Caro Diario, se ti racconto di una ragazza di 13 anni di Montesano sulla Marcellana che un giorno torna da scuola e dice ai genitori che se ne va a lavorare in Sicilia tu che cosa mi rispondi?
Come dici? Che di questi tempi non ci si può meravigliare più di niente? È probabile che sulla meraviglia tu abbia ragione, ma di certo i tempi sono sbagliati, perché il fatto è accaduto nell’anno di grazia 1958 e la ragazza in questione oggi ha 73 anni. Sai che faccio? Te lo faccio raccontare direttamente da lei, da nonna Teresa, com’è andata.
“Sono nata nel 1945, era appena finita la guerra, erano tempi duri per tutti e anche la mia infanzia non è stata facile.
Mia mamma ha avuto 15 figli, tutti e 15 nati vivi, battezzati e tutto, però poi 10 sono morti, 9 da piccoli, e siamo rimasti in vita in 5. Sì, erano tempi duri duri duri, mamma era orfana della prima guerra mondiale e si era sposata giovanissima, lavorava in casa e fuori, andava in campagna e faceva anche la manovale vicino ai muratori.
Io quando ero piccola piccola stavo a casa, nemmeno a scuola potevo andare, aiutavo la nonna e guardavo (accudivo) i miei fratelli. A scuola ci sono andata dopo, ho fatto fino alla quarta elementare, ricordo che nell’aula eravamo in 40 – 50, mica pochi, niente riscaldamenti, in inverno faceva un freddo pazzesco.
Proprio in quarta ho avuto una maestra siciliana, di Enna. Un giorno, mentre spiegava, ci ha detto ‘ragazze, c’è una mia cugina che è una baronessa e cerca una badante per il nipote, un bambino di tre mesi, perché la figlia insegna e ha bisogno di aiuto’. Dopo di che ha aggiunto che la paga era di 15 mila lire al mese e che il vitto e l’alloggio erano a carico della baronessa, in pratica cauzata e vestuta (calzata e vestita) prufessò. Mi dovete credere, di fronte a tutto quel ben di Dio, quando ha detto ‘chi è disposta ad andare alzi la mano’ io sono stata la prima”.
“Scusate nonna Teresa, e i vostri genitori?”
“Eh, i miei genitori, quando glielo ho detto né mamma e nemmeno mio padre volevano accettare la mia proposta, ma io non li ho fatti comandare prufessò, mi sono imputata e sono andata.
Siamo partite una mattina di Marzo, non ero sola, eravamo in 5, le altre ragazze erano state prese per fare i lavori in casa, cucinare e tutto il resto. Io comunque era la più piccola, quando siamo arrivate mi hanno accolta e mi hanno spiegato quello che dovevo fare.
All’inizio mi sono occupata solo del bambino, ricordo che si chiamava Diego. Poi quando si è fatto più grandicello ho fatto anche altre cose, servivo in tavola, facevo le pulizie e tutto quello che serviva. D’inverno stavamo a Palermo, d’estate tornavamo ad Enna dove la baronessa aveva questa grande tenuta a Geracello, una frazione di Enna, vicino al Lago Pergusa. Sono stata sempre molto seria e precisa nel lavoro e la baronessa mi prese a benvolere. Professò, non so se la faccio troppo lunga, io vi sto dicendo tutto, poi vedete voi quello che vi serve”.
“Tranquilla nonna Teresa, raccontatemi tutto”.
“Va bene. Allora, io là stavo benissimo. Ricordo che uno dei fattori andava sottoterra per prendere il formaggio, e anche in casa c’era un pozzo, mettevamo il latte, la carne e le altre cose in un paniere e poi lo calavamo giù per tenerle al fresco.
Tutte le 15 mila lire al mese che guadagnavo le mandavo ai miei genitori, perché c’era bisogno, avevamo la casa abbattuta dalla guerra e bisognava rifarla, i soldi che mi sono guadagnata sono diventati calce e cemento. E poi la baronessa mi voleva un mondo di bene, mi teneva quasi come una figlia piccola, mi diceva che mi dovevo sposare là, che dovevo uscire vestita da sposa da casa sua. Professò, si sarebbe occupata lei del corredo e di tutto il resto, tutto tutto tutto.
Mamma e come chiangeva (piangeva) quando lo diceva. Pensate, mi aveva trovata anche il ragazzo che mi voleva far sposare là, il figlio di un fattore che lavorava per lei, ma io niente da fare.”
“Il figlio del fattore non vi piaceva?”
“Non è che non mi piaceva, è che io volevo tornare a casa, ero piccola, la famiglia mi mancava”.
“A proposito, ma di tanto in tanto avevate la possibilità di tornare?”
