Mario Pellegrino e il ristorante Zi Filomena

Cip, 20 Maggio 2021

“Prof., aspetta, addò vaje, t’aggia fa assaggià ‘na cosa”. La voce di Mario mi blocca che già mi sono quasi del tutto tirato su dalla sedia ma non faccio fatica a rimettermi giù, non è mica la prima volta che Mario fa così, e quando fa così accade sempre qualche cosa di bello.
La “cosa” che mi fa assaggiare la vedi nella foto, che però non rende, non solo perché l’ho fatta io che sono negato, anche, direi soprattutto, perché queste foto qui per rendere veramente non basta un solo senso, la vista, ce ne voglio almeno altri due, l’olfatto e il gusto, e la foto che ti fa sentire l’odore e il sapore ancora non è stata inventata.
Mentre Mario appoggia il piatto sul tavolo io decido che devo fotografarlo, mi rialzo, faccio sette foto, questa è la migliore, pensa come sono venute le altre caro Diario, dopo di che mi risiedo e mangio.
No, non te lo dico come si dovrebbe dire, espressioni come l’esplosione dei sensi e dei sapori non sono vocabolario mio, te lo dico come l’avrebbe detto mio padre, me song arricreato, mi sono ricreato, sono rinato, insomma mi è piaciuto assai.
Stavo lì che mi palleggiavo beato i sapori in bocca quando è tornato Mario, lo ha chiamato “panettone estivo”, ha aggiunto che a lui piacerebbe mangiarlo tutto l’anno il panettone, e ho avuto l’impressione che un poco si è sorpreso quando gli ho detto che pure per me è uguale, che sono un tifoso del panettone, che il pandoro per quanto mi riguarda è competitivo solo per fare la zuppa di latte.
Ebbene sì amico mio, l’idea del panettone tutto l’anno mi piace, per me pure con il gelato ci sta alla grandissima, soprattutto se è fragrante, soffice e saporito come quello che ho mangiato oggi.
Come dici? Ma sì, non ti preoccupare, Mario in cucina è uno straordinario interprete della cucina familiare prima – non ti posso raccontare sempre tutto, ma la mitica Zia Grazia l’altro giorno ha fatto delle uova in purgatorio che potevano andare innanzi a un re – e cilentana e campana poi; però questo non vuol dire non avere il piacere e il gusto di sperimentare, di contaminarsi, di stare inta e fora, dentro e fuori, la propria storia, la propria cultura, la propria tradizione, la propria ricerca.
Comunque, tornando al punto, una volta che ho deciso di raccontarti tutto questo ho chiesto a Mario di raccontarmi un po’ di più del suo “panettone estivo” e così mi ha detto che è fatto con il lievito madre, che rimane fragrante anche per un mese, questo che hai mangiato tu l’ho fatto 20 giorni fa, che i canditi sono di arancia e limone e che l’albicocca candita che ha portato a parte con la crema è il frutto stagionale, nel senso che cambia a seconda del periodo.
“Vincenzo, pure la naturalezza dei canditi ha un ruolo fondamentale per la bontà del prodotto, e poi ci vogliono passione ed esperienza, vedi che sono 4 anni che ci sto lavorando, ho trascorso notti intere qui da solo.
Ma lo sai che appresso a un singolo pezzo ci vogliono 2 giorni e mezzo, anche 3, tra preparazione del lievito, primo impasto,  le 12 ore per il secondo impasto e le 6 – 8 ore prima di metterlo in forno per un’ora? Uscito dal forno, bisogna infilzarlo e metterlo a testa in giù, in sospeso, con la cupola in basso, per tutta la notte. Solo se fai così la cupola la salvi, altrimenti collassa.”
Come dici caro Diario? Ho fatto venire anche a te la voglia di mangiare il “panettone estivo” di Mario? Ma sì, tu pensa a venire a Cip, che se ci la fai dopo gli antipasti, i cavatieddi e la carne te lo facciamo assaggiare, basta che non prendi il vizio.

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Cip, 21 Agosto 2019
Caro Diario, Mario tiene 44 anni ma in realtà la sua storia comincia tra la fine degli anni ’30 e l’inizio dei ’40 del secolo breve, quando sua nonna Filomena decide di aprire una locanda – osteria di fronte alla putea, la bottega, che il marito nonno Michele teneva alla Forgia, nel centro storico di #Cip, Caselle in Pittari sulle cartine stradali.
Il 1960 è l’anno del trasferimento del Ristorante Zi Filomena all’Urmo, in viale Roma 11 se lo cerchi con il navigatore. A dirigere le operazioni in cucina la mitica Maria Grazia Fiscina.

