Jullien, le trasformazioni silenziose e la politica ben fatta

François Jullien, in uno dei suoi meravigliosi libri, Le trasformazioni silenziose (Raffaello Cortina, pagg. 25-26) scrive: «La modificazione biforca e la continuazione prosegue, una innova e l’altra eredita. […] Prendiamo esempio dalle stagioni, che hanno continuamente ispirato il pensiero cinese: la modificazione interviene dall’inverno alla primavera, o dall’estate all’autunno, quando il freddo si inverte e tende verso il caldo, o il caldo verso il freddo; quanto alla continuazione, invece, si manifesta dalla primavera all’estate, o dall’autunno all’inverno, quando il caldo diventa più caldo o il freddo più freddo.»
Ecco, immagino che adesso vi stiate chiedendo perché ho tirato fuori dal baule delle citazioni la frase di Jullien. Vorrei poter dire perché fa bene alle nostre vite domandarsi ogni tanto cosa c’è da biforcare (modificare, innovare) e cosa invece bisogna continuare (ereditare, consolidare). Farei una bella figura – penso faccia bene davvero – ma non sarei sincero; la verità è che ho una domanda alla quale vorrei provare a rispondere insieme a voi. La domanda è la seguente:
La politica che ci piace quali cose deve innovare (biforcare) e quali invece deve mantenere (continuare)?
Lo so, è una domanda generica, scivolosa, ambigua, per certi aspetti banale, ma è anche una domanda importante, credo non solo per persone come me. Persone che dopo aver trascorso due vite a dare più importanza alla politica che ai propri figli nella terza sono stanchi persino di votare perché non si riconoscono nei valori, nella visione, nei programmi, nelle capacità, nel disinteresse di chi si propone al governo della cosa pubblica. Persone che sono più interessate ad ascoltare quello che dicono gli altri che ad affermare quello che dicono loro. Persone che danno valore alle cose che cambiano ma anche a quelle che invece no. Persone che con umiltà e rigore misurano se stessi e gli altri non per quello che dicono ma per quello fanno.
Mi fermo qui, con l’impegno a dire presto la mia. Spero siate davvero in tante/i a trovare la voglia e il tempo di partecipare con le vostre idee e le vostre opinioni.  Prima fra tutti gli amici che continuano a chiedermi perché non faccio più politica. Gli amici che ogni volta che c’è una competizione elettorale cercano in vari modi di coinvolgermi. Gli amici che hanno deciso di spendere la loro faccia e la loro intelligenza in prima persona.
Una cosa però intendo dirla subito: penso che come per il lavoro ben fatto, anche per fare politica ben fatta bisogna partire dalle fondamenta, dalla cultura, dall’approccio, dalle idee, dalle motivazioni, oltre che dalle cose fatte e da fare. Si, continuo a pensare che in uno Stato democratico un cittadino ben fatto non possa dare la colpa soltanto alle proprie classi dirigenti, debba chiedersi anche perché determinati ceti predatori e dominanti per l’appunto dominano, perché i cittadini diventano sudditi, perché la società riesce a  essere civile solo a intermittenza, come le lucine sugli alberi di Natale.
Ecco, se ci penso tra le cose che mi piace conservare c’è la consapevolezza che a ogni diritto corrisponde un dovere, a ogni favore un sorpruso. Ecco, quando toccherà a me probabilmente scriverò che forse si potrebbe ricominciare da qui, dall’etica della responsabilità, dalla fatica della partecipazione, dal coraggio di fare le cose per bene. Si, quando toccherà a me forse lo farò, però adesso tocca a voi. Ricordatevi che basta anche una cosa semplice, tipo «per me questo va cambiato e questo va mantenuto per questi motivi». Vi ricordo l’indirizzo a cui scrivere: partecipa@lavorobenfatto.org
Resto in ascolto. Buona partecipazione.
jenul1

