Napoli, 24 Gennaio 2018
Caro Diario, stasera Stefano ha presentato Tutto all’improvviso è immobile, il libro che raccoglie le sue poesie, compresa quella che ti ho fatto leggere poco più di due anni fa, la trovi a pagina 88.
Ora tu lo sai, io con le poesie non ci prendo tanto, sono più uomo di saggi e di racconti, però ti assicuro che è stato bellissimo. Certo, un poco ha influito Piazza Dante, che a quelli come me ricorda tante cose, e un poco anche il posto, Il Tempo del vino e delle rose, ma le due cose che mi hanno fatto stare veramente bene sono state la bellezza delle poesie di Stefano e la bravura della poestessa e scrittrice Emilia Santoro, che lo ha presentato.
Niente, ci tenevo a dirtelo, perché sai quando ti avevo proposto la sua poesia tu magari hai pensato che lo avevo fatto per amicizia, o perché quella poesia raccontava il ritorno al lavoro del padre, e invece no, perché anche se non ci prendo tanto, anche se non saprei mai scrivere come fa Raffaele Manica nella quarta di copertina «Quel che colpisce nelle poesie di Stefano Iucci – la prima e autentica impressione che danno – è la loro probità.», avevo colto la sensibilità, la commozione, la bellezza che c’è nei versi del mio amico, e insomma sono contento di non essermi sbagliato.
Appena riesci leggile tutte le sue poesie, così poi mi fai sapere cosa ne pensi.
Napoli, 1 Dicembre 2015
Caro Diario, Stefano Iucci è un uomo assai colto e gentile che di mestiere fa il giornalista. Ha scritto questa poesia dedicata al padre con due righe di presentazione: «Le mie sortite piene di speranze verso la stazione per riceverlo – inaspettato – al treno da pendolare sono uno dei pochi ricordi che conservo.»
Non so dire bene perché – forse il treno, di certo il lavoro, la malattia, la morte, parole che alla mia età raccontano tante cose – ma è stata come un pugno al cuore e così ho deciso di condividerla con voi.
da Tutto all’improvviso è immobile, pag. 88
di Stefano Iucci
Andavi o non andavi al lavoro?
Ti faccio una sorpresa?
Sfibrata, dimenticata, lanciata lì dalla mattina:
arrivava alla sera quando il treno, stazione Tuscolana,
binario 8, arrivava. Arrivavi se eri andato la mattina al lavoro,
se eri partito da pendolare. Tutte la mattine alle 8 meno dieci,
in punto, se andavi. Più spesso negli ultimi anni dormivi,
non ti alzavi. Non andavi.
Presagivi il sonno cancerogeno e non andavi.
Se chiamano dicevi, padre, dite che sto male.
Chiunque risponde dica che sto male.
Da non alzarmi. Da dormire tutto il giorno.
Anche con lo stereo a volume alto
dalla parete di là, dal salone.
La voce buia puzzava di sonno quando davi indicazione:
non vado, digli che stavolta – stavolta? Un milione di volte… –
Sto a casa, ho bisogno di riposare, non mi sento bene
(ma io sapevo padre che le responsabilità
Ti schiacciavano, che non ce la facevi
Neanche a rifiutare e sprofondavi
sempre più giù nel tuo oscuro
Personale orrendo e profondo mare).
Però se ricordo la strada in discesa
Giù per via Gela vuol dire
Che stavolta sei andato
E io sono venuto da te,
Sei sceso dal treno, ti ho visto:
E per una volta sembravi sereno.