Caro Diario, questa storia qui comincia al Rifugio Cervati nell’ultima settimana di Agosto, Cinzia, Jepis and me ci siamo arrivati via Piaggine in compagnia di Riccardo D’Arco – gestore del Rifugio Monte Cervati – e Simone D’Angelo, giovane studente, volontario e appassionato della montagna. Tra qualche giorno ci ritornerò su questa giornata, per molti versi la più bella di tutte le vacanze, intanto ti anticipo solo della magnifica ospitalità di Riccardo, che ha invitato a mangiare e a bere qualcosa con noi tutti quelli che sono passati, Alessandro e i suoi amici che scendevano dalla cima, due ragazzi di Napoli che vi erano diretti, una famiglia catanese che aveva fatto la nostra stessa passeggiata di 5 km per arrivare al rifugio. Perché sì caro Diario, adesso troppe cose non te le posso dire, però l’approccio di Riccardo alle persone e alla montagna è di quelli che ti riempie il cuore, ti indica una via, una possibilità.
Ma torniamo al nostro Alessandro, perché lo sai come sono fatto, mentre mangiavamo tutti assieme pane, salame e formaggio di quello serio, e poi la magnifica ricotta del pastore Antonio Matrone che lui l’aveva fatta davanti a noi, mi sono messo a fare domande, della serie da dove venite, che lavoro fate – un avvocato, un’aspirante avvocata, uno che non me lo ricordo però poi me lo faccio dire – ed è stato a quel punto che Alessandro mi ha detto che lavora nella lavanderia di famiglia.
Indovini la prima cosa che ho pensato amico Diario? Va bene, ci hai preso, che uno che lavora in una lavanderia non te l’ho ancora raccontato.
Però questa era facile, vediamo se indovini anche la seconda. Che fai, ti arrendi? Va bene, te lo dico, gli ho chiesto se il lavoro in lavanderia se lo è scelto o lo ha ereditato, e la sua risposta mi è piaciuta così tanto che ho deciso senza indugio alcuno di raccontarlo.
Com dici aro Diario? Che cosa mi ha risposto? Questo:
“Vincenzo, io sono nato in una lavanderia, il mio primo box è stato un cesto per i panni”.
Il resto come puoi immaginare è venuto da sé, spero ti piaccia come è piaciuto a me.
«Vincenzo, allora, cominciamo come dici tu dal principio, mi chiamo Alessandro Rizzo, ho 36 anni e sono nato e cresciuto a Vallo della Lucania. Sono figlio di Antonio e Antonia, quindi la mia metà non poteva che chiamarsi Antonella. La nostra storia d’amore è iniziata 11 anni fa e da un anno conviviamo nella nostra casa a Novi Velia, ai piedi del monte Gelbison, ma sempre vicini ai luoghi di origine, circondati dai nostri nipotini Federica, Valentina e Mattia.
Ho frequentato le scuole elementari, medie e superiori sempre a Vallo e mi sono diplomato all’Istituto tecnico commerciale “Cenni” con la qualifica di ragioniere. Non ho continuato gli studi per portare avanti l’attività di lavanderia intrapresa da mio padre a Vallo dal 1981 ma iniziata molti anni prima a Caracas in Venezuela. Sin dai miei primi mesi sono cresciuto nella lavanderia, ne è testimone il mio “box” che come i ho detto è ancora oggi una valida cesta per i panni ringiovanita da una mano di vernice bianca ogni tanto.»
In pratica hai lavorato sempre in lavanderia?
«Sostanzialmente sì, con l’unica eccezione dell’anno che ho fatto come volontario in ferma annuale nell’esercito, subito dopo la maturità.
Essendo ancora in vigore la leva, preferii partire da volontario così da poter scegliere la destinazione e avere anche un guadagno. Scelsi Roma, non la rinomata Cecchignola, bensì il X Autogruppo Nomentano, dove visto che ero patentato e alla guida me la cavavo abbastanza bene, mi venne affidato un servizio di autista presso Palazzo Esercito su Via Nazionale, nella segreteria del Direttore generale del personale militare.
