 13 Luglio 2020
27 Maggio 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO E IL NARRATORE SOCIOLOGO
“Caro Vincenzo, finalmente è arrivato. Stasera, quando torno a casa dal lavoro, inizio anche a leggerlo, sono molto curioso e felice, questo lavoro lo dobbiamo prendere di faccia e mi servono sempre nuovi stimoli. Lo sai, io sono molto capa tosta, se decido di fare una cosa mi ci metto e mi fermo solo se la ottengo, per fare questo devo però trovare molti stimoli”.
“Mi fai felice, ci tengo tanto che tu lo legga tutto, è bene che tu lo sappia amico mio”.
“Grazie Vincenzo, essere tuo amico mi fa troppo piacere, anche se un po’ mi mette in imbarazzo, tu per me sei uno zio saggio al quale si chiede un consiglio”.
“Allora facciamo così, io sono l’amico zio e tu sei l’amico nipote, mi pare una buona mediazione”.
“Va bene”.
“Tornando agli stimoli, fatti dire una cosa dal tuo amico zio: non essere frenetico, impara a mettere radici e a far mettere radici a quello che fai, con il tempo è questo che fa la differenza. Mettere radici con i figli, con la tua compagna, con il tuo lavoro. Le cose migliorano se capisci che devi pensare e fare, non dimostrare. Proprio così caro amico nipote, non devi dimostrare niente, né a te e né agli altri, devi cercare di essere sereno.
Ai livelli più bassi, diciamo da 1 a 5, questa necessità di dimostrare ti dà forza, ti sostiene, ma da 6 a 10 la forza, l’energia, te la toglie, la consumi nella frenesia.
La tua forza, la forza di tutti noi, sta nella consapevolezza, non te lo scordare mai.
La consapevolezza che la vita è fatta di vittorie e di sconfitte, di cose che girano e cose che invece no, e bisogna stare sul punto sempre, rimanere se stessi pure quando si prendono gli schiaffi, non ti dico quanti ne ho presi io. Non è facile, fanno male, ma pure gli schiaffi ci dicono qualcosa, ci permettono di imparare, ci stanno volte che uno schiaffo funziona meglio di una carezza”.
“Vincenzo, hai colto un po’ nel segno, ma nemmeno tanto poco, e non immagini quanto sia stanco di dover sempre dimostrare. Potrei dirti mille cose, ma dal cuore davvero grazie, proverò a fare tesoro delle tue parole”.
“Quando vuoi ne parliamo da vicino”.
“Va bene, amico zio, grazie”.
“E leggiti il libro”.
“Stasera inizio”.
“Vedi che tu stasera non leggi neanche una pagina, non ti credo neanche se ti vedo [Risata]”.
“Lo leggo, lo leggerò tutto, promesso”.
“Vediamo”.
28 Maggio 2020
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IL NARRATORE SOCIOLOGO E IL LETTORE PIZZAIOLO
“Allora amico nipote? Quante pagine hai letto? Esigo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”.
“[Risata fragorosa] Vincenzo avevi ragione tu purtroppo. Ieri ho finito di lavorare all’una e sono tornato a casa che erano l’una e mezza. Non mentirò, sono crollato, non l’ho ancora iniziato”.
“Apprezzo molto la sincerità, ma non si tratta di avere ragione, quello che pensavi di fare era disumano. Il che significa però che ti devi ritagliare uno spazio prima di andare al lavoro in pizzeria, basta una mezzora al giorno, tutti i giorni, e prima o poi lo avrai letto tutto”.
30 Maggio 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO E IL NARRATORE SOCIOLOGO
“Buona sera Vincenzo. Ho cominciato, non ti nascondo che leggere non è una cosa che riesco a fare con continuità, amo capire bene e ogni periodo lo leggo e rileggo più volte. Comunque questa cosa del “Vangelo secondo l’Enel” mi è piaciuta molto. Se mi permetti, amico zio, papà Moretti sembra proprio un tipo figo. A questo proposito vorrei chiederti una cosa, se però non sono invadente, ho una curiosità.”
“Gennaro, sono onorato del tuo interesse, ma veramente, fammi tutte le domande che vuoi, per molti versi per me sei il lettore tipo a cui voglio arrivare, questo libro nasce anche con l’intento di allargare il pubblico e tu come lettore ne sei un esempio, perciò vai!”.
“Ecco, volevo sapere, quando dicesti a tuo padre che volevi fare sociologia, pensavi che ti avrebbe appoggiato? La sua reazione è stata una sorpresa per te? Scusa, ma così mi carico e mi appassiono ancora di più”.
“Gennaro, ancora con questo scusa. Allora, diciamo che quando abbiamo parlato avevo in testa due cose, una doppia consapevolezza: la prima era che decideva lui, in parte perché per me era giusto così, visto che non ero autonomo, e in parte perché con mio padre non si poteva fare diversamente; la seconda era che avrei usato tutte le leve possibili per “sfruttare” il suo amore straordinario per noi figli e farmi dire di sì. Come hai letto, per lui il fatto che noi studiassimo era molto importante, e io lo sapevo. Detto questo, aggiungo che se mi avesse detto no avrei fatto la domanda per andare a lavorare all’Enel, nelle Poste, nelle Ferrovie, insomma da qualche parte sarei andato a lavorare. Diciamo che sono stato un figlio di ‘ndrocchia.
“Vincenzo, è più bello leggere così, non so se mi spiego, avere la possibilità di interagire, in questo caso sono stato fortunato conoscendo te e Luca. Se sei d’accordo, se leggendo mi nascono altre curiosità non mi faccio problemi”.
“Assolutamente non te li devi fare”.
“Comunque ho fatto come mi hai consigliato tu, mi sto ritagliando un po’ di tempo prima di andare a lavoro, rispetto alle altre volte sta diventando un piacere e risulta anche più facile, riesci di più a tenere il ritmo.
Il primo racconto di Luca e ora quello tuo di Secondigliano mi sono piaciuti troppo. Una prima riflessione che ho fatto, legata al lavoro, alla valenza che aveva prima, all’importanza di essere indipendenti, di poter pensare al futuro, è questa: alla fine si stava meglio quando si stava peggio. Ora con tutte queste opportunità sembra che non sia sicuro nulla, tu che dici?”.
