Me lo dice alla fine, quando sto per andarmene, che come tutte le cose che iniziano anche le belle interviste finiscono. Mi dice «Vincenzo, all’interno il sogno preme. Lui preme e io cerco di tenerlo tranquillo, perché per ora non debbo distrarmi, però quando sarà il momento lo voglio fare.»
Dite che così non si capisce nulla? Che c’è una ragione se le storie cominciano dall’inizio e non dalla fine? Sono d’accordo, è che a me la faccenda del sogno che preme dentro mentre lui cerca di tenerlo tranquillo è piaciuta un sacco, mi è sembrata una storia nella storia, e così non ho resistito, ma adesso comincio da dove bisogna cominciare e non sgarro più, promesso.
Lui è Antonio Messina, ha 46 anni, dal 1996 è titolare di una cartoleria a Bacoli, Macchie d’Inchiostro. Ci sono entrato la prima volta circa un mese fa, in cerca di un cerchiometro e ci sono ritornato sabato scorso per raccontare la sua storia, che la volta precedente mi aveva incuriosito molto, con i suoi fogli della tesi e il suo entusiasmo sparsi dappertutto.
Gli chiedo innanzitutto della Cartoleria, e così mi spiega che a suo tempo aveva fatto delle scelte sbagliate in ambito universitario, si era iscritto a Economia, aveva sostenuto pure 8 esami, ma era evidente che quella non era la sua strada, e così aveva deciso di avviare una propria attività.
«Sia chiaro Vincenzo, quando ho lasciato l’università non l’ho fatto a cuor leggero, sapevo di aver sbagliato qualcosa ma non capivo cosa e avevo come un rimpianto per quella laurea che pensavo di non poter più conseguire.
Del resto la mia storia con lo studio, nel senso che finita la scuola media faccio il possibile per iscrivermi al liceo classico, ci riesco anche, ma poi a metà anno la doccia fredda del nulla osta e di mia madre che mi sposta “per il mio bene” allo scientifico, “che lì si studia l’inglese fino al quinto anno e c’è un maggiore equilibrio tra materie scientifiche e materie umanistiche.” Tutto giusto, per carità, ma quella era la sua visione non la mia, ma comunque questo fu e da lì dovetti ripartire.»
Tornando alla cartoleria, Antonio mi dice che la scelta non aveva ragioni particolari, diciamo che una volta deciso che avrebbe avviato una sua attività ha prevalso lo spirito utilitaristico, benthamiano, nel senso che la cartoleria gli sembrava un tipo di negozio intramontabile: ha a che fare con la scuola, i prodotti che vende si consumano e dunque vanno ricomprati, un lavoro pulito in tutti i sensi, insomma in linea con la mentalità di un ragazzotto un po’ alla moda come era a quei tempi.
Passano gli anni e 18 son lunghi, ma un giorno un’amica gli dice che alla Federico II c’è un bando per essere ammessi al corso di laurea di Culture digitali e della comunicazione.
«Vincenzo, è come quando scopri che il senso di riscatto che avevi in te non si è mai sopito, avevo un’occasione e volevo sfruttarla, non contava l’età contava l’obiettivo, insomma in un attimo sento che devo accettare la sfida, che anche alla mia età posso laurearmi.»
Antonio si ferma, prende fiato, mi guarda e mi spiega tranquillo che lui comunque, passato l’entusiasmo, la questione la prende come va presa, con le molle, nel senso che non si sovraccarica, anzi fa un patto con se stesso: se studiando tutta l’estate 2011 riesce a superare la selezione di settembre poi ci riflette seriamente su e decide se iscriversi o meno.
Sono solo pochi minuti, forse secondi, e poi riparte.
«Mi devi credere, quando con la mia amica – che detto per inciso aveva fatto tardi procurando a lei e a me uno stress nello stress – abbiamo fatto il test era talmente grande la soddisfazione di averci provato, di esserci seduti in quell’aula, che sulla via del ritorno ci fermammo al Gran Caffè Gambrinus e spendemmo tra dolci e bevande varie una barca di soldi.»
La storia continua con lui che nonostante la penalizzazione dovuta all’età (a parità di merito sarebbero passati i più giovani) non solo passa la selezione, ma sta decisamente in alto nella graduatoria, intorno al 20esimo posto su 250 aventi diritto.