Avrei potuto anche non farlo, con un contratto a tempo indeterminato firmato dal mio boss, mio padre, ma scelsi di trascorrere questo anno di militare proprio per fare un po’ di esperienza lontano da casa e dalla famiglia, visto che non avevo continuato con l’università, sapendo che dopo avrei ripreso da dove avevo iniziato. Ti devo dire che non me ne sono mai pentito, è stato un anno bellissimo nel corso del quale ho conosciuto tanti ragazzi della mia stessa età provenienti da ogni parte d’Italia, con alcuni di loro mi tengo in contatto ancora oggi e di tanto in tanto ci vediamo.»
Finito l’anno di militare?
«Sono tornato dove volevo stare, in lavanderia. In cuor mio c’era sempre il pensiero di tornare e portare avanti quello che mio padre, insieme a mia madre, avevano portato avanti con non pochi sacrifici in tanti anni. Ti dispiace se ti racconto un poco anche di mio padre?»
Certo che no, vai!
«Devi sapere che lui a 18 anni aveva raccolto quello che aveva, lo aveva messo insieme ai saggi consigli del padre e aveva imbarcato tutto su una nave partita dal porto di Napoli che gli avrebbe fatto attraversare l’Oceano Atlantico e dopo 21 giorni di navigazione avrebbe attraccato al porto di La Guaira, in Venezuela.
Era arrivato lì con mille lire e un dollaro. Il suo sogno iniziale era andare in Australia, aveva già contattato l’ambasciata italiana in Australia, arrivato li avrebbe avuto un lavoro, una casa e il costo del viaggio gli sarebbe stato rateizzato dal suo stipendio, ma un suo compaesano che in quel periodo aveva una sorta di agenzia di viaggi, non avendo nessun guadagno da questa operazione che mio padre aveva già pianificato, prese tutti i documenti e li strappò, cambiando di fatto le sorti di mio padre.
Tornando a noi, cioè a mio padre, arrivato al porto di La Guaira, la sera aveva visto una montagna tutta illuminata da mille lucine soffuse, sembrava un presepe, ma la mattina seguente quella stessa montagna si rivelò una favelas, da qui il suo sconforto, gli venne quasi voglia di ritornare in Italia con la stessa nave con cui era partito, ma non poteva, così trovò dentro di sé la carica giusta per affrontare ogni evenienza e avversità.
Inizialmente fu ospite da un suo parente, con cui divideva una piccola abitazione, e per iniziare a guadagnare qualcosa iniziò a fare il cameriere in un bar abbastanza lontano da dove abitava, costretto a fare orari molto pesanti. Dopo di che, in contatto con la comunità di emigrati da Moio della Civitella, suo paese di origine, molto presente a Caracas, quasi tutti impiegati nel settore della lavanderia e tintoria, decise di imparare anche lui questo mestiere. Dopo tanta fatica e non poche vicissitudini a 21 anni aveva una lavanderia tutta sua con una decina di dipendenti e alcuni centri di raccolta in tutta Caracas.
Nel 1976, in uno dei suoi viaggi di ritorno a casa dai suoi cari conobbe Antonia, tre mesi in Italia, si sposarono e insieme ripartirono verso il Venezuela, stavolta con l’aereo. Nel 1978 nasce mia sorella Anna Maria, ma mio padre già pensa di mettere in pratica l’idea che aveva ben precisa in mente prima di partire, una volta imparato un mestiere e messo qualcosa da parte bisognava ritornare a casa.
Accade nel 1980, in un Sud Italia appena scosso dal pesante terremoto dell’Irpinia che aveva fatto i suoi danni anche nel Cilento. Arrivano a Vallo – dove ancora si dormiva nelle macchine di notte per il continuo sciame sismico post 23 novembre – e mio padre decide di rilevare una vecchia lavanderia a Vallo della Lucania, in Via Giovanni Maiese, al civico numero 3.»
Immagino che all’inizio non sia stato facile.