“A me si stava meglio quando si stava peggio non piace, si sta in ogni epoca come si sta; sono d’accordo invece su quello che dici a proposito dell’incertezza, dell’insicurezza, sono anche loro a chiamare il cambiamento, alla fine il lavoro ben fatto è una possibilità di cambiamento”.
“Quando dico si stava meglio quando si stava peggio è per dire che forse si stava meglio prima”.
“Insisto: si può stare meglio adesso se sapremo cambiare, caro amico nipote. Credo molto in questa possibilità”.
“Vincenzo, comunque ti devo dire che hai ragione quando dici che il libro aiuta a vedere le cose da un altro punto di vista. Non vorrei dirlo, ma proprio una cosa accaduta stamattina mi ci ha fatto pensare, sono riuscito a confrontarmi in maniera diversa da come stavo facendo ultimamente. Sì, penso che stamattina ne ho avuto una piccola riprova. Adesso ti saluto, tra 15 minuti devo scappare a lavoro”.
1 Giugno 2020
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IL NARRATORE SOCIOLOGO E IL LETTORE PIZZAIOLO
“Ciao Gennaro, Luca mi ha detto che vi siete visti al campo di basket, della serie combattenti e reduci [Risata]. Ha aggiunto anche che gli hai detto 2 – 3 cose molto belle sul libro, segnatele da qualche parte, che magari se alla fine non vuoi scrivere ci fai un video come ha fatto il mio amico Federico Samaden”.
“Vincenzo buon giorno, si, ci siamo divertiti e penso che lo faremo ancora.
Per quanto riguarda il libro, già avevo pensato di segnarmi delle cose per poi magari parlarne assieme. Il video del tuo amico l’ho visto, e mi è piaciuto molto”.
“Federico ha una storia incredibile alle spalle, è una grande persona, c’è stato un periodo non breve della sua vita in cui se l’è vista veramente brutta, però poi …”.
“Il però poi … è il risultato di un lavoro ben fatto, che, come dici tu, ha bisogno di tanti fattori che non dipendono da noi per la sua riuscita, ma per prima cosa prevede il nostro impegno a fare quello che facciamo nel modo migliore possibile. Come vedi, anche se sono ancora all’inizio, il libro mi sta aiutando, quindi grazie”.
“Grazie a te amico nipote, sono molto contento di tutto questo”.
2 Giugno 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO E IL NARRATORE SOCIOLOGO
“Vincenzo, il lavoro ben fatto che diventa un ponte che ci permette di passare da “pensare e fare” a “pensare è fare!”. Non so perché ma appena ho letto questa parte ho pensato ai moti mazziniani, forse per l’assonanza con il motto ‘pensiero e azione’. Invece poi ho continuato a leggere senza pensarci più e sono arrivato a leggere i 5 passi del lavoro ben fatto. Li hai spiegati bene, uno ad uno, e quindi i 4 perché va fatto bene, l’importanza di far diventare il lavoro ben fatto contagioso, in modo che diventi un abitudine e che questo migliori quindi l’insieme della nostra società.
Quando poi ho finito di leggere ‘un moltiplicatore di possibilità’, ho ripensato a Mazzini e ai suoi moti e siccome non ricordavo tanto bene nello specifico come si svolsero [Risata] sono andato a cercare e rileggere anche questa cosa, e guarda caso ho letto che i moti sono poi andati a buon fine solo quando Mazzini capì che non dovevano essere più una cosa segreta, con codici che quindi solo pochi potessero comprendere, ma dovevano essere una cosa che coinvolgesse il popolo, che lo unisse per lo stesso ideale.
Insomma dovevano fare le cose per bene.
Caro amico zio non so perché ma a me questa riflessione – mia, quindi sempre opinabile – mi è piaciuta, perché il concetto è semplice e tu lo spieghi e racconti molto bene, lo rendi alla portata di tutti, come quando parli della pasta e fagioli, o quando dici che il lavoro ben fatto è una cosa importante oggi che è importante anche per domani, non so se mi si spiegato, con le parole sei certamente più bravo tu.
Io piano piano lo leggo tutto il libro, ma intanto grazie”.
“Grazie infinite a te, amico nipote, non puoi sapere quanta gioia mi stai dando”.
9 Giugno 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO
“Buona sera Vincenzo, scusami, mi ero un attimo fermato, sai, nel fine settimana non ho molto tempo, però oggi ho letto due capitoli, “l’approccio e il risultato” e “raccontare è giusto”. E niente, non posso che riconoscere la reale ansia che oggi lega il risultato all’approccio, e quanto la persona in quanto singolo sia legato alla frenesia di ottenere obbligatoriamente un risultato, e questo non solo in relazione al lavoro, ma anche ad altri aspetti della vita.
Allora tutto potrebbe, anzi può divenire più facile, più accettabile se riuscissimo (mi metto anche io nel calderone) a scindere quanto più possibile il risultato dall’approccio, perché è proprio vero che ottenere un buon risultato è gratificante, ma molte volte (credo sempre) io provo gratificazione già nel sapere di aver svolto un lavoro nel modo giusto: vuoi vedere che fare una cosa per bene e con il giusto approccio per poter ottenere un buon risultato è quindi essa stessa una gioia/gratificazione?
Ecco, magari così non ci si scoraggia nemmeno se il risultato per tanti altri fattori non è quello che ci aspettavamo, e in futuro continueremo con lo stesso approccio, cioè l’unico previsto per ottenere un lavoro ben fatto!
E tutte queste storie che ne conseguono anche io so d’accordo che vanno raccontate!
Ecco, tu hai fatto l’esempio di Italia – Germania, e sicuramente chi ha giocato quella finale, chi l’ha vista, chi l’ha diretta, insomma un po’ tutti l’avranno raccontata facendo così nascere in chi l’ha ascoltata quella passione, quella gioia, quella voglia magari di poter rivivere un momento del genere, e forse proprio i calciatori della nazionale del 2006 hanno sentito tanti racconti su quella partita e da allora hanno lavorato al meglio per poter ottenere a loro volta quel risultato.
Ecco, il lavoro fatto bene va raccontato, proprio come dici tu, per creare un precedente, per innescare quel meccanismo di fare bene come hanno fatto bene altri.