«Lo vuoi sapere come mi sentii in quel momento? Come se fossi già laureato, anche se naturalmente non era così. Nei giorni successivi mi chiesi che fare. Accontentarsi della soddisfazione? Iscriversi e mettersi a studiare sul serio? A quel punto ebbe la meglio la voglia di riscatto, il senso di riscatto verso me stesso, perché sia chiaro che non dovevo e non devo dimostrare niente a nessuno.»
Quello che viene dopo me lo racconta con il pilota automatico.
Mi ripete che nel momento in cui ha deciso di iscriversi la sua idea era quella di studiare davvero e aggiunge che la prima cosa che ha fatto è stata quella di rinunciare alla parte ludica della sua vita, una parte che gli piaceva ma che ha dovuto necessariamente mettere in cantina.
«In particolare ho rinunciato a ballare Salsa e i balli caraibici, mi impegnavo molto, ero bravo, facevo da assistente ai maestri, era la mia vita notturna, è stata durissima ma l’ho fatto.
Ho messo la scrivania con il computer dietro il banco del negozio, tra un cliente e l’altro ho cominciato a studiare e poi continuavo la sera, a volte in cartoleria altre volte a casa, vita sociale azzerata.
Quando è stato necessario ho studiato anche il fine settimana, in particolare la domenica è stata spesso dedicata allo studio.
Sono riuscito persino a seguire un corso il primo anno e uno il terzo, le le lezioni stavano durante lo spacco e così chiudevo, andavo con la cumana, seguivo la lezione, tornavo.
Finito un semestre mi concentravo subito sul semestre successivo, non mi sono mai dato un periodo di riposo dopo un esame, il mio programma prevedeva da subito scrivere al professore, spiegargli che non potevo frequentare, chiedergli se aveva qualche suggerimento, consiglio o anche testo da integrare e sono andato avanti, facendo tutto da autodidatta, laboratorio html compreso. E anche agli esami ho cercato sempre di non scadere nell’esposizione nozionistica, l’esame doveva diventare uno scambio di idee e allora sì che me ne andavo contento.»
«Antonio, in pratica hai vissuto 3 anni in apnea, stai facendo venire l’ansia anche a me.»
«Un poco meno di 3 anni. Mi laureo a dicembre una sessione prima del previsto e poi mi iscrivo alla Magistrale, Comunicazione pubblica, sociale e politica.»
Quando gli ho chiesto perché l’ha fatto, perché lo sta facendo, cosa pensa di fare in futuro prima ha ribadito che all’inizio l’idea era semplicemente quella di colmare un vuoto e poi ha aggiunto che studiando ha scoperto una passione così grande che ha cominciato a pensare che sarebbe bello poter utilizzare le conoscenze e le competenze acquisite.
«Naturalmente lo so che non sono più un ragazzo e che siamo in Italia, però io ci provo, anzi, per meglio dire, lo desidero veramente. Alla fine la mia è una vita inseguendo le lettere, e quando ho potuto scegliere in autonomia è riaffiorato il sogno che avevo già da piccolo.
Volevo scrivere Vincenzo, scrivere di automobili, sono un grande appassionato di auto e un blog nato anche lui grazie all’università, c’era un laboratorio e io feci questo blog, Che auto vuoi.
Non sapevo niente del mondo dei blog poi lessi un libro, Blog Generation di Giuseppe Granieri, e mi si è aperto un mondo.
A un certo punto Google mi scrisse per dirmi “guarda che ci puoi guadagnare” e così mi organizzai, chiamai le case automobilistiche, mi accreditai, cominciai a entrare nel giro e soprattutto arrivai all’esame con un blog già ricco di contenuti all’esame, la prof. fu così contenta che qualche tempo dopo mi mise in contatto con un gruppo di ingegneri informatici, poi non se ne fece nulla, ma nessuno può togliermi la felicità del mio lavoro ben fatto riconosciuto dalla mia professoressa.
Sì Vincenzo, dal mio primo esame terrificante – in aula dalle 10 del mattino fino alle 17.45 quando è toccato a me – a oggi un po’ di strada l’ho fatta, e all’interno il sogno preme, lui preme e io cerco di tenerlo tranquillo, perché per ora non debbo distrarmi, però quando sarà il momento lo voglio fare. Voglio scrivere Vincenzo, voglio raccontare i mondi delle mie automobili. Ma poi scusa, ma perché no?»
