Caro Diario, che i mattoncini delle costruzioni mi piacciano un sacco te l’ho raccontato già, a costruire astronavi con Luca e Riccardo, i miei figli, ci siamo sempre divertiti assai. Non so invece se ti ho raccontato del Presepio, del fatto che lo preferisco all’Albero, che non è che non mi piace, anche perché Luca lo fa ogni anno più bello, è che è quando Riccardo e io facciamo il Presepio che sento la vocina che mi dice «Viciè, è venuto un altro Natale.» Insomma io voglio bene al Presepio e lui vuole bene a me, e trova sempre un modo per dimostrarmelo, come quando nel 1989 a Canton, in Cina, mi ha fatto trovare in un mercatino rionale un Gesù Bambino biondo che era una favola, o come negli ultimissimi giorni di questo Luglio 2016 quando mentre con Cinzia giravamo tra gli stand di Gioiosa Gustosa mi ha fatto trovare Nino Carcione, che io appena ho visto le sue creazioni mi sono fermato incantato, perché sono belle, perché sono originali e perché lui senza neanche saperlo ha messo assieme il mio amore per i mattoncini – i suoi sono fatti di canna, quella che cresce spontanea sulle rive dei fiumi. – e quello per il Presepio. Come è andata a finire lo potete già immaginare: abbiamo cominciato a parlare, ci ha raccontato un po’ della sua storia, Cinzia ha fatto un po’ di foto e io ho pensato che ti avrebbe fatto piacere leggerla. Buona lettura.
«Sono nato a Galati Mamertino, un paesino di circa 3000 abitanti nel Parco dei Nebrodi, in provincia di Messina, a 30 chilometri da Sinagra, dove risiedo da 28 anni.
Ho frequentato la scuola fino alla terza media. Dalla terza elementare in poi la mattina ero a scuola e il pomeriggio al lavoro come apprendista barbiere.
Come puoi immaginare Vincenzo provengo da una famiglia umile ma dignitosa, mio padre faceva il bracciante, nei primi anni 60 emigrò in Germania, mia madre invece era casalinga, la buona massaia che ha tirato su quattro figli.
Da ragazzino il tempo scorreva piacevole e veloce. Ricordo con piacere le sere d’inverno in cui con mia madre si andava a casa dei nonni paterni e tutta la famiglia se ne stava seduta attorno alla conca (braciere) aspettando che il nonno si apprestasse a raccontarci “u cuntu”.
A 18 anni, mentre continuavo a lavorare dal barbiere, faccio il concorso per portalettere, dopo di che vengo chiamato per il servizio militare e durante la leva mio padre trasferisce tutta la famiglia in Germania. Finito il militare lavoro anche io per due anni in una fabbrica chimica tedesca. Ricordo come se fosse allora che mia madre, appena messo il piede in casa in Germania, mi disse: “Vedi, figlio mio, siamo dovuti venire in Germania per conoscere la lavabiancheria.” Non saprei dire bene perché, ma la cosa mi colpì profondamente.
Si lavorava duro ma si cominciava anche a conoscere un po’ di benessere.
Nel 1969 mi arriva la chiamata di assunzione alle Poste e vado per un anno a Milano, poi da lì vengo destinato a Barcellona P. G. dove rimango 14 anni e dove nascono i miei tre splendidi figli. Trasferito ad Ucria, un paesino di poco più di mille abitanti sempre nel parco dei Nebrodi, ci rimango fino alla pensione, nel 2001.
Il lavoro di postino mi ha affascinato sin dal primo momento, tanto è vero che non ho mai voluto fare nessun concorso interno per fare carriera e magari chiudermi in un ufficio.
Il rapporto che il postino crea con la comunità in cui vive è meraviglioso, si conosce tutto di tutti. In particolare nei piccoli paesini il postino è un po’ come un confessore: c’è la signora che deve portare avanti la famiglia e ti dice che se arriva un vaglia bisogna darglielo di nascosto dal marito, perché quello magari li spende al gioco e/o a bere e c’è il marito che vuole consegnata la bolletta del telefono di nascosto per celare qualche marachella. Ricordo che quando arrivavano i soldi avevo l’abitudine di chiamare da giù e dire “signora, scendi che ti porto un bacetto”. Vincenzo, mi devi credere, l’usanza si era a tal punto diffusa che quando le signore mi sentivano arrivare si affacciavano dal balcone: “Nino, mi hai portato un bacetto?”
Adesso che sono pensionato quando mi chiedono che lavoro facevo rispondo sempre “niente!”. Questo penso venga dalla mia passione politica, avendo, da ragazzo, militato nelle fila del P.C.I. e poi sempre a sinistra, almeno finché la sinistra c’è stata.
Sono stato consigliere comunale di opposizione a Galati, assessore ad Ucria e, ora sono capogruppo di maggioranza sempre in consiglio comunale a Sinagra, dove mi onoro di avere un Sindaco donna, cosa rara dalle nostre parti.
Ah scusate, ancora non vi ho detto perché rispondo “niente”: il fatto è che la mia cultura politica mi ha portato sempre a difendere i più deboli e quando penso a chi lavora nella fabbrica, in agricoltura o nell’edilizia mi dico che il mio lavoro rispetto al loro è stato un divertimento.
Arrivata la pensione non potevo starmene certo con le mani in mano, dovevo inventarmi qualcosa da fare per non atrofizzarmi, e qui mi ha aiutato il fatto che fin da bambino sono stato un grande appassionato di presepi. Ricordo che quando la mia nonna materna, nel periodo di Natale, mi dava 5 o 10 lire, invece di comprarmi le caramelle come tutti le raccoglievo e compravo le statuine e facevo un presepe con un po’ di muschio sopra una cassapanca. Si, direi che è stato così che da pensionato mi sono messo in testa di fare un presepe con un materiale a mia conoscenza mai usato da nessuno prima di me.
La lucina giusta mi si è accesa nella testa quando ho pensato che un pezzettino di canna da fiume, spaccata a metà, assume una forma di una tegolina, e così mi sono messo all’opera e ho cominciato a fare piccoli presepi. Man mano che acquistavo manualità, ho cominciato a fare quadri, cornici, portaoggetti e a riprodurre monumenti. In un certo senso il mio è un hobby più che un lavoro, perché mi coinvolge tanto e mi gratifica al massimo.
Ecco, caro Vincenzo, la mia piccola storia è questa, vivo la mia terza età in maniera serena e tranquilla, mi sento sempre impegnato e dedico il mio tempo alla mia meravigliosa famiglia, ai miei 7 splendidi nipotini, all’attività politica e alle miniature con le canne. Secondo me non è poco, o mi sbaglio?»
No, non ti sbagli caro Nino, e ti dico la verità sono particolarmente contento di aver raccontato la tua storia di quasi 70enne giusto dopo quella di Giosuè, 18enne di Patti, che se io in neanche due settimane nei Nebrodi ho incontrato così tante storie di lavoro ben fatto vuol dire che questa idea che ce n’è tanta di Italia così e che bisogna solo raccontarla non è per nulla campata in aria.
Sì, io dico che ce la faremo, e intanto aggiungo la voce Nebrodi alla mia collana di racconti delle comunità italiana a partire dal lavoro fatto con passione e destrezza che poi è solo un altro modo di dire che il lavoro ha senso solo se lo fai con la testa, con le mani e con il cuore, proprio come hai fatto e fai tu, con le lettere, le bollette e i vaglia, con la politica e con l’arte presepiale.