Caro Diario, oggi ti racconto di Giovanni Di Vito, nelle cui vene ho scoperto che scorre zolfo, design e jazz.
Lo zolfo è quello delle miniere di Tufo, la patria del Greco, in provincia di Avellino, dove lavorava nonno Giovanni, che nelle famiglie del Sud era difficile sfuggire alla regola, il nipote si chiama come il nonno fino a quando non arriva uno sciagurato come me e rompe la tradizione, ma questo riguarda la famiglia mia non quella di Giovanni.
Il design è il futuro inesorabile come il passato, l’aria che respiri in casa fin da bambino visto che Cloto, Lachesi e Atropo, le tre Moire, ti hanno fatto nascere da un padre designer e una madre architetto, la prima architetto donna della Basilicata.
Il jazz è quello dello zio Enzo che quando Giovanni ha undici anni gli fa ascoltare «The cutting edge» di Sonny Rollins e «Monk/Trane» di Thelonious Monk e John Coltrane.
Voi che avreste fatto? Giovanni da quel momento in poi comincia ad ascoltare Cannonball Adderley, Ben Webster, Charlier Parker, Dexter Gordon e tanti altri musicisti jazz e a 13 anni costringe, si fa per dire, sua madre a portarlo a un concerto di Ornette Coleman. Accadde a Venezia, al Teatro Goldoni, lui non lo sapeva ma le Moire si che un po’ di anni dopo avrebbe abitato proprio li, di fronte al teatro. Qualche anno ancora e avrebbe cominciato a suonare il sax. Non ho più smesso, se glielo chiedi ti racconta che la musica è parte di sé, che se non suona gli manca qualcosa.
Come dici amico Diario? In quale gruppo suona? Allora non mi sono spiegato, ho detto che è il design il suo destino, ma questo è meglio se te lo faccio raccontare da lui.
«Caro Vincenzo, anche se a me non piace come definizione, la verità è che sono figlio d’arte. Quando ero bambino i miei avevano casa e studio e quindi io ho già in tenera età respirato l’aria del “progettista”. Pensa che a soli 6 anni ero in grado di mettere i retini (pellicole adesive colorate) sui lucidi da disegni; per me era un modo per capire cosa facessero i miei genitori nelle loro lunghe giornate trascorse in studio e così che tra un progetto e l’altro alla fine anch’io sono diventato un architetto/designer.
Sia chiaro che I miei non mi hanno mai detto: fai l’architetto! L’unica cosa che hanno fatto per farmi appassionare a questo mondo è stata farmi giocare con i giochi di Bruno Munari e farmi viaggiare molto per scoprire le città d’arte.
A 18 anni decisi di andare a Milano per frequentare la facoltà di architettura del Politecnico. Lì ho trascorso anni indimenticabili di passione per lo studio del disegno industriale e del restauro; appena terminato gli studi tornai a Potenza per iniziare la mia avventura lavorativa.
A me piace dire che faccio i mestiere più bello del mondo, ma non per gli studi che ne hanno confermato la veridicità, ma perché se non lo fai bene e con passione questo mestiere non lo puoi fare: troppi sacrifici e difficoltà da affrontare sopratutto negli ultimi anni.
Non ti nascondo che molti miei colleghi mi hanno affettuosamente invidiato per la fortuna che ho avuto nel fare lo stesso lavoro dei miei genitori, ignorando il fatto che sin dal primo giorno non ho mai potuto sbagliare un colpo.
Perché è vero, un po’ ho avuto la strada spianata, però è vero anche che il mio futuro me lo sono dovuto sudare giorno dopo giorno, lavoro dopo lavoro, senza avere sconti da nessuno, compreso mio padre, che solo dopo dieci anni di lavoro mi ha detto “si ora hai proprio imparato bene come lavorare”, hai carta bianca, cammina con le tue gambe.
Sì, non lo nascondo, sono felice del mio lavoro e del mio approccio alle cose della vita, sono felice di questa mia voglia di muovermi, di sperimentare e vedere cosa accade, perché se non ti muovi, se non fai nulla, nulla succede! E’ stato così anche qualche anno fa, quando mi sono trasferito da Potenza a Venezia per via del lavoro di mia moglie, e però sono stato io a convincerla, a spingerla ad affrontare questa nuova avventura.»
Ecco caro Diario, questo è un po’ ma davvero solo un po’ di Giovanni, che se vuoi vedere le cose che fa basta che vai sul sito di Vitruvio Design.