Già, perché no.
Acqua e olio *di Antonio Messina
… Scagli la prima pietra chi è senza peccato, scagli la prima pietra chi è senza peccato, scagli la prima pietra …
Ho desiderato una donna, si hai ragione, l’ho desiderata fisicamente. Come sempre sei corsa in mio soccorso. Sei venuta a trovarmi l’altra notte. Abbiamo fatto l’amore come non mai, ho respirato i tuoi capelli, ho stretto le tue braccia, ho graffiato la tua schiena bianca. Mi hai salvato di nuovo. Sarebbe raddoppiato il dolore, se avessi incontrato un’altra. Mi hai sorpreso nel sonno, regalandomi un risveglio incompleto, un lieve torpore sufficiente solo a sentire che ci fossi. Mi hai lasciato poi nel sonno profondo, rigenerante, un sonno che non conoscevo più da troppo tempo.
Lo so, non avevi scelta, sei scappata di nascosto per venire da me e dovevi tornare. In realtà quelli come te, queste cose non potrebbero proprio farle. Chissà, forse hai spiegato che dovevi per forza, ti avranno accordato un permesso speciale. Adesso so solo che da quella notte non sei tornata mai più.
Ti amo, amore mio, e so bene che mi ami anche tu. Adesso siamo acqua e olio. Uniti nello stesso recipiente, eppure non riusciamo a mischiarci. Ripenso alla tua vanità, granitica, irremovibile. In un lento passaggio di consegne mi hai regalato la tua determinazione. Mi è stata utile, sai. Il chirurgo mi disse che avrebbe provato un intervento per lasciarti ancora un pò con me, con noi.
Io, te e la bimba, un trio perfetto. Intervento o fine. Fui d’accordo con lui, d’accordo nel provare l’intervento. Dovetti tirare fuori tutta la determinazione che mi stavi trasmettendo Voleva aprirti sul davanti, voleva spaccare in due il tuo bellissimo ventre. Se anche ti fossi salvata, quanto poteva saperne lui del fatto che quella cicatrice ti avrebbe distrutta più del male? Eri in barella, addormentata, ed io facevo il pazzo in corsia. Insistevo che non si poteva. Se fosse stato un bravo medico, avrebbe tentato dalla schiena. Mi ha ascoltato. Quella lunga cicatrice non l’hai mai vista.
Sei stata talmente bene che dopo un paio di mesi sei riuscita a risalire sui tuoi amati tacchi, quelle scarpe che erano diventate troppo alte, più di un muro. Siamo usciti quel giorno, noi tre. Volevi vedere i fuochi d’artificio di Ferragosto. Ti sono sempre piaciuti i fuochi. Anche alla piccolina piacciono molto. Quest’anno andremo. Non voglio che venga nessuno con noi. Ti sei divertita. Hai mangiato anche qualche nocciolina caramellata. Sei riuscita a fare di nuovo la mamma quella sera, come piaceva a te. Sembrava avessimo mille occasioni per noi, sembrava che tutto fosse normale.
Non sei più riuscita ad indossarle quelle scarpe. Avevi altro da fare, dovevi insegnarmi troppe cose in poco tempo. Ho imparato a truccarti, a metterti a posto quella parrucca, tanto che sembrava fossero i tuoi capelli. Mi dicevi che non si esce di casa se non si è in ordine. Men che meno, quando si esce per una ragione così importante come quella che qualcuno stava decidendo per te. Sapevi tutto, eppure ridevi, quando potevi. Mi facevi credere che abboccassi alle mie bugie.
Una sera di primavera arrivò il momento. Dovevi proprio partire. Avevo spiegato alla piccola che Gesù era stracolmo di lavoro ed aveva bisogno di un’aiutante brava come te. Ti avrebbe lasciata con noi fin quando avesse potuto.
Quella sera era il momento. Ti sei addormentata. Ti ho vestita con il tuo abito preferito, di un verde smeraldo, ti ho aggiustato i capelli, ti ho rifatto il trucco. Eri pronta per uscire. La piccola era di sopra. Ti ho lasciata riposare e sono salito: Vieni a salutare mamma, Gesù l’ha