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Come dici amico Diario? Ogni volta che ti racconto una storia che mi piace assaje non comincio mai da dove devo cominciare? Secondo me sei tu che stai diventando troppo lamentoso, comunque va bene, ricomincio dal principio e ti presento Mario Pellegrino, che come di certo hai capito anche se fai tutte queste storie è lui il protagonista del nostro racconto.
Allora, che ha 44 anni te l’ho detto già, che anche se è nato a Polla è casellese invece no. Aggiungo che ha un diploma da ragioniere che non gli è mai servito e che gli piace giocare a calcetto e ascoltare la musica anche quando lavora.
“Vincenzo, ci sono momenti in cui mi estraneo da tutto per rubare un’emozione a un brano musicale, a una canzone o anche a una foto”, mi dice. “Mi piace anche correre”, aggiunge, “mi rilassa molto, anche se mentre corro trovo sempre anche un momento di attenzione per quello che devo fare. Trovo indispensabile la trasparenza, la sincerità, il rispetto, la disponibilità nei confronti delle persone, nella vita come nel lavoro. Sì, caro prof., non mi piace fingere, sul lavoro cerco di trasmettere in ogni modo il senso di quello che facciamo, della passione e dell’approccio che c’è dietro ad ogni piatto, per questo quando incontro persone che non capiscono queste cose, quelli che secondo il mio modesto parere sono i fondamentali, ci rimango male.
Vedi, per me e la mia famiglia mandare avanti l’attività è più importante di quello che ci guadagniamo. Qui da noi per lungo tempo il conto è stato veramente l’ultima cosa, sono cresciuto avendo nelle orecchie frasi come “si è preso un piatto di pasta, e quanto glielo devo mettere? Sinceramente oggi abbiamo un approccio più professionale, ma la filosofia di fondo resta, quella porti con te, non ti lascia mani. Detto questo, cos’altro posso aggiungere? Forse che sono un tipo abitudinario e che non mi piace andare in confusione, di certo che non mi piacciono le persone violenti, i prepotenti, la presunzione, la maleducazione verso chi lavora, che sia io o i miei colleghi non cambia. Ecco, direi che di me ti ho detto tanto, anche troppo, tieni presente che qui io da solo non potrei fare niente, il lavoro delle altre persone è importante quanto il mio. Prendi per esempio mia moglie Isabella, nel ristorante dirige la sala, gestisce problemi e criticità, tiene i rapporti con la clientela e ti assicuro che è veramente una maestra, insomma mi permette di stare più tranquillo in cucina. Fuori dal ristorante cura tutti gli aspetti burocratici, il rapporto con il consulente del lavoro, il commercialista e così via. Ripeto, Isabella è solo uno degli esempi possibili, lo stesso discorso si potrebbe fare per Antonella che oltre a stare in sala prepara i dolci, per Anna che sta in cucina, per Floriana e Caterina che lavorano in sala, per Rosetta, Michelina e Angiulina, per Antonia – mia sorella – e Felice. Pensa che Rosetta è con noi da 20 anni, ha sacrificato famiglia e affetti per stare accanto a me come aiuto cuoca. Prof., sarebbe bello se tu potessi ascoltare e raccontare anche loro, sì, credo proprio che sarebbe bello e anche giusto, ma naturalmente questo lo devi decidere tu”.

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Come dici caro Diario? Sei curioso di sapere cosa ho risposto su questo punto a Mario?
 Non è stato difficile come pensi. Prima di tutto gli ho detto che la sua frase sull’importanza di mandare avanti l’attività mi ha ricordato la mia esperienza in Giappone, mi ha riportato alla mente il mio amico Volpi che all’Ambasciata d’Italia a Tokyo mi aveva detto la stessa cosa degli imprenditori giapponesi. Dopo di che ho aggiunto la verità, cioè che sarebbe di certo bello e giusto ma così ci vorrebbe un libro, ho aggiunto che è bello e giusto anche che lui lo abbia detto e che avrei cercato di porre rimedio con le foto, e ho concluso ricordando con il poeta che “nessun uomo è un’isola”. Infine gli ho chiesto di parlarmi del suo lavoro e ti devo dire che fin dalla prima frase mi ha allargato il cuore.