Sono sempre più contento di leggere questo libro, grazie e alla prossima riflessione”.
11 Giugno 2020
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IL NARRATORE SOCIOLOGO
“Caro Diario, nel frattempo che ritorna Gennaro, che in questa storia qui quello che conta veramente è quello che scrive lui, non quello che scrivo io, ti devo dire due cose.
La prima è che ho pensato di cambiare il titolo della storia, la vorrei chiamare “Domande di un lettore pizzaiolo”, in omaggio alla meravigliosa poesia di Bertolt Brecht. Ci penso ancora un po’, ma penso proprio che tra oggi e domani lo cambio.
La seconda è che stamattina ho ripensato a mio fratello Gaetano, lui mi prendeva spesso in giro con la storia che nel mio giro di amici sono tutti “dotti e sapienti”, proprio così diceva, a volte per significare che non avevamo gli stessi problemi che avevano quelli come lui, altre per dirmi che i miei saggi erano pure belli ma non erano per lui. Ecco, ti volevo dire che secondo me questo libro qui lo avrebbe letto con piacere, poi mi avrebbe messo in croce uguale, ma sarebbe stato contento di leggerlo.
Basta, è tutto, aspettiamo che torni Gennaro.
Rieccomi amico Diario, oggi Gennaro, condividendo sui social il link di questo suo racconto ha scritto questo:
“Motivi per leggere questo libro ce ne sono tanti, ma per me quello più importante è la fiducia e la consapevolezza che riesce a darti in modo semplice.
Pure se dobbiamo svolgere un compito, un lavoro difficile dall’esito incerto, l’unico modo per affrontarlo e portarlo al termine, è prenderlo di faccia, farlo nel modo giusto, può sembrare banale, ma non lo è, fidatevi!”.
Niente, te lo volevo dire.
12 Giugno 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO
“Buongiorno Vincenzo, rieccomi. Intanto ti voglio dire che ci ho preso gusto, ogni volta che prendo in mano il libro mi accorgo che si accende in me una nuova curiosità, una motivazione diversa dalla quale nasce il mio quesito o comunque la mia voglia di interagire con te, il mio amico zio.
Ti confesso che se fino a qualche settimana fa qualcuno mi avesse detto che avrei provato piacere a leggere un libro al punto da parlarne e da scriverti, non gli avrei creduto. E aggiungo che se mi avesse detto che avrei trovato il tempo o, meglio, che avrei dedicato del tempo alla lettura durante una giornata a mare gli avrei potuto fare pure una risata in faccia.
Adesso però non pensare che secondo me chi utilizza il suo tempo così sbaglia, che spreca un momento più o meno lungo per rilassarsi in spiaggia, perché non è così. Parlo per me, quello che voglio dire è che non pensavo di poter trovare rifugio in un libro, sentirmi parte di un libro, insomma sentirmi anche un poco protagonista.
Protagonista nel senso che penso che in realtà che tu proprio questo professi e cerchi di far capire a chi legge, che fare un buon lavoro è possibile e farlo bene è una cosa giusta che fa bene a noi e fa bene al collettivo, e questa già così è una cosa che rende felici.
Anche oggi a Seiano ho letto 2 capitoli, “La scuola abbandonata e le vie del lavoro” e “Exodus Cassino”.
Il primo mi ha fatto nascere subito una riflessione anche se forse esce un po’ fuori dal contesto, ma forse nemmeno tanto, nel senso che questo tuo libro lo dovrebbero leggere un po’ tutti quelli che la scuola la organizzano e la gestiscono, perché questo è un punto al quale tengo molto, e che credo qui in italia, soprattutto al Sud, è spesso una catastrofe. Naturalmente ci stanno le eccezioni, e infatti mi incuriosisce molto poter approfondire il lavoro svolto nelle scuole di cui hai parlato a Ponticelli, Rione Sanità e Fuorigrotta.
Naturalmente il risultato finale dipende da come facciamo le cose ma anche da i fondi e dalle strutture che ci vengono messe a disposizione, allora quando parlo di cattiva gestione delle scuole non parlo dei professori naturalmente.
Forse mi sto prolungando Vincenzo, ma quello che voglio dire è che per me che sono cresciuto in un quartiere difficile, specialmente negli anni in cui sono stato adolescente, posso dire che la scuola insieme ai valori che la mia famiglia mi ha insegnato e naturalmente con la mia volontà, mi ha salvato la vita. Ecco, io ce l’ho fatta, ma tanti no. È per questo che penso che chi deve gestire l’istruzione, quindi non parlo solo dei professori, dovrebbe fare un lavoro fatto bene, certo difficile, se posso usare un esempio, difficile proprio come quello fatto da te e il tuo gruppo di lavoro a Cassino.
Io credo che una società civile, una società nella quale a me piacerebbe vivere, è una società che non lascia indietro le persone, una società che vede anche al margine e prova ad allargarlo quanto più possibile, perché meno persone saranno lasciate fuori e meglio funzionerà tutto.
A Cassino avete fatto un lavoro esagerato, e il fatto che abbiate messo al centro di tutto e della riuscita di esso, il lavoro fatto dai ragazzi e dalle ragazze della comunità, ha fatto sentire me soddisfatto, quindi non oso immaginare loro, che a questo punto, come possono non intraprendere in seguito questo modo di fare le cose? È un modo che non sempre risulterà facile, come tutto nella vita, ma è l’unico che potrà restituire loro qualcosa.
Questa volta forse mi sono perso un po’, ma sono sempre contento e soddisfatto e anche se il tuo papà lo usava in altri contesti mi piace concludere dicendo che “la vita è fatta prima di tutto di soddisfazioni”, e come te anche a me questa soddisfazione toglie un po’ di peso e mi fa sentire meglio!
Un abbraccio dal tuo amico nipote.”
17 Giugno 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO
“Caro Vincenzo amico zio, in questi giorni ho letto poco, solo Nuttata ’e sentimento e Le leggi del lavoro ben fatto, nella vita il tempo è un fattore importante, forse il più importante, a volte ci vorrebbero le giornate da 48 ore tenendo conto che io al massimo ne sfrutto 5 o 6 per dormire. Comunque una cosa da dirti la tengo, è piccola come riflessione, ma anche le riflessioni piccole hanno la loro importanza.