“Sì, sì, a parte la prima volta che sono stata lontana 18 mesi, avevamo un mese di ferie all’anno. Intorno ai 18 anni c’è stato il ritorno straordinario che ha dato una svolta alla mia vita. I fatti sono andati così: mi dovevo operare di appendicite, avevo promesso alla baronessa che sarei tornato dopo l’operazione, però poi durante la convalescenza ho accompagnato mia nonna in Toscana e lì ho conosciuto il mio futuro marito, dopo di che ho scritto alla Baronessa, l’ho ringraziata di tutto e le ho detto che avevo trovato l’amore della mia vita e che quindi non sarei tornata più in Sicilia.”
“Scusate, ma non
potevate tornare tutti e due?”
“Che vi devo dire, in realtà sì, la possibilità c’era. Mio marito facevo il fabbro e la baronessa disse che lo avrebbe preso nell’azienda di autobus che aveva il genero mentre a me mi avrebbe assunta come portinaia, però mio marito era molto attaccato a Caselle e alle sue radici.
Pensate che era già nata Antonia, la mia primogenita, quando la baronessa mi venne a trovare a Caselle, mi fece una sorpresa, io non lo sapevo. Noi a quel tempo avevamo solo il suolo, non avevamo ancora cominciato a costruire la casa, e così lei aveva detto a Rocco, mio marito, vieni a vedere a Palermo come ti trovi e poi, caso mai, te ne ritorni.
Dico la verità, io sapevo quello che avevo lasciato e mi sarebbe piaciuto fare una vita più di città, ma le origini sono origini, e va bene così. Comunque con la baronessa siamo rimasti sempre in buoni rapporti, pensate che quando c’è stato il terremoto del 1980 mi è arrivata una sua lettera con un assegno di 200 mila lire. Voleva sapere se avevamo bisogno di aiuto.
Io all’epoca lavoravo a Battipaglia e la sera quando sono tornata mio marito e Antonia, che l’avevano aperta, mi hanno detto ‘vedi che c’è una lettera per te’.
C’era il suo numero di telefono, l’ho chiamata e poi le ho mandato il mio.
Ci siamo sentite tante volte, a Natale, a Pasqua e per le ricorrenze. Ogni tanto la chiamavo anche la Domenica, perché lo meritava.
L’ultima volta che l’ho chiamata mi ha risposto la figlia e mi ha detto che la mamma non c’era più. Io un poco mi sono anche arrabbiata, le ho chiesto perché non mi avesse avvisata, io e mio marito saremmo andati sicuro a darle l’ultimo saluto. Mi ha risposto che non ci avevano pensato.
Vedete, mi viene ancora adesso il freddo addosso, ho la pelle d’oca”, aggiunge mentre si passa la mano sul braccio. “Con la figlia poi abbiamo perso i rapporti, una volta mio nipote l’ha cercata anche su Facebook, come si chiama, ma non ci siamo trovati. Eh, la vita, la vita.”
Come dici caro Diario? Questa storia sembra uscita da un romanzo francese di fine ‘800? Aspetta, che non abbiamo mica finito, ci sono ancora un sacco di cose che ti devo raccontare.
Innanzitutto ti dvo dire che nonna Teresa è una donna che non sta ferma un momento, ieri per esempio è stata in campagna, ha accudito le nipoti, ha fatto il forno a legna e ha arrostito i peperoni e le melenzane per conservarli per l’inverno. “Ho raccolto pure i fichi, ho pensato se viene il professore glieli faccio trovare”.
Sì, amico Diario, lei è fatta proprio così. Le piace dedicarsi ai sottoli, alle marmellate – dalle arance ai fichi -, ai pomodori, al maiale, ai salumi, tutto fatto in casa, tutte con le sue mani, per una vita con l’uomo che le ha rubato il cuore, Rocco Pisano, e da quando lui non c’è più in collaborazione con il figlio Michele.
Vuoi sapere che cosa mi ha risposto quando le ho chiesto “perché fate tutte queste cose?”
Prima mi ha detto “le faccio per i miei figli e i miei nipoti” e poi ha aggiunto “perché ho la passione di farle. Mi piace fare il pane, lavorare la terra, fare il giardino, mi piace fare tutto, però con la terra sono molto affezionata. Ve lo dico veramente, se io la mattina non mi vado a fare una sburdiata fora (un’attività energica fuori di casa, nella fattispecie in campagna) non mi sento bene. Ah, mi piace anche andare in chiesa tutte le sere, mi piace fare gli aggiusti con la macchina per cucire, mi piace il senso di comunità che avevamo da ragazze, quando andavamo a lavorare i panni al fiume e si faceva la liscia (liscivia).
Invece non mi piace l’uso che i ragazzi fanno dei telofonini, ce ne sono troppi in giro. Secondo me per loro sarebbe importante imparare qualcosa di utile, io per esempio vorrei insegnare come si fa il pane, come si cucinava una volta, come si raccolgono le melenzane, i fagioli, i pomodori in campagna, ma i ragazzi di oggi niente, non ne vonno sapè (non ne vogliono sapere). In parte hanno anche ragione, oggi i tempi sono diversi, però secondo me certe cose hanno un valore importante, non dovrebbero andare perse”.