“Vincenzo, per me il cibo è un’ossessione”, ha iniziato. “Pensa che anche quando viaggiamo – non te l’ho detto ma anche se lo possiamo fare meno di quanto vorrei viaggiare mi piace molto – di fatto mia moglie e i nostri figli si concentrano sull’arte e sulla cultura e io sulla cucina. Sì, direi che il mio viaggio preferito è quello gastronomico”.
“Dimmi ancora della tua ossessione Mario”, l’ho incalzato a questo punto.
“Vincenzo secondo me è evidente”, mi ha risposto, “qui c’è da sacrificarsi dalla mattina alla sera, non è una questione economica, è una passione viscerale, una scommessa di senso, altrimenti potrei chiudere dopodomani. L’ossessione la vedi anche dal fatto che quando si lavora la cosa che detesto di più è la mancanza di concentrazione, la distrazione, la mancanza di rispetto per noi stessi e per il nostro lavoro. Certo, siamo umani, l’errore ci può stare da pare di tutti, ma la disattenzione, la sciatteria no. Tu lo sai come funziona, è sempre il dettaglio che fa la differenza.”

“Ma quando l’hai scoperta questa ossessione del cibo?”, insisto.
“Che ti devo dire Vincenzo, c’è tanto profumo di famiglia in questa storia. Ci sono mia madre, papà, i miei zii, c’è mio fratello che lui in realtà fa tutto un altro lavoro che però lo porta in giro per posti belli e mi aiuta tanto, un po’ come se pure i miei occhi andassero in giro, nel senso che mi dice le cose che mangia e che vede, mi parla del territorio e dei prodotti che incontra”.
“Insomma pure lui ha la fissa del cibo”.
“Proprio così, per certi versi s può dire che è lui che me l’ha trasmessa, poi naturalmente sono io a decidere cosa prendere e cosa invece no. Tra i miei ricordi ci sono mangiate a base di castrato, di sugo, di agnello, al tempo la scelta era abbastanza limitata, oggi ci sono una miriade di cose, e non per forza è un male, per esempio sono nate moltissime aziende agricole e così oggi si trovano prodotti che un tempo erano più difficili da trovare”.

“Mario, se ti chiedo qual è il piatto che ti piace fare di più, che senti più tuo, che ti riesce di più cosa mi rispondi?”, gli chiedo a questo punto.
“Ti rispondo che più che un piatto io cerco di trovare i componenti per strutturarlo. 
Prendiamo per esempio i cavatieddi, cavatelli fatti con le farine di Terra di Resilienza che a te piacciono così tanto fatti con il ragù. A me piace associarli ai funghi, alla salsiccia e alla fonduta di provola, ti garantisco che il risultato è notevole, alla prima occasione te li faccio assaggiare. I funghi sono quelli nostri, la salsiccia è quella con peperone rosso di Senise e finocchietto, la fonduta è fatta con provola affumicata con la paglia, Vincenzo da noi niente chimica frullata.
Insomma mi piace essere sempre alla ricerca della composizione del piatto, mi diverte ricercare prodotti che sono veramente genuini, sinceri, prodotti del nostro territorio ogni qual volta è possibile, mi interessa che alla base ci sia un percorso di natura, non mistificato, sincero. E lo stesso è – per fare un altro esempio – per il fusillo al ragù, lo facciamo con il ferro, lo facciamo con farina e uova e lo sposiamo con un bel ragù. Lo vuoi vedere il ferro?”
“Sì, dai, sono curioso”.
Mario si alza, scende giù e risale con i ferri ricavati dagli ombrelli dei pastori, neanche si risiede e arriva comare Angiolina, mi dice che è una delle pietre miliari del ristorante Zi Filomena, aggiunge che ha lavorato qui per quasi 60 anni, gli chiedo di farsi una foto con mamma Maria Grazia e comare Angiolina, fa sì con la testa, la puoi vedere in copertina.