Lo sto capendo man mano leggendoti, per esempio all’inizio del libro tu hai parlato del carisma di persone che non hanno bisogno di faticare per essere seguite, ascoltate e che questa non era una dote che tu e Luca possedete e che quindi dovete faticare di più, ecco io leggendo non credo che sia poi così vero.
Ora mi spiego: leggendo ho visto come tutto, nelle tue esperienze, nel tuo lavoro, sia nato da un pensiero, che poi grazie all’energia della tua passione, della tua voglia di condividere un’idea, un lavoro, hai trasformato in qualcosa di reale, di palpabile.
Ecco Vincenzo, tu tutto questo lo racconti con una gioia che trasmetti a chi ti legge. In ogni tua esperienza hai sempre coinvolto persone, sei riuscito a far intravedere il bello di una tua idea anche a un tuo amico, a due, a tre e così via, persone che ti hanno seguito e a loro volta si sono prodigati per la tua idea. Quindi, cavolo, per me sei carismatico eccome.
È bello perché tutti i tuoi racconti, anche se diversi, anche se si riferiscono a esperienze diverse, alla fine sono legati da un sottile filo invisibile che in realtà stai rendendo più che visibile con questo libro, perché il senso è proprio quello di coinvolgere, di allargare la cerchia delle persone, la comunità che segue il lavoro ben fatto come stile di vita, se davvero si vogliono aggiustare le cose e farle per bene.
Anche la notte del lavoro narrato ti contraddice rispetto alla mancanza di carisma, perché cavolo, come dici tu, senza sponsor, senza niente, sei stato capace, insieme a chi ti ha supportato, di coinvolgere tantissime anime.
Come dici tu? Ci vogliono testa, mani e cuore? È proprio così che voglio affrontare il mio lavoro, la mia vita, e magari il prossimo 30 Aprile parteciperò anche io, se me lo permetti, alla notte del lavoro narrato.
Caro zio amico scusami per gli errori, ne ho fatto sicuramente di più perché ho scritto di getto, ma spero di essere stato chiaro. Comunque ti voglio dire che con questa storia del lavoro ben fatto sto facendo una capa tanta ai miei colleghi. Anche se li vedo in difficoltà, provo a dargli forza, proprio come tu e il tuo libro state facendo con me. Alcune volte ci riesco, e quando non ci riesco continuo a provarci. Come sempre grazie.”
18 Giugno 2020
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IL NARRATORE SOCIOLOGO
“Caro Gennaro amico nipote, ogni volta che ti leggo è una gioia. Come ho scritto sui social, il modo in cui stai leggendo il libro e il senso che stai dando al lavoro che io e Luca abbiamo fatto mi emoziona sempre di più.
Per quanto riguarda la questione che sollevi il punto non è il carisma, su quello sono sostanzialmente d’accordo con te, è la capacità di influenzare, di essere influencer come si usa dire di questi tempi. Solo per un momento prova a immaginare quante copie avrebbe venduto questo stesso libro che stai leggendo e commentando, e che pure sta avendo delle recensioni molto belle da chi lo ha letto, se lo avessero scritto Roberto Saviano o Piero e Alberto Angela. È un dato di fatto, non farò finta che la cosa mi lascia indifferente perché sarei ridicolo e non sto qui a mangiarmi le mani perché mi piace assai essere quello che sono, però questo è, per ora.
Per ora sì, non lo dico per dire, se quelli che fanno quello che stai facendo tu da 1 diventano 10 e quelli che lasciano recensioni e commenti a 5 stelle su Amazon da 7 diventano 70 le cose cambiano, è evidente, anche perché tra me e Luca, Saviano, Piero e Alberto Angela c’è così tanto spazio che se anche ne colmiamo una piccolissima parte, come si dice a Napoli, abbiamo fatto la botta.
Per quanto riguarda la tua partecipazione alla prossima edizione de La Notte del Lavoro Narrato ti dico solo che per me e per tutta la nostra comunità sarà un piacere e un onore, te lo dico con il cuore, e mi fermo qui.”
IL LETTORE PIZZAIOLO
“Caro Vincenzo, secondo me il gap che c’è tra quelli come noi e quelli che invece ha la strada in discesa va colmato con il lavoro ben fatto. Credo che vale in ogni tipo di lavoro, anche nel mondo pizza, oggi più che mai. Devi sapere che all’inizio io un po’ le mani me le mangiavo, perché pensavo che persone con meno competenze stavano più avanti di me, e che io non ero dove avrei potuto essere!
Si, mi mangiavo le mani. Vuoi sapere ora? Ora no e questo grazie al tuo libro!
Non che prima non ne fossi convinto, ma adesso sono più sicuro delle mie qualità, delle mie conoscenze, e tutta la mia energia la sto mettendo nel valorizzarmi, nel migliorarmi, perché più conosci i tuoi limiti e più puoi lavorare per superarli.”
19 Giugno 2020
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IL NARRATORE LIBRAIO
“Caro Gennaro, Mi fa molto piacere che il nostro libro ti stia piacendo e soprattutto che tu lo stia trovando utile, fin dall’inizio di questa avventura forse questo era l’obiettivo principale mio e di papà. Volevamo provare a scrivere delle pagine che potessero nel loro piccolo aiutare le persone ad acquisire un occhio diverso con cui guardare il mondo. Da quando ci siamo rivisti al campetto da basket per fare due tiri sono passate un paio di settimane, continua a colpirmi allora come adesso che la passione che ti ha sempre caratterizzato viene convogliata verso la lettura, questo per me è un segnale chiarissimo che almeno con te abbiamo colpito nel segno.
Sicuro di rivederci presto nel frattempo ti mando un forte abbraccio, virtuale si capisce, non vogliamo mica infrangere qualche ordinanza.”
22 Giugno 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO
“Buona sera Vincenzo, sono a lavoro, e durante una pausa mi so concesso qualche minuto per scriverti. Come puoi vedere dalla foto, la rubrica lettura in spiaggia continua, sto andando piano, ma un paio di capitoli alla volta pure lo finisco tutto.