Tiziano Arrigoni
Caro Vincenzo, come dicono in Maremma “inviti la lepre a correre”. Che dire? Intanto che è impossibile astrarre totalmente, ognuno di noi è portatore di esperienze politiche, sociali, culturali regresse, soprattutto chi è nato nella cosiddetta Prima Repubblica. Il pericolo nostalgia, talvolta ingiustificata, è sempre dietro l’angolo e si rischia di riproporre esperienze collaudate. Allora cerchiamo di mettere insieme il tutto, teniamo insieme i cocci e andiamo avanti.
Intanto guardando dalla prospettiva Toscana più vicina si è notata un’accelerazione della politica in nome del cambiamento per il cambiamento , si, ma senza chiedersi dove va il cambiamento. Anche Mussolini nel 1922 aveva operato un cambiamento, ma che vuol dire? Ecco, secondo me quello che ci manca è la capacità di dare un senso di marcia al cambiamento. Quando sento “si, ma il take ha cambiato….”, verissimo, e questo è un piccolo atto di accusa contro chi c’era prima, ma come ha cambiato? Ecco, questo sembra non chiederselo più nessuno. Così come è sparita la narrazione (ah, il bello del lavoro narrato come ti dico sempre) ossia esiste una narrazione ufficiale della politica che spesso è schiacciata su quella del governo o altrimenti la rincorre, mentre invece occorre una narrazione autonoma, che vada sui problemi. Inoltre la scomparsa di quelli che Montesquieu chiamava corpi intermedi (vedi come vado indietro, altro che prima repubblica) che allora erano accademie, giornali, ecc., che davano forma alla società civile e che oggi dovrebbero essere i partiti, non certo i partiti -chiesa del novecento, intendo partiti che abbiano un minimo di radicamento e che siano capillari, che abbiano voglia di parlare ma soprattutto di ascoltare. Non basta l’assicurazione di venire dal basso, utilissima come corpo intermedio, ma che poi deve avere per forza una dimensione politica altrimenti si ritrova succube di ogni colpo di vento.

Osvaldo Cammarota
La politica che mi piace è quella che continua a organizzare gli interessi, i bisogni e le aspirazioni delle comunità. Non mi piace la politica che asserve l’umanità al dominio del potere, perché smarrisce il senso di sé stessa. Mi piace la politica che esercita la sua funzione, non la politica funzionale al potere. Se pensiamo che questa sia la politica ben fatta, dobbiamo convenire che siamo messi male. Il circo della politica e i suoi attori si contendono l’immagine della buona politica. Dai leghisti agli arancioni, dai forzisti ai 5stelle, dai centristi ai democratici fino a neonati cultori che, però, non riescono ad andare oltre il vagito. Nessuno appare pienamente credibile. Se valutiamo la politica attraverso chi la fa, ai tempi nostri possiamo distinguere i “manager” dai “maker”. I primi organizzano la raccolta di voti, talvolta con ogni mezzo; i secondi si preoccupano di elaborare politiche per i territori e le comunità. I primi li troviamo a capeggiare correnti, gruppi, movimenti, a beneficiare delle rendite che ne ricavano. I secondi sono sempre più dispersi e diffusi nella società e nelle professioni a fare debole testimonianza della politica ben fatta. I partiti preferiscono selezionare i “manager“ della politica, anche se sono poco formati a principi di etica, di responsabilità, di equità sociale, perché sono efficienti e obbedienti. Ma non è forse anche questo il motivo del crollo verticale della fiducia dei cittadini nella politica? Ecco una cosa che la politica dovrebbe biforcare: i criteri di selezione della classe dirigente.