Come dici? Mi piace tutto quello che fa e che dice Giovanni? Quasi tutto. Ad esempio quando mi ha parlato di Venezia mi ha detto «Vincenzo, oggi vivo nella città più bella del mondo.»
Vuoi sapere che cosa gli ho risposto? «Giovanni, si vede che non sei mai stato a Napoli.»
5 Settembre 2017
Caro Diario, ci ho messo un po’ ma alla fine ci sono riuscito a farmi raccontare un po’ di altre cose da Giovanni. Si, lui è fatto così, comunica con le cose che fa, non ama molto mettersi in mostra, anche se dopo che ho raccontato la sua storia non solo siamo diventati amici, ma spesso mi ha dato una mano, ad esempio al tempo del lavoro su lavoro ben fatto, tecnologia e consapevolezza con la prima della scuola elementare di Soccavo, quando mi ha mandato un video con un gioco di Munari che è stato molto amato dalle bimbe e dai bimbi e dalla loro magnifica insegnante, Rosaria Peluso, te lo metto anche qui così quando hai 52 secondi – sì, è questa la sua durata – lo guardi.
Un’altra volta che avevo visto che aveva fatto un disegno per il suo profilo social che mi era piaciuto così tanto che gli ho scritto che mi dispiaceva non essere bravo come lui lo ha fatto anche a me con una bellissima maglietta rossa e la scritta #lavorobenfatto da un lato, e quando gli ho chiesto di firmarmene una copia mi ha risposto «Vincenzo, non mi piace firmare le mie cose, mi piace di più contare sull’intelligenza collettiva, non firmo neanche i miei prodotti, e poi la firma più importante l’ho messa…#lavorobenfatto, spero solo che ti piaccia.»
Detto che il suo disegno mi è piaciuto così tanto che l’ho adottato subito come immagine del profilo e sta ancora là, aggiungo che stamattina gli ho chiesto se aveva delle cose nuove da raccontarmi, e allora lui mi ha detto delle novità che riguardavano Il Milione, che adesso ha un proprio sito dedicato, e insomma io ci sono andato e ho trovato questo racconto qui:
«Ci sono molti modi di presentare il design in generale ed in particolare i complementi d’arredo di design.
La nostra maniera – quella che abbiamo scelto come rappresentativa del nostro modo di fare – passa attraverso l’idea che ciascuno degli oggetti viva per molto tempo e ragionevolmente in diversi luoghi. Questo perchè la progettazione attenta, la cura nella prototipazione virtuosa e condivisa e, per ultime solo in termini temporali, le manipolazioni premurose e professionali su materiali di pregio, conferiscono loro, naturalmente, distintive caratteristiche di durevolezza. Perciò abbiamo pensato alla vita dei nostri oggetti, guardandola dalla prospettiva degli oggetti stessi. E ci è venuto in mente che sarebbe molto bello che, letteralmente, essi potessero raccontare le persone che incontrano e i luoghi in cui si trovano.
Per questo progetto, abbiamo quindi concepito e realizzato una serie limitata di segnalibri (ispirati al nostro Venezia) realizzati in un materiale modernissimo, duraturo e versatile che ci consentisse di integrarvi alcune semplici funzioni tecnologiche rendendoli, di fatto, meta-oggetti.
Ciascun segnalibro è dotato di un QR-code che lo identifica in maniera univoca e di una espressione auto esplicativa che dà l’avvio al dialogo con il trovatore.
Il dialogo continua sul web grazie al QR code, iniziando ad intessere la vera trama del racconto.
L’interazione avviene mediante la pagina del sito web con un racconto in prima persona del segnalibro, il quale induce e chiede al trovatore di raccontare una sua storia a sua volta (e di fornire contestualmente la sua posizione geografica). A chi viene in contatto con il segnalibro, chiediamo di adoperarlo liberamente per un certo periodo e poi di donarlo ad una persona che ritenga possa avere con esso, lo stesso piacere ad interagire che lui stesso, da primo, ha avuto.»
Ecco amico mio, prima di lasciati ti devo dare un’altra bella notizia, quella che riguarda la collaborazione di Vitruvio Design con la cioccolateria Autore di San Marco dei Cavoti, in provincia di Benevento, per la quale Giovanni ha disegnato e prodotto la spatola per spalmare le creme di cioccolato che puoi vedere nella foto. Ecco, per adesso è davvero tutto, alla prossima.