Ho letto “Da bella Napoli al manifesto” e “Strada facendo”, che ho trovato molto belli per quanto mi riguarda, dico così perché sembra che facendoti sempre complimenti voglia elogiarti per partito preso, ma non è così, insomma io non sono così, ma se davvero ogni capitolo, ogni storia mi piace è perché mi collega ad esperienze mie personali o a racconti di amici vari. Oltre ad essere bello, quello che scrivi a me piace perché mi ci sento un po’ parte integrante, e forse questo l’ho detto già tante volte ma è un dato importante, perché non vorrei sembrare ruffiano solo perché sei il mio amico zio amico.
Passando al libro, del capitolo “Da bella Napoli al manifesto” non c’è nulla da dire se non il fatto che scriverò quelle 52 regole appena collego anche io la mente alla mano e le appenderò nello spogliatoio della pizzeria dove lavoro, come promemoria, come incoraggiamento, come filoconduttore tra quello che abbiamo in testa e quello che poi realmente dobbiamo e vogliamo fare. Lo appendo per fare in modo che lo possa leggere sia io che i miei colleghi e compagni di lavoro.
Passiamo poi al secondo capitolo, quello che più mi ha smosso e sul quale più mi fermerei a parlare per ore, perché raccoglie almeno due cose importantissime per me e per l’idea che ho delle cose fatte per bene, e leggerle nel tuo libro e vedere che alla fine le cose che pensavo non erano così delle cattive idee mi ha fatto felice.
Ora la pausa è finita e torno a lavoro, se trovo qualche altro minuto torno a scrivere, altrimenti stasera dopo lavoro, tranne che se mi viene un pensiero importante, perché quelli quando arrivano li devi subito scrivere, almeno io che ho una testa che frulla almeno 1000 pensieri insieme. Tra l’altro, se vogliamo restare nell’ambito del raccontare, questa cosa, guarda un po’, me la consigliò proprio Luca – a proposito, sono stato contento di quello che mi ha scritto – un pomeriggio che, in maniera frettolosa, incontrai al Vomero se non sbaglio a via Luca Giordano. Ricordo che gli parlai di te e di quella volta che mi avevi detto di raccontarti un po’ la mia storia, gli dissi che ero sempre preso da qualcosa ma che avrei trovato del tempo per scriverti realmente, che per me era complicato parlare di certe cose e che a volte mi veniva in mente di scriverti qualcosa, ma poi non lo facevo e quello che avevo pensato svaniva pian piano.
Ecco, lui mi disse “ma tu quando pensi ad una cosa scrivitela, te la salvi magari in una nota, su un foglio, insomma in qualche modo” e niente Vincenzo lo sto facendo, e questa può sembrare banale ma è un altra bella storia che connette secondo me un po’ tutto al lavoro ben fatto. Se pensi anche all’uso che sto facendo delle note sul mio Smartphone che prima non usavo e quindi se ci colleghiamo al capitolo che ho letto ho scoperto un modo intelligente di usare una tecnologia a mia disposizione. Comunque mi so prolungato, scusa scappo, a dopo.
Rieccomi Vincenzo, alla fine non ho avuto tempo, allora sono le 00:42 e sono a letto lavato e stirato, ma voglio continuare e dirti che penso di “Strada facendo”.
Riletto velocemente il capitolo, trovo giusto che fare è pensare, che si impara facendo e che la pratica senza teoria sia limitata. Questo lo posso confermare nel mio lavoro, perché ai voglia di fare impasti, ma se non studi le varie tecniche, le varie farine e tante altre cose fondamentali, come puoi arrivare ad ottenere il risultato prefissato, cioè creare una pizza digeribile e allo stesso tempo saporita? A tentativi? Magari ci potevo anche arrivare, ma studiando ci sono arrivato con consapevolezza, sapendo che quello che stavo facendo aveva un senso!
Ripeto che sono almeno due i punti sui quali mi soffermerei di più in questo capitolo, che mi hanno più colpito.
Il primo mi è venuto in mente quando hai raccontato dei giovani del Suor Orsula, e del giornalismo, e del fatto che sia difficile trovare chi si affaccia a questo mondo con quella fame di raccontare cose ricche di contenuto, un’inchiesta sulle condizioni reali che riguardano persone normali, la società in cui viviamo. Questa cosa mi ha fatto pensare a quanto sia cambiata l’informazione ai nostri giorni, perché anche qui non conta più quello che si racconta e come lo si racconta o riporta, sembra quasi che l’importante sia arrivare per primi su una notizia, anche rischiando di riportarla in maniera non corretta, alcune volte addirittura facendolo di proposito, perché adesso non conta più il contenuto ma l’apparenza ed il fare click sulla propria pagina o sul proprio profilo! Ecco che nasce la fake news, e tutto un mondo intorno che secondo me ai veri giornalisti fa accapponare la pelle o, se vogliamo essere più coloriti, girare le scatole.
Ho un amico giornalista che veniva a scuola con me alle superiori che su questo argomento ci lavora e che sta trattando con attenzione anche l’uso sconsiderato dei social da parte di alcuni personaggi che, ahimè, sono pure molto seguiti, e sono proprio le persone come lui che mi fanno ancora ben sperare!
L’utilizzo sconsiderato delle tecnologie e dei social ha creato e crea false speranze e falsi miti, e purtroppo i più piccoli sono esposti a cattivi esempi, perché se è vero che il buon esempio è contagioso e che fare bene le cose può diventare virale, questo vale purtroppo anche per i cattivi esempi. È qui che entra in gioco il secondo punto che mi ha colpito in questo capitolo, e che vorrei diventasse d’obbligo nelle scuole già dalle elementari, cioè la stretta collaborazione tra istituzioni scolastiche, alunni e famiglie, perché è solo così che si può inculcare un metodo, che vale per il lavoro e che vale per la vita!
Un alunno delle elementari, che poi diventerà un alunno delle medie e così via, sarà più consapevole di cosa è giusto fare e come farlo, solo così perderemo meno giovani che purtroppo scelgono di seguire cattive strade!
Come al solito tengo mille pensieri in testa mille idee e volendole dire tutte mi ingarbuglio un po’, metti pure che scrivendo scrivendo si è fatta l’1 e 32.