Andrea Danielli
Caro Vincenzo, ci sarebbe moltissimo da scrivere e dire. Il tema che mi preme di più sottilineare in questi giorni è l’accessibilità alla politica.
Scrivi: «Si, direi che è come se stessimo perdendo un po’ tutti la capacità di leggere e di interpretare la società quella vera e ne facessimo esclusivamente una questione di qualità delle leadership, che è un aspetto molto importante della questione ma forse è anch’esso una conseguenza più che una causa.» Condivido, abbiamo perso la capacità di leggere e interpretare la società: non siamo in grado di capire la priorità dei temi e degli argomenti. Mi ha sorpreso il silenzio da parte dei miei coetanei sui dati che ho collezionato e provato a presentare a loro: sufficientemente chiari da fermarsi, e magari sbottare. Nulla di tutto questo. Un mio amico mi ha detto che siamo bombardati di informazioni e ormai non notiamo più nulla. In questo momento il tema caldo sono le trivelle, tema tecnicissimo, su cui purtroppo pochi hanno le capacità per esprimersi. E nessuno pensa ai salari bassi, ai rischi della disoccupazione tecnologica. Poi si passano le ore a parlare di Cruciani contro i vegani, delle inutili provocazioni di un’aspirante celebrità che non riflettono la profondità etica delle riflessioni di chi rinuncia a mangiare carne. L’attenzione dell’opinione pubblica è volatile. Gli attentati sanguinari entrano nei nostri post, nelle nostre foto, poi scompaiono, perché mai pensati sul serio. Se l’informazione è troppa e le capacità di filtrarla sono troppo poche, l’unica soluzione che vedo è che qualcuno si incarichi di filtrare, divulgare, convogliare. Non è nemmeno un lavoro di creare contenuti o dettare linee. E’ un lavoro di aiutare l’autocoscienza di una società acefala. Avrei detto un tempo che sarebbe spettato agli intellettuali: non ci piace come parola, forse un po’ razzista? Lasciamola da parte, ma chiediamo a persone hub, opinion leader, di aiutarci in questa sfida per la democrazia. Dovremmo chiederci perché non emergano spontaneamente. La mia risposta sarà arida, arrabbiata il punto giusto. Oggi la cultura è appannaggio dei ricchi: non farai carriera accademica se papino non ti mantiene gli anni di dottorato (metà dei posti di dottorato sono senza borsa in molte facoltà), non ti aiuta di fronte a stipendi da fame. Se provi a lavorare non sei competitivo con chi non lavora, e pubblica il doppio di te, fossero anche solo onesti copia-incolla. Conoscete qualcuno che campa come artista senza aver sposato un* gallerista? Conosco un ex trader diventato artista molto quotato. Ebbene, il mondo dei ricchi non è il nostro mondo. Altra sensibilità, altri problemi. Un senso di colpa permanente che non aiuta il dialogo, il buonismo che acceca la meritocrazia (a che serve il merito quando sei già nella posizione dominante?).
Stessi problemi nella politica. Chi può permettersi di farla full time? Perché è oggi un lavoro full time, è conquista di voti, casa per casa. Quanti politici la stanno facendo costruendo grandi narrazioni di un futuro condiviso? Io vedo tante parole anonime e molto lavoro di relazioni, a ogni livello. Nel mondo post-ideologico vince chi parla bene e comunica meglio – pensare è un optional. Senza una guida politica non si riesce ad aggregare le persone. I partiti, pur coi loro limiti, davano modo di far conoscere chiunque. Oggi sono irrilevanti e la carriera politica si costruisce sulla visibilità: ci sono politici che invadono ogni trasmissione televisiva e ogni periodico possibile. E diventano meme. Chi si è battuto per togliere i finanziamenti pubblici ai partiti ha fatto l’ultimo passaggio che serviva per consegnare la politica a ex imprenditori – che hanno mostrato di saper presidiare bene gli spazi promozionali. Non vedo soluzioni che non siano peggiori del problema, vista la scarsa qualità di eletti casuali nelle file del Movimento 5 Stelle, scusate l’amarezza.

Vincenzo Moretti
Secondo me nella discussione che abbiamo fatto sin qui – a partire dal mio post di apertura – manca qualcosa di importante. Non ho chiaro che cosa sia ma questo articolo di Joseph Stiglitz segnalato da Andrea Danielli mi ha dato la spinta per scrivere queste righe.Detto che se volete saperne di più su Andrea conviene che leggete qui mentre se cliccate qui potete leggere la discussione che stiamo cercando di sviluppare a partire da alcune sue idee, provo a fare un’improbabile sintesi di una parte delle argomentazioni di Stiglitz: i giovani negli USA votano in maniera difforme dai loro genitori perché sono arrabbiati e sono arrabbiati perché hanno un  differente rapporto con il lavoro, questioni diciamo così di pensione, di sicurezza, di autonomia, di equilibrio tra le generazioni. Cosa fa Stiglitz? Parte da un fatto, che sostanzia con dei dati, e dà un’interpretazione del cambiamento politico a partire dal rapporto che le persone di generazioni diverse hanno con il lavoro (non a caso Andrea accompagna la segnalazione dell’articolo con un affettuoso «anche Joseph Stiglitz si è accorto dell’impoverimento di cui soffrono i giovani. Serve più ‪#‎lavorobenfatto‬.». a costo di forzare un po’ la mano, dico che nella nostra discussione su quello che vogliamo cambiare e cosa vogliamo mantenere della politica manca – a partire da me – lo sforzo di  collegare, direi persino subordinare, il cambiamento politico al cambiamento sociale, a ciò che è cambiato e sta cambiando nella società. Si, direi che è come se stessimo perdendo un po’ tutti la capacità di leggere e di interpretare la società quella vera e ne facessimo esclusivamente una questione di qualità delle leadership, che è un aspetto molto importante della questione ma forse è anch’esso una conseguenza più che una causa. Insomma mi piacerebbe molto che chi è già intervenuto e chi ancora interverrà facesse uno sforzo per raccontare il pezzo di società di cui fa parte, o che rappresenta, o che intende rappresentare, e che cosa questo pezzo di società ha innovato e cosa ha conservato in questi anni.

