1. Caro Diario, sono stato a Idea Napoli, la tre giorni formativa ideata da Sistema Italia sulla leadership adattiva con il professor Marty Linsky dell’università di Harvard, uno degli ideatori della leadership adattiva e Stefano Zordan, presidente di Sistema Italia, allievo di Marty Linsky e curatore e traduttore dell’edizione italiana del volume sulla pratica della leadership adattiva edito da Franco Angeli.
Insieme a loro 40 manager, imprenditori e giovani talenti inviati da aziende e università per ragionare intorno alle sfide adattive che le loro organizzazioni si trovano a fronteggiare.
Nel corso della giornata ritorno e ti racconto meglio, intanto mi faceva piacere dirlo a te, al mio amico Giuseppe Carullo – uno di questi giorni te lo racconto, tiene un’energia strordinaria – e a tutti i partecipanti al seminario, perché questa idea della leadership adattiva mi piace, e vorrei continuare a discuterne con te, con loro e con tutta la comunità del lavoro ben fatto.
Allora siamo d’accordo, procediamo come sempre, chi vuole dire la sua scrive a partecipa@lavorobenfatto.org e io pubblico tutti gli interventi. A più tardi, per ora ti lascio con una foto di gruppo scattata da Fabio Notario, che pure lui tiene una bella capa e diversi bei progetti, ma anche di questo ti racconto un’altra volta.
2. Rieccomi caro Diario, vorrei dirti un po’ delle cose che ho raccontato ieri sera nel corso del panel moderato da Stefano Consonni, Public Affairs & Digital Lobbying presso Adl Consulting con Alessia Canfarini, Head of Human Capital di BIP e Alessandra Santacroce, presidente della Fondazione IBM Italia.
Come dici amico Diario? Ti piacerebbe sapere anche quello che hanno raccontato Stefano, Alessia e Alessandra? Certo che sì, al termine della discussione ho chiesto loro di inviarmi appunti e idee per condividerli con te, con i partecipanti al seminario e con tutte le persone che ci leggono, per ora ti dico solo che le cose che sono venute fuori a partire dalle domande di Stefano – una nostra esperienza alla voce leadership adattiva e le cose che non devono mancare nella cassetta degli attrezzi di chi la pratica – e del pubblico sono state interessanti assai.
Per quanto riguarda il mio contributo alla discussione alla voce esperienza ho raccontato A scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezza, sottolineando che è un percorso didattico che abbiamo sperimentato in ogni ordine di scuola, dalla prima elementare all’università, e che i tanti e diversi contenuti sui quali naturalmente lavoriamo a seconda delle classi e dell’età sono tenuti assieme da una medesima metodologia, da uno stesso approccio, che mira a trasmettere l’importanza di fare bene le cose e di usare le tecnologie – il coltello e la rete, l’ago e i social media, l’asciugacapelli e lo smartphone – in maniera consapevole.
Dopo di che ho aggiunto qualche considerazione sul perché anche le/i bambine/i di prima elementare che ancora non sanno leggere e scrivere lo possono capire: il martello sul chiodo va bene mentre sul dito fa male, l’ago infilato nel bottone va bene, infilato nell’occhio fa molto male, e lo stesso vale per internet e i social media. Perché sì, funziona proprio in questo modo, le tecnologie non sono né buone e né cattive, di per sé non fanno né bene e né male, dipende da come le utilizziamo.
Prima di concludere mi sono chiesto – ho chiesto – se al tempo della blockchain, della IoT e dell’intelligenza artificiale pensiamo davvero di poter mantenere un ruolo da protagonisti per noi umani con una soglia di attenzione al di sotto degli 8 secondi. mi sono risposto – ho risposto – che è venuto il momento di ripensarci su, di cambiare paradigma, di mettere in discussione modi di essere e di fare che ci sembrano inevitabili. Sì caro Diario, il primo giro l’ho finito così, con Bertolt Brecht e con la necessità di non perdere mai il difetto di pensare, perché quando non pensiamo mettiamo i like senza leggere, compriamo le camere sulle Online Travel Agencies anche quando sul sito dell’albergo costano di meno, siamo facili prede delle fake news.