Insomma quello che voglio dire è che ci tengo molto all aspetto sociale, e ai giovani, specie a quelli che non hanno armi per confrontarsi con questo mondo, con questa società che li abitua a volere tutto e subito e che per avere tutto e subito a volte, non essendo seguiti dai genitori, non avendo avuto un istruzione adeguata, persone che gli insegnino davvero a difendersi in questa società, si perdono, delinquono e scelgono strade che sembrano in discesa, mentre invece sono in salita.
Ma si può fare qualcosa e coinvolgere sempre più scuole? Da quello che ho letto tu già lo fai, ma piacerebbe tanto anche a me parlare con giovani difficili proprio per aprirgli gli occhi.
Che dire ancora? Forse che l’utilizzo dei social dovrebbero vietarlo anche ad alcuni politici e che mi ha colpito molto la storia dei pesciolini rossi che hanno più attenzione degli esseri umani, e qui ritorna il ragionamento su molti politici ma è meglio che lasciamo perdere.
Un abbraccio Vincenzo, e buona notte, si so fatte le 2 e domani devo portare mio figlio in bici, devo insegnargli perché è compito mio, i papà questo fanno.”
30 Giugno 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO
“Buon giorno Vincenzo, questa volta mi so preso una pausa un po’ più lunga, ma, come credo di aver imparato, ognuno ha i suoi tempi e quello che per me può essere un tempo lungo per un altro può risultare breve, il tempo è relativo e ragionare su di esso allo stesso modo rispetto a tutti, è riduttivo.
Una cosa è certa, che nessuno sa effettivamente quanto ne ha a disposizione, quindi scegliere come usarlo, penso sia il compito più importante nella vita di ognuno.
Mi sono accorto che anche io molte sono risucchiato dal vortice del tempo, dalla velocità della quale parli nel capitolo intitolarto “Vado al massimo”, e mi sono riconosciuto in una cosa che hai scritto rispetto al trattare un messaggio WhatsApp come se si stesse operando a cuore aperto. È accaduto proprio mentre scambiavo qualche chiacchiera con te su Messenger, dove ero così frenetico che nemmeno riuscivo a leggere tutto il tuo messaggio che già mi trovavo a rispondere, come se dovessi dimostrare qualcosa, e ricordo le tue parole dove mi dicevi di andare piano, di leggere prima e poi di rispondere, che non dovevo dimostrare nulla. In realtà come con te, come con quel messaggio, anche nel resto delle cose che facevo, ero frenetico, sempre tutto e subito!
Certo, in ogni cosa che faccio ho un obbiettivo, riesco a vederlo a toccarlo quasi, però mi sono accorto di un errore frequente, quello di fare subito e in fretta senza collegare con criterio quello che avevo in testa a quello che facevo. Insomma quello che ho capito è che non basta saperle fare le cose, ma bisogna essere consapevoli che per farle bisogna tener conto di tante cose, specialmente che ogni cosa ha il suo tempo, che per fare una cosa bene bisogna tener conto di tante cose relative a noi e non solo e che comunque, nonostante questo, non è detto che poi ci riesca.
Mi sto riprogrammando, e penso che come me dovrebbero farlo in tanti, ma come? Chi ci ha inculcato questa frenesia? Chi ha detto che se non abbiamo quella macchina, quei vestiti, non abbiamo ragione di essere? Perché si vive con la costante voglia di dimostrare? Possibile che sia una cosa solo caratteriale o è anche un fatto sociale?
Beh, io credo che i padroni dell’algoritmo già da un po’ hanno agito in questo verso, perché proprio come dici tu i buoni non sanno fare sistema, mentre i cattivi si! Bisognerebbe riprogrammarci veramente e fare sistema, quindi forse la blockchain del lavoro ben fatto sarebbe un passo importante, quindi non te lo dico nemmeno, perché leggendo questo libro ho visto e capito che tutto quello che hai fatto è nato sempre all’improvviso, ma non è caduto dal cielo, hai instaurato delle relazioni, dei fili conduttori, che ti hanno poi portato a realizzare quello che hai fatto, anche questo libro, e questo sono certo che varrà anche per la blockchain.
Sai, ultimamente mi è capitato di vedere una serie molto bella e ben fatta su Michael Jordan o MJ, il Maradona del Basket, “The last dance”!
Non ti dico i ricordi e le emozioni che mi ha trasmesso, ricordi legati anche proprio a Luca, grazie ai quali ultimamente ci siamo anche incontrati per fare qualche tiro a canestro.
Tu dirai che centra adesso con il libro, c’entra, perché io ho raggiunto un pensiero che prima forse era meno accentuato e che con il libro ho riscoperto, e che in un certo qual senso, il lavoro ben fatto c’entra anche con quella storia bellissima dei Bulls e di MJ, o con lo scudetto vinto dal Napoli di Diego.
Ecco Jordan e Diego sono dei talenti indiscussi, forse quasi non umani, inarrivabili per un normodotato, ed ero convinto che da soli abbiano vinto tanti trofei, perché talenti indiscussi!
Ma non è così, anzi non è solo così!
Quei bulls senza Jordan non avrebbero vinto, proprio come quel Napoli senza Diego, ma se invece alla fine sono riusciti nell’impresa era certamente grazie a loro, ma anche grazie alla loro capacità di far nascere nel resto della squadra la voglia di dare il massimo, di spendere fino all’ultima goccia di sudore, l’ultimo granello di energia per arrivare all’obbiettivo finale!
Si, Jordan e Diego erano alieni e lo erano anche perché riuscivano a influenzare anche il modo di giocare, di allenarsi, di vedere le cose in modo vincente, del resto della squadra!
Ecco adesso penso che i Bulls e il Napoli, senza MJ e Diego, non avrebbero vinto, ma che anche loro senza la squadra, senza la sua mentalità vincente, il modo di allenarsi, la voglia di migliorarsi, avrebbero vinto meno trofei. Hanno fatto sistema, sono riusciti a tirare fuori da giocatori “normali” che li circondavano il meglio di loro stessi, riuscendo a fargli superare il limite!
Mi restano gli ultimi due capitoli, sono curioso e felice di leggerli al più presto, e speriamo che questo libro sia come un po’ già penso, il mio Jordan o Maradona!
Alla prossima puntata.”