Francesco Escalona
Fare Politica, buona Politica oggi, in tempi in cui quasi tutto è cambiato in pochi anni e cambia continuamente, torna ad essere la prima delle attività umane come sosteneva Pitagora. Ascoltare, guardare, sentire, cogliere il senso dei tempi. Sintetizzare, aggregare, disvelare, fare gruppo, contribuire, utilizzando mezzi antichi e moderni, a fare coagulare massa critica per cambiare, laddove c’e’ da cambiare, e farlo per il meglio e per il Bene comune. E mettere a disposizione della collettività la propria fatica quotidiana, i propri dubbi, l’umiltà del fare ma anche l’ambizione del sogno collettivo, portando a garanzia la propria reputazione.

Nunzia Moretti
“Teoria  e pratica che hanno per oggetto l’organizzazione e il governo dello stato; insieme dei fini cui tende uno Stato e dei mezzi impiegati per raggiungerlo”: questa è la definizione di politica del dizionario Garzanti. Non è che ci vuole molto per capire, è semplice e preciso. Se per Stato intendiamo tutti i singoli individui che ne fanno parte, cioè noi, si capisce che la politica dovrebbe organizzarsi in modo da raggiungere il benessere collettivo e non di una categoria o di un singolo individuo. Negli ultimi tempi i mezzi anziché essere rafforzati sono stati indeboliti, vedi la riforma della scuola, i tagli alla sanità, l’informazione sempre molto approssimativa dei mezzi di comunicazione. Non è semplice salvare qualcosa di questa politica, troppa uniformità di pensiero e di azioni, ogni partito sembra uguale all’altro e non in positivo. Non si ha più idea del senso civico, del rispetto delle idee altrui soprattutto se diverse dalle nostre. La politica nel corso degli anni anziché tutelare ha distrutto ciò che era stato costruito, come nel mondo del lavoro, dove diritti acquisiti sono stati cancellati e dove i giovani con i nuovi contratti non vengono assolutamente tutelati. Tutto questo nel corso degli anni ha creato una sorta di opportunismo da parte dei cittadini che hanno cominciato a guardare solo ai propri interessi senza preoccuparsi di quello che accadeva intorno. Di questa politica c’è poco da salvare secondo me, perciò bisogna ridare dare senso e contenuti alla politica, perché se li sta perdendo per strada, e senza una buona politica non ci può essere una buona democrazia.

Tina Magenta
Credo che le persone debbano cominciare a “biforcare” dal basso. A partire dal modificare la classe politica che dirige, per esempio, all’interno delle piccole-medie comunità locali, che nel nostro paese sono molte. Eppure anche qui c’è questa forma di appiattimento delle persone, nel prendere ciò che viene offerto tacitamente, per la paura di irritare, o di perdere privilegi, che spesso non sono altro che ciò che è dovuto. Dobbiamo prenderci, come cittadini, la responsabilità di dire apertamente, non quello che va bene solo per me, ma quello che va bene per la comunità, senza bandiere da sventolare, se non un’unica bandiera, quella del bene comune! Dobbiamo pretendere che dall’alto si adattino a “noi” e non viceversa. E poi continuare nel rispetto delle regole, che comprendono tutti: persone e cose per poter credere in un futuro migliore con e dopo di noi.