Ecco caro Diario, è stato a questo punto che ho adocchiato le piccole sfere fritte adagiate nel piatto e ho chiesto a nonna Teresa che cosa fossero, e quando mi ha risposto “polpette pane e formaggio” ho chiesto il permesso di mangiarne una. Mi devi credere, era una squisitezza.
Conclusa la mia storia d’amore con la polpetta le ho chiesto di raccontarmi un po’ dei suoi lavori fuori di casa, e senti quante cose sono venute fuori.
”Eh, mio caro professore, seguendo l’amore mi sono sposata e con il matrimonio sono passata dalla sedia allo scannieddu (scanno), anche se poi piano piano sono arrivata di nuovo alla sedia.
Ah, scusate, prima, quando ero ancora fidanzata, ho preso il diploma di taglio e cucito, come vi ho detto non c’erano soldi e cucire un vestitino o aggiustare una giacca o un cappotto voleva dire guadagnare qualche soldo o avere in cambio un po’ di olio, di pasta, di vino, che anche quello era importante.
Tornando a noi, un anno dopo che ci siamo sposati, era il 1969, abbiamo cominciato a costruire la nostra casa, questa nella quale siamo ora, con 200 mila lire abbiamo fatto fare le prima fondamenta e poi ce la siamo costruita un poco alla volta, come potevamo fare, anche con lo scambio lavoro con gli operai.
Per quanto mi riguarda, per prima cosa ho cresciuto i figli e ho aiutato mio marito, non solo in campagna, anche in officina. Per esempio quando doveva tagliare il ferro lo aiutavo, quando doveva fare le zappe giravo il mantice a mano, insomma quello che bisognava fare, facevo.
Appena i figli sono cresciuti è cominciata la mia esperienza di bracciante agricola a Battipaglia, nella Piana del Sele, dentro e fuori le serre, carciofi, fragole, pomodori, facevo le 51 giornate e poi mi ritiravo.
Per 3 anni ho lasciato il lavoro di bracciante agricola e ho lavorato nella mensa scolastica come cuoca, nel frattempo avevo preso anche la licenza di 5° elementare, era indispensabile per fare la domanda. Quando hanno tolto la mensa sono tornata a fare la bracciante agricola fino a quando sono andata in pensione. Professò, ho fatto 21 anni di Battipaglia”.
“Voi siete un mito, nonna Teresa”.
“
Eh, ma quale mito, la verità è che mio marito non doveva mancare così presto, aveva ancora tanto da trasmettere ai nostri figli e ai nostri nipoti, e io con lui. Sapete, è stato Rocco che mi ha trasmesso l’amore per la campagna, io prima di conoscere lui non sapevo fare niente. E comunque non vi dimenticate di parlare della fatica, che è stata davvero tanta tanta e se non era per il sindacato ce la saremmo vista ancora più brutta.
Dovete sapere che all’inizio non avevamo diritti, eravamo trattati come schiavi, proprio come gli extracomunitari adesso. C’erano i caporali che ci levavano la salute, bisognava fare tante cassette di carciofi, di pomodori, di fragole, a seconda del periodo e del posto dove ci portavano. Quando c’era il sole potevi schiattare sotto a una serra e quando pioveva dovevi lavorare sotto l’acqua. Lavoravamo dalla mattina alla sera, fino a che faceva scuro, e ci portavano con pullman dove stavamo assiepati anche in 100 di noi. È stato grazie al sindacato che abbiamo avuto i diritti, degli orari di lavoro più giusti, un salario migliore. Siamo arrivati a 40 mila lire al giorno quando eravamo partiti da 2 mila lire, e sugli autobus c’erano finalmente tante persone quante se ne dovevano portare”.
Che donna nonna Teresa, vero amico Diario?, sarei stato con lei altre due ore, è uno spettacolo come muove gli occhi, le mani e il viso mentre ti parla.
Invece sì, siamo arrivati quasi alla fine, mi resta da dirti solo del suo cognome, indovina un po?, Palermo, Nomen Omen, e della sua splendida famiglia: 4 figli – Antonia, Giuseppe, Mariangela, Michele – 8 nipoti, una pronipote e altri due in dirittura d’arrivo, che sono loro che più di ogni altra cosa danno senso oggi alla sua vita.
Ecco, adesso abbiamo davvero finito, anzi no, perché non ti ho ancora detto che dopo averla intervistata me li sono mangiato tutti i fichi che aveva raccolto se venivo io.
E come te lo dico che è stato amico mio, dovevi essere lì, ci sono cose che non si possono dire, o uno le prova oppure non capisce.