1 Luglio 2020
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IL NARRATORE SOCIOLOGO E IL LETTORE PIZZAIOLO
“Caro lettore nipote, questo tuo racconto diventa ogni giorno che passa un dono più prezioso per me, non vedo l’ora che tu arrivi alla fine e mi dispiace un sacco che stia per finire, non so se mi spiego, ma credo di sì.
Avere un lettore come te è un privilegio più unico che raro, non lo so quanti sono gli esempi di lettori che hanno dedicato a un libro le attenzioni e le riflessioni che ci stai dedicando tu, ma immagino si possano contare sulle dite di una mano. Ti sono molto grato di tutto questo, te ne sarò sempre, sono contento di dirtelo adesso perché penso che la parola fine tocchi a te, ai pensieri che scriverai quando avrai letto le ultime pagine del libro.
C’è anche un’altra ragione che mi ha spinto a scriverti, riguarda il rapporto tra Michael Jordan e Maradona che tu hai messo sullo stesso piano ma che secondo me non stanno sullo stesso piano.
Mi spiego, non si tratta di decidere chi è stato il più bravo, su questo sono assolutamente d’accordo con te, sono stati due geni assoluti, non c’è da fare nessuna graduatoria. Il punto è il diverso rapporto che hanno avuto con il loro lavoro, la capacità di reggere la fatica che c’è dietro al lavoro che si fa, la fatica che regge la genialità, perché è di questo che si tratta, mi capita di ripeterlo tante volte nei miei speech, perché senza il rigore, l’impegno, la capacità di resistere, di essere resilienti, come si dice oggi, non si va da nessuna parte, o comunque si sprecano un sacco di possibilità.
Thomas Edison, l’ho ricordato anche nel libro, ha scritto che il genio è per l’1% per cento ispirazione e per il 99% sudore, e io sono convinto che abbia ragione, è esattamenente per questo che Jordan è stato un top player fino a 40 anni e Maradona solo fino a 27 – 28, anche un talento assoluto come il suo può essere sprecato senza la fatica.
Niente, mi fermo, ti volevo dire solo questo, lo so che tu lo sai già, si vedeva già quando eri un ragazzetto sui campi di basket, ma ti assicuro che molti ragazzi della tua età e anche più piccoli di te non lo sanno, ed è un peccato, perché sapere questa cosa qui, e saperla applicare, può fare la differenza.
Ti saluto, spero di leggerti presto, non puoi sapere come sono emozionato.”
“Caro Vincenzo, questo libro mi ha aiutato tanto, e se è vero che sta per finire questa bella esperienza, è vero anche che non finirà mai, perché con me porterò tutto quello che mi ha insegnato, perché è così, come dici tu, quando uno inizia ad entrare in questo meccanismo, dopo si automatizza, quindi grazie di questa opportunità, quella di scoprire l’importanza del lavoro ben fatto. Anche se è tosta come cosa, si può fare!”
9 Luglio 2020
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IL LETTORE PIZZAIOLO
Caro Vincenzo, vengo con questa mia a dirti che sono in spiaggia e sono propenso a finire il libro. Una volta finito te lo dico e poi mi prendo il tempo per scrivere le mie riflessioni e anche quelle finali, e cavolo mi dispiace un po’.
Penso che devo prenderla un po’ come la storia dei 100 scalini, quelli per diventare maestro insomma, che in realtà arrivati al 100esimo scalino, non sei arrivati certo alla fine.
Mi sto facendo l’idea che tutto finisce solo se ci accontentiamo, perché arrivati al centesimo scalino, ce ne saranno altri 100 e poi altri cento. Forse tutto dipende da quante volte vogliamo superare il limite.
Rieccomi Vincenzo, il libro l’ho finito, sto leggendo e guardando la “storia fotografica”, che è proprio un bel modo per chiudere. Ancora non mi sento di scrivere, però una cosa te la devo dire: mi sono emozionato nel leggere la lettera al tuo papà. Sai perché? Io nelle scorse settimane ti stavo scrivendo qualche riga dove ti parlavo di me, e tra quelle righe ti raccontavo di mio figlio, e perché avevo deciso di chiamarlo Carlo, proprio come il mio papà. Sì, leggere la tua storia mi ha emozionato, specie quando gli dici alla fine la terza cosa: “mentre io, con gli anni, mi sono pentito di non averlo chiamato Pasquale”. Ad avermi emozionato è stato il tuo pentimento, non riesco a dirti perché, ma io l’ho sentito.
13 Luglio 2020
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“The last dance ma non troppo”.
Caro Vincenzo, è questo il titolo che darei alle parole che sto per scriverti. Vuoi sapere perché? Perché se c’è una cosa che si evince ed è tangibile per tutto il tempo, mentre leggi il libro, è proprio quella che non c è mai una fine, non si finisce mai di imparare, non si finisce mai di studiare, non si finisce mai di sognare. A patto però che quello che abbiamo imparato, studiato e sognato poi lo mettiamo in pratica con i fatti!
Tutto quello che é vita si evolve, ha un processo che cambia in avanti e che poi muore, tranne però se è stata una vita che sia valsa la pena di essere vissuta. Bob Marley è morto, ma la sua musica no. Diego non gioca più, ma il suo gol ai mondiali contro l’Inghilterra resterà immortale, così come tutte le giocate di Jordan fino all’alba dei tempi che verranno.
Ecco, tutte queste cose daranno vita ad altre, altri musicisti, altri calciatori ed altri cestisti perché fonte di ispirazione, e questo vale in ogni ambiente, in ogni settore e per ogni tipo di lavoro. Quello che voglio dire è che qualsiasi lavoro, se fatto bene, sarà sempre da esempio per un altro, e per questo che il concetto di nascita vita e morte poi si modificherà, diventando un ciclo infinito: nulla muore se lascia qualcosa a chi biologicamente è ancora vivo, anche solo un ricordo, una storia da poter raccontare!
È stato bello leggere il libro che hai scritto con Luca, è stato bello sentirsi parte di un sistema che potrebbe cambiare, magari non oggi, forse non domani, ma tutte le cose hanno un inizio, nessuna rivoluzione o cambiamento è avvenuto in un giorno, io in ogni caso sto iniziando a metterlo in pratica su di me.