Invece mi sono dimenticato di dire un’altra cosa che mi ero segnato durante il viaggio da Grosseto a Napoli, e cioè che con gli 8 secondi di attenzione lo scenario più probabile per noi umani è quello di Matrix e che personamente ritengo molto più auspicabile quello di Takumi, anche se ci vogliono 60 mila ore per diventare maestro. Sì, quando ho riguardato gli appunti un poco mi sono dispiaciuto di essermene scordato, perché avrei potuto dire che tra Matrix e Takumi ci stanno molte altre cose in mezzo, e poi anche la zona di confine tanto cara a Jean Baudrillard, però per fortuna c’è la tecnologia che mi permette di scriverlo qui e le persone a cui non l’ho detto ieri lo possono leggere oggi, domani, un altro giorno, e lo puoi leggere tu e un sacco di altre persone, e ne possiamo discutere, perché come sempre il mio è soltanto un punto di vista e più un punto di vista lo si confronta con altri e diversi punti di vista meglio è.
Al secondo giro, quello della cassetta degli attrezzi o dello zainetto come ha detto Stefano che è uguale, dato che condividevo tutte le cose dette da Alessia e Alessandra ne ho aggiunto solo altre due, la prima mi è stata donata da un mio carissimo amico restauratore e l’altra da un mio amico scienzato.
L’amico restauratore è Giuseppe Del Vecchio, la sua è così bella che l’ho regalata a mia volta a mastro Giuseppe, uno de protagonisti di Novelle Artigiane, te la faccio dire direttamente da lui: “È importante avere la consapevolezza dei propri limiti e la determinazione necessaria per superarli in avanti, perché il limite non è fisso, si sposta con noi. Ecco, se proprio dovessi indicare un segreto direi proprio la voglia di vivere con questo senso del limite e con questa necessità di spostarlo in avanti. Non vorrei sembrare esagerato, ma in questa faccenda del limite e del suo superamento vedo il senso più profondo delle nostre vite”.
L’amico scienzato è invece Piero Carninci che qualche anno fa al Riken mi ha spiegato in maniera semplice ed efficace in che senso è perché competizione e collaborazione sono due parole chiave nel mondo della ricerca: da un lato vince chi conquista la priorità, chi raggiunge per primo un determinato risultato, chi dimostra originalità di vedute e abilità di attuazione; dall’altro il campo è così vasto che non si vince senza condividere dati, informazioni, punti di vista, conoscenza.
Per finire ho ricordato che cos’è, come si fa e che cosa determina il lavoro ben fatto, lo so che a te l’ho detto già ma mi sembra utile ripeterlo:
i. Il lavoro ben fatto è che ognuna/o si alza la mattina e fa bene quello che deve fare, qualunque cosa debba fare.
ii. Il lavoro ben fatto si fa abituandosi a fare bene le cose, perché una volta che ti sei abituato è pressoché impossibile farlo male, diventa come allacciarsi le scarpe, infilarsi la giacca o fare il caffè, lo fai nel modo giusto anche pensando ad altro.
iii. Il lavoro ben fatto determina che se ognuno fa bene quello che deve fare tutto funziona come deve funzionare.
Anche qui avrei potuto aggiungere, come già avevo fatto il giorno prima a Grosseto, che un’altro aspetto importante è quello che si riferisce al rapporto con la propria cassetta degli attrezzi, avrei potuto ricordare che a Napoli c’è un detto che dice che “song’ ‘e fierre ca’ fann ‘o mast”, sono gli attrezzi che fanno il maestro, avrei potuto citare Mastro Antonio Zambrano che ne La tela e il ciliegio racconta che i suoi attrezzi di lavoro se li è costruiti da solo “perché sono più precisi”, avrei potuto concludere che è il rapporto che ciascuno di noi ha con le persone con cui lavora e con gli attrezzi con cui lavora che fa la differenza. Avrei potuto farlo ma non l’ho fatto, ci sarebbe voluto troppo tempo, per questa volta va bene così.
Spero di tornare presto amico Diario, come ti ho detto all’inizio vedo lo spazio per una bella discussione, non dipende solo da me, ma intanto comincio a sfruculiare un po’ di amiche e amici e a chiedere loro di contribuire alla discussione. Alla prossima.
3. Caro Diario, Stefano mi ha inviato il suo contributo, sono contento assai, spero che altri ne arrivino, due pensieri sono meglio di uno, quattro meglio di due, otto meglio di quattro e così via discorrendo. Naturalmente come sempre puoi partcipare anche tu, e le amiche e gli amici che leggono le nostre storie o hanno letto La pratica della leadership adattiva. Alla prossima.