«Proprio così Vincenzo, iniziare non è mai facile, le prime settimane raccoglieva i pochi capi di abbigliamento che gli portavano in settimana e in pochissimo tempo, visto il modesto carico di lavoro, venivano riconsegnati puliti e stirati come di dovere. Ben presto il lavoro iniziò ad andare per il verso giusto e si iniziavano a vedere i primi risultati, riuscendo a non far rimpiangere il passato venezuelano, visto che era stato chiamato folle a lasciare il Venezuela nel momento di maggior sviluppo economico, anche se a vedere come stanno oggi le cose anche la scelta allora folle si è dimostrata quella giusta. D’altronde se non si rischia.»
Già, se non si rischia. Ma che dici adesso di ritornare a te?
«Giusto, ritorniamo a me, però sono sicuro che tu lo hai capito già che sarebbe stato un peccato non continuare il progetto iniziato da mio padre e mia madre. Che cosa posso aggiungere?, che pure io come loro ce la metto tutta, cerco pure io di avere sempre la giusta carica cerco per dare quel qualcosa in più, per curare quell’aspetto, quel profumo, quel particolare che i nostri clienti sono pronti a cogliere ogni qualvolta portano da noi i loro abiti.
Alla fine un abito è una parte importante di noi caro Vincenzo, fa parte di ciò che ci contraddistingue nella vita di tutti i giorni, nel lavoro come nei giorni di festa.
La lavanderia è rimasta sempre quella?
«Sì, però ha avuto due ampliamenti importanti. Il primo nel 1989, quando è stata ricostruita su due livelli, il secondo nel 2011, con la costruzione di un terzo livello adibito alla custodia degli indumenti puliti compresi quelli più ingombranti come coperte, piumoni e tappeti.
La nostra rimane un’azienda a carattere prevalentemente familiare, visto che assieme ai miei genitori, a me e a mia sorella ci lavorano anche tre dipendenti.»
Se tu dovessi indicare un segreto che è alla base del vostro successo quale sceglieresti?
«Più che un segreto direi che il successo è dovuto a diversi fattori, dal continuo aggiornamento delle tecniche di lavaggio e stiratura con macchinari all’avanguardia, all’uso di prodotti di qualità che rispettano l’ambiente e garantiscono la massima igiene ai clienti che decidono di usufruirne.»
E se invece mi dovessi raccontare una tua giornata di lavoro tipo? Cosa fai e fate concretamente ogni giorno in lavanderia?
«Vincenzo che ti devo dire, la sveglia è alle 7, a volte anche prima se vado a farmi la mia corsetta, alle 7.30 scendo alla lavanderia, faccio un po’ di manutenzione ordinaria alle macchine, si dividono i capi di abbigliamento avuti in consegna il giorno prima per colore e per lavaggio (es. delicato, normale, molto sporchi), poi quando iniziano ad uscire i primi lavaggi a secco, si preparano i panni per essere stirati ricontrollando se è rimasta qualche macchia. Intanto sono arrivate le ragazze al banco di consegna che servono i clienti e all’occorrenza mi chiamano perché sanno che mi piace essere sempre vicini ai nostri clienti, senza far mancare mai una chiacchiera con chi è disponibile a farla. Alle 13.30 pausa pranzo, alle 15.15 si ritorna a lavoro.
Nel pomeriggio oltre ai clienti al banco mi dedico ai lavaggi ad acqua al piano di sotto perché se non sono tutti lavati ed asciugati non si può di certo tornare a casa, è molto difficile che io riesca a farlo prima delle 21.
Non so se basta, la mia giornata mi viene breve da raccontare ma ti assicuro che è lunga da affrontare.»
Basta, basta. Per farti riposare un poco parliamo di tempo libero, che questa parte qui l’hai evitata del tutto.