“Adesso è il momento che mi racconti una tua giornata tipo”, gli dico a questo punto.
“Facile”, mi risponde. “La mattina sono sempre di ristorante, alle 8:30 – 9:00 sono qui. L’approvvigionamento lo faccio o la mattina presto o il primo pomeriggio. Ho trovato una signora che coltiva ortaggi e verdure senza pesticidi e senza nitrati, come ti ho detto il prodotto naturale fa parte della mia cucina. Naturalmente non tutto lo riesco a comprare da lei, però tutto quello che si può sì, la signora ha le mani sporche di terra, è una signora sincera, pure lei è come me, anche lei dice ma mò questo a quanto te lo devo fare.
Prof., io i prodotti me li vado a cercare, perché so quello devo fare, non mi interessa la mela che ha colori bellissimi come se fosse appena uscita da un quadro, mi interessa la mela naturale, la mela saporita, la mela buona.
Lo stesso discorso vale per le carni, non mi interessa seguire lo standard, voglio un prodotto del territorio, un prodotto sano, un prodotto che quando lo cucini non perde liquidi, quando lo vai a salare non trasuda. Detto ciò, aggiungo che nella giornata tipo sto in cucina fino alle 16:00 – 17:00, poi ho uno spacco di un paio d’ore e ritorno per il serale. Intorno alla mezzanotte finisce la giornata. Naturalmente questo d’estate e durante le feste comandate”.

*

“Un’ultima cosa prima di concludere Mario, qualche giorno fa mi hai detto che 7 – 8 anni fa hai avuto la chiamata, mi spieghi meglio cosa intendevi dire?”
“Vedi prof., io per diversi anni sono stato in sala, in cucina c’erano mamma e Giuseppe, un amico storico che ora lavora in un altro ristorante.
Avevo fatto la scuola di cucina, mia figlia aveva 3 anni quando c’è stata la sveglia, ho avuto la chiamata proprio come quando uno decide di farsi prete.
Devo riconoscere che ho avuto la fortuna di incontrare molte persone straordinarie che mi hanno dato una mano, cito per tutti il Maestro Pasticciere Giuseppe Manilia. Quando è stato il momento di entrare in cucina, ho avuto un colloquio con Nicola Miele, responsabile cucina, insomma chef, al Gambero Rosso di Nola; lui è ancora adesso il mio mentore, da quell’incontro mi sono svegliato definitivamente, prima avevo un’idea di cucina limitata a Caselle, da lì è iniziato un nuovo percorso, ho cominciato a percorrere nuove strade e a trovare la mia strada. Posso dirti ancora una cosa prima di finire?”
“Certo che puoi”.
“Vedi Vincenzo, noi siamo approdati 15 anni fa su Osterie d’Italia, la Guida Slow Food. Poi è arrivata la guida di Repubblica, quella del Gambero Rosso fino al Piatto delle Guide Michelin nel 2018.
Ecco, quello che ti voglio dire è che io questo processo che è iniziato con Osterie d’Italia non l’ho mai vissuto in maniera burocratica, come una certificazione, è stata piuttosto una parte del mio processo di maturazione, un modo per sedermi ogni anno di fronte a chi ci stava giudicando e guardarlo in faccia per capire dove si può migliorare, perché queste persone sono dei grandi esperti, sanno cogliere il particolare, quando assaggiano un formaggio sono in grado di cogliere ogni sfumatura e questo per noi è importantissimo.
Scusami, ma ci tenevo a dirtelo, perché io non sono contro i social anche se li uso poco, però a volte è facile scrivere un commento tanto per scrivere, e secondo me questo non va bene, torniamo sempre lì, per me il lavoro va rispettato, soprattutto quando si lavora con passione e qualità, con dedizione e impegno, quando non si fanno cose arrangiate. Te l’ho detto prof., ci vuole rispetto per il lavoro e per chi lavora, vale per tutte le persone e per tutti i lavoro, ecco mi piacerebbe che la concludessimo così questa nostra chiacchierata, poi naturalmente vedi tu.”
“La concludiamo così e con una foto caro Mario. Così perché rispettare il lavoro e chi lavora piace tanto anche a me. Con la foto perché ti ritrae insieme a tua moglie e state belli assai”.

Post Scriptum
Caro Diario, cinque minuti fa mi è apparso in chat questo messaggio di Jepis: “Ciao Vincenzo, mi sono ricordato che qualche anno fa feci questo video, non so se ti può servire, vedi tu”.
Che ti devo dire amico Diario, l’ho guardato e ho pensato mammà, come sono fortunato. Buona visione.