Stefano Consonni
«Quando ho letto il libro curato da Stefano Zordan “La pratica della leadership adattiva”, mi sono venuti in mente diversi rimandi ai miei studi filosofici da un lato e alle tante sfide adattive legate all’implementazione del digitale che ho incontrato in circostanze di vita professionale. Le sfide adattive consistono per certi versi nell’accettazione di nuovi paradigmi culturali ed è qui che la leadership adattiva trova il punto di incontro principale con la filosofia. Praticare la filosofia significa infatti apprendere la capacità di vedere le cose da molteplici prospettive, di dubitare di sé stessi e delle verità precostituite, gestire le incertezze e accettare le perdite. Tutti concetti che risuonano nel libro di Zordan e che rappresentano i principali punti di resistenza al cambiamento adattivo nelle organizzazioni. Dall’altro canto le sfide imposte dalla trasformazione digitale sono tipicamente adattive perché richiedono di pensare i processi in modo differente. Ecco perché organizzare un panel di esperti come Vincenzo, Alessia e Alessandra sul rapporto tra leadership e digitale ad IDEA Napoli 2019 ci è parso fondamentale. Ho visto capi di organizzazioni anche rispettabili dettare le mail ai propri dipendenti perché poco abili a farlo da sé e altri che non avevano gli strumenti culturali per ragionare su processi digitali né volevano mettersi in gioco per impararli. Situazioni di questo tipo obbligano all’arretratezza culturale del capitale umano di un Paese intero e al fallimento delle organizzazioni. Le persone oggi, come ha detto Alessia che da trent’anni si occupa di HR, dovrebbero essere in grado di imparare e disimparare in modo costante per far fronte alle richieste del mercato. Questa frase mi pare emblematica e oltre ad essere la fotografia del periodo storico che ci troviamo a vivere, pone le basi per la necessaria creazione di una cultura adattiva nelle organizzazioni di cui il team di Sistema Italia può essere autorevole interprete.»
4. Caro Diario, è arrivata Laura Ressa e quando arriva lei sono contento, perché sta sul punto, è diretta, non ha paura di meterci la faccia, si fa e ci fa ogni volta domande vere. Detto ciò, lunedì al ritorno da Roma passo per la Feltrinelli e le ordino il libro, così poi lo va a ritirare a Bari, perché io lo sto leggendo, e mi fa piacere se lo legge anche lei, così poi magari ci inventiamo qualcosa, ma insomma per adesso tu leggi quello che ha scritto, poi al momento giusto ne parliamo, magari anche con Giuseppe Carullo e Stefano Zordan. Alla prossima.
Laura Ressa
«Quando leggo o sento parlare di leadership storco un po’ il naso, non perché non creda nel potere di una buona leadership ma perché parto dal presupposto che la maggior parte delle persone la intendano solo come una tacca in più in organigramma o come un aumento di stipendio. Si tratta di un mio punto di vista, probabilmente errato, ma la mia predisposizione a questo argomento parte sempre con il piede sbagliato.
Riappropiarci della libertà di scelta sui nostri attrezzi del mestiere e sul lavoro ben fatto è il passo imprescindibile, secondo me, per agire con coscienza. Perché si, io credo che ci voglia prima di tutto coscienza per essere un leader. Un leader per me non è solo un manager aziendale ma una guida, una persona da ascoltare e da cui imparare, un professionista che dimostra ciò che vale con i fatti e che non ha paura di mettere in luce le altre persone. Soprattutto se si tratta di persone del suo team di lavoro.
Credo fermamente che di leadership si debba parlare certamente in termini di adattamento a strumenti nuovi, persone e nuovi contesti. Non rinuncio però all’idea che essere leader significhi prima di tutto avere coscienza di ciò che si sa e che non si sa. Coscienza per ammettere i propri errori e per dire a un’altra persona “in questo mi hai superato” o “da te ho imparato molto”. Tutto passa dalla gestione del rapporto con le persone, non si sfugge! Per me sei un bravo leader se accogli le istanze e se sai ascoltare. Sei leader se ti informi, se leggi e studi senza sentirti mai completo. Sei leader se non ti vanti continuamente delle tue piccole o grandi conquiste pur di sembrare migliore degli altri. Importante per crescere è la competizione, quella pulita però. Quella che richiede sempre uno scambio reciproco di attrezzi e competenze da trasmettere e da donare senza remore.
Per me sei leader se sei una persona prima del tuo ruolo. Sei leader sei non dici di esserlo, se sono gli altri a riconoscere cosa hanno imparato da te e cosa tu hai imparato da loro.
E allora alla fine dico che non mi piace parlare dei manager perché nella nostra cultura vedo la figura del manager assorbita spesso alla figura del leader, ossia qualcuno che primeggia e che emerge sul resto. Ed invece è la punta di un iceberg che al di sotto è sorretto e coadiuvato da una serie infinita di fattori e persone. È la cima di una quercia maestosa che sotto il terreno nasconde un fitto e pimpante strato di radici sempre pronte a lavorare e a stagliarsi operose per metri o chilometri, in sordina.
Ogni giorno, ragionando su me stessa, mi chiedo quanto conti per me lavorare e far sì che il mio lavoro venga riconosciuto. Me lo chiedo anche se non sono ancora o non sarò mai leader, con l’idea di dovermi spendere sempre e comunque al massimo delle mie possibilità.
Ma quanto si può prescindere dal riconoscimento facendosi bastare la pagnotta? In che modo i leader si fanno carico di questo?»
5. Caro Diario è arrivata Alessandra Santacroce, Presidente Fondazione IBM Italia e Direttore Relazioni Istituzionali IBM Italia. Lo so che mi ripeto, ma io sono davvero molto contento, perché le idee di Alessandra rendono più bella e più ricca la discussione, perché contribuiscono ad ampliare gli ambiti e le possibilità di partecipazione. Buona lettura.
Alessandra Santacroce
Quando sono stata invitata a questo incontro mi sono fatta diverse domande su cosa fosse in realtà la Leadership Adattiva. La sfida adattiva richiede che le persone abbiano la capacità di anticipare il cambiamento, adeguando il modo di comportarsi, di condividere e di affrontare i problemi, senza mai perdere di vista però i propri valori e principi. Tuttavia i comportamenti radicati non si possono modificare in un click, è necessario un percorso culturale. Aiutare le persone ad affrontare il cambiamento è un lavoro difficile, ma proprio qui si dimostra la vera leadership. Questa non necessariamente deve essere portata avanti da una persona sola (anche se spesso il leader è una persona “sola”), ma può essere anche promossa e articolata grazie a percorsi collaborativi in aziende leader nel loro settore.
Se pensiamo all’innovazione tecnologica, subito ci viene in mente la necessità di adeguare saperi e modelli di lavoro ad un contesto in costante cambiamento. Sono essenziali nuove competenze, capacità di lavorare in team, contaminazioni tra settori, approcci multidisciplinari e abilità nella gestione dell’incertezza, che spesso non trovano riscontro nei tradizionali modelli formativi.
Il dibattito corrente è sempre più incentrato su un nuovo rapporto tra uomo e tecnolgia, dove spesso prevale il timore, ma dove invece sono fondamentali conspapevolezza e competenza per guidare il giusto bilanciamento per una tecnologia che sia al servizio dell’umanità e per nuove professioni che garantiscano il futuro di molti giovani che si affaccerano al mercato del lavoro.
A tale riguardo è fondamentale lavorare sulla formazione, sviluppando perscorsi innovativi in una prospettiva di costante collaborazione tra scuola, università e aziende, cogliendo stimoli di aggregazione e sperimentando modelli che vanno oltre i canoni tradizionali.
Il punto è quindi non adeguarsi passivamente all’evoluzione della tecnolgia, ma essere preparati per trarne il meglio, essere consapevoli del valore e delle implicazioni connesse alla trasformazione digitale per usufruire delle grandi opportunità che ne derivano.
Per tale ragione, accanto alla formazione, occorre accompagnare questa trasformazione con una visione etica e responsabile, con principi che definiscano la centralità dell’uomo, che assicurino la trasparenza delle decisioni e la formazione, perchè il progresso sia sempre più inclusivo. Ho pertanto voluto condividere questi principi, lanciati da IBM e ripresi in altri contesti, per portare una mia idea di leadership adattiva in cui nella trasformazione continua che contraddistingue questo momento storico e che comporta enormi benefici, ci sia qualcosa che resta immutato che risiede nel ruolo centrale dell’individuo e dei valori della collettività.