«Che dire, qualche domenica mattina la dedico alla campagna. Tornare nei terreni ereditati dai miei nonni, scomparsi già da molti anni, per me significa sentire molto di più la loro presenza, ricordare i loro racconti legati a quell’albero – mpere du piro, ai piedi del pero, sotte da fico, sotto al fico, ‘ngoppa da cerza, sopra la quercia – o a quell’animale – si parlava di lupi, serpenti, asini, pecore -. Sì Vincenzo, per me lavorare la terra è un modo per onorare i sacrifici che hanno fatto per portare avanti la famiglia coltivando viti ed ulivi e vendendo il vino e l’olio prodotto.
E invece alla voce passioni?
«Se parliamo di passioni subito la mia mente va verso la corsa ed i viaggi.
A volte ho trovato anche il giusto punto d’incontro fra tutte e due, col travel running, andare in vacanza senza far mancare la corsa, magari vedendo qualcosa in più di quello che si può vedere quando si ha poco tempo a disposizione. Ho avuto la fortuna di prendere navi e aerei per andare in vacanza e non come mio padre per necessità. È un pensiero che faccio sempre.
Ho girato un bel po’, grazie anche ad Antonella, anche su questo viaggiamo sulla stessa frequenza per fortuna, abbiamo visitato buona parte d’Italia, un po’ di città europee – Parigi, Copenaghen, Valencia, Barcellona, Praga, Budapest, Amsterdam, Atene, Monaco, Londra, Malmoe – senza farci mancare Egitto, Bali, Canarie, Baleari, New York, un tour stupendo della West Cost degli Usa attraversando Los Angeles, Phoenix, Las Vegas, il Gran Canyon visto in elicottero, la Monument Valley.
Il viaggio più avventuroso è stato però quello in Australia, l’ho fatto con un amico di vecchia data, anzi ci siamo conosciuti già nel nido dell’ospedale appena nati. L’ho raggiunto a Perth, dove vive da qualche anno ormai, ci siamo muniti di tenda da campeggio e siamo partiti. Da Perth abbiamo attraversato la prima parte poco abitata fermandoci soltanto la sera nelle varie tappe a Esperance, Eucla, Port Augusta, per arrivare nelle città più blasonate come Melbourne, Adelaide e, ultima meta, Sydney. Lunghe distanze ma paesaggi e panorami che rimarranno indelebili nella mia memoria.»
Ho pure io un bellissimo ricordo dell’Australia, nel 2000 sono stato a Sydney in occasione delle Olimpiadi con mio figlio Luca e due amici, Salvatore e Michele, che purtroppo da qualche anno non c’è più. Da quello che hai raccontato direi che è stata un’esperienza molto diversa dalla tua, ma comunque indimenticabile, pensa che Luca appena sbarcati dall’aereo al ritorno mi disse “pa’ ci dobbiamo tornare”. Ma scusami, ti ho interrotto.
«Non ti preoccupare, nessun problema. Un altro viaggio assai avventuroso è stato quello che ho fatto in America Latina, soggiornando buona parte del viaggio in Bolivia a La Paz, sul Lago Titicaca, scendendo in Cile ad Iquique, e per ultimo trascorrendo tre giorni a Caracas ripercorrendo le orme della mia famiglia dove io non ero mai stato, per scattare qualche foto
Ma stavamo parlando di passioni, perciò non solo di viaggi ma anche di corsa. Sono partito dalla corsa di Vallo di 10 km del 2014, dai 10 km sono passato alla mezza maratona partecipando due volte alla Roma Ostia, tre volte alla mezza di Agropoli, una a Caserta e due a Napoli, per raggiungere negli anni la fatidica distanza della maratona: 42km e 195metri. Vincenzo, quello che si dice è vero, 30 km sono corsi con le gambe, 10 con la testa, 2 con il cuore e 195 metri con le lacrime agli occhi. Ho partecipato a due Maratone a Roma, a una a Firenze e una a Milano. Ora sono un po’ stanco delle competizioni e mi dedico alla corsa senza badare al tempo impiegato per ogni singolo chilometro, così mi godo un po’ di più i particolari dei posti che percorro anche con passeggiate in montagna come quella del giorno in cui ci siamo incontrati.
Ecco, direi che per me è tutto, tu che dici?»
Dico che anche per me è tutto. Grazie assai per esserti raccontato.