Ci siamo dimenticati di come si fanno le cose, e voi ce l’avete ricordato, perché è sempre stato così, tutti sappiamo che se una cosa la vogliamo fatta bene ci vuole impegno, ci vuole studio, ci vuole sudore, ma qualcuno, chissà chi, ci ha ubriacati ed inebriati con la favola del tutto è possibile e tutto è facile! Certo che tutto è possibile, o quasi, ma non stando seduti su un divano, il nostro futuro è lì e per afferrarlo dobbiamo alzare il culo da quel divano e andarcelo a prendere, sudando, studiando e combattendo perché nessuno ti regala niente!
Come penso debba avvenire il cambiamento?
Io credo che come primo step bisogna cambiare le proprie abitudini, rivalutare il proprio tempo e riapartirlo in maniera diversa da come siamo stati abituati negli ultimi tempi; è vero che il tempo scorre veloce, ma non è detto che bisogna correre avanti ed indietro come dei fessi, bisogna correre in modo intelligente.
Nella ristorazione, per quanto riguarda i camerieri, c’è un detto: “cosce bone, cervella fina”, che appunto ci dice che se hai una testa intelligente, avrai gambe buone, cioè riposate, perché solo usando bene la testa il cameriere riuscirà a svolgere il proprio servizio facendo meno passi.
Quindi il primo cambiamento bisogna farlo su noi stessi, e capire che poi se vogliamo che questo funzioni davvero, bisogna renderlo possibile su una più ampia scala sociale, ed è questo il punto più difficile.
Difficile perché? Perché li dove ci stanno i mezzi a nostra disposizione, c è una scarsa informazione su come usarli! Forse più che di scarsa informazione bisognerebbe parlare di una cattiva informazione, voluta probabilmente e intenta a distrarre e a distorcere la realtà!
Quando nel libro parli di consapevolezza mi accorgo che è davvero questa la chiave, comprendo che è solo rendendo consapevoli quante più persone possibile che questa rivoluzione del lavoro ben fatto può iniziare a prendere forma!
Sono felice se anche solo una mia parola, una mia storia, una mia esperienza può contribuire alla sua realizzazione, perché questo è un gioco di squadra, e si sa che il singolo è importante ma è il collettivo che fa la differenza!
Io sono stato un pugile (nella mia testa e nel mio animo lo sono ancora), e cavolo quante cose anche il pugilato mi ha insegnato, la prima è quella che non bisogna mai arrendersi, non bisogna mai abbassare la guardia, ci si deve allenare seriamente perché rispetto a un calciatore per esempio, se ti alleni male, la domenica non rischi di perdere solo una partita, ma ti puoi far male!
Non so se lo sai Vincenzo, ma persino in questo sport super individuale c’è un gioco di squadra enorme, a partire dall’allenatore che deve essere bravo a migliorare le tue capacità non solo fisiche ma anche motivazionali, per passare poi agli altri pugili che si allenano con te e che durante la sessione di sparring ti aiutano a migliorare la tecnica. È vero che alla fine ci andavo io sul ring da solo, ma dentro con me portavo tutta l’esperienza fatta in palestra, in allenamento, con i miei amici che si allenavano con me, tutte le parole e consigli dell’allenatore che sta nell’angolo.
Tutto questo per dire cosa? Che il singolo può avere una grande forza, può avere carisma, può essere un campione, ma senza collettivo il singolo perde molta parte del suo valore!
Un’altra cosa che hai scritto e che per me è fondamentale: nonostante tutti i nostri sforzi, per quanto fatti nella maniera giusta, non è detto che il risultato sia positivo!
Quindi? Bisogna saper perdere, e questa è un altra cosa che mi ha insegnato lo sport.
Non che perdere sia bello, sia ben chiaro, ma dipende sempre dal come si perde, se perdo sapendo che ho dato il massimo, sicuramente il sapore della sconfitta sarà meno amaro! A volte si impara più da una sconfitta che da una vittoria, e questa non è retorica, è esperienza, si può imparare sempre nella vita, anche da chi sa meno di te!
Da questo io ho coniato un motto, o forse sarebbe meglio dire ne ho modificato uno, passando da “l”importante è partecipare” a “l’importante è come si partecipa”, entrambi sono a prescindere dalla vittoria, ma il secondo precisa che oltre al partecipare l’importante, anche se non vinci, è come partecipi, se lo fai bene con impegno ha valore altrimenti no!
Ti lascio con un accostamento che spero non ti offenda, anche se sai l’affetto e la stima che provo per te, quindi al massimo da zio amico potresti dirmi che ho preso fischi per fiaschi.
Leggendo, e sai che ognuno ha la sua percezione personale, arrivato alla fine del libro, ti ho accostato un po’ al maestro interpretato da Paolo Villaggio in “Io speriamo che me la cavo”, perché se vedi quel maestro arrivato in una realtà sconosciuta, dove l’ovvio diventa impossibile, ha capito che il metodo per arrivare agli studenti non poteva essere lo stesso che usava al Nord, la chiave doveva essere un altra.
Solo scoperta la chiave, il maestro riesce ad arrivare ai suoi studenti, a fargli capire che le cose non devono andare per forza in un certo modo, che le prospettive sono molteplici, che le possibilità non sono univoche, che tutti possono aspirare a qualcosa di meglio e non accontentarsi di quello che gli viene prospettato, quasi imposto, che ci si può rialzare da quella situazione di degrado, che si può migliorare!
Ecco Vincenzo, leggendo il vostro libro mi sono accorto di molte cose di cui sono schiavo, mi sono sentito un po’ come Raffaele Aiello, il bambino ribelle del film, che alla fine nel tema che consegna al professore ormai in viaggio verso il Nord, racconta un po’ la parabola della fine del mondo secondo lui, concludendo con la famosa frase “io speriamo che me la cavo”, che diventa poi il titolo del film (ed anche del libro). Proprio come lui, io ti scrivo ringraziandoti per la bella esperienza, che ricorderò e certamente racconterò ad amici, parenti e a chi mi è vicino, parlando del lavoro ben fatto, che cos’è, come si fa e perché può cambiare il mondo, con la possibilità che poi il mondo non cambi, ma con la certezza che il tuo libro un po’ ha cambiato me.
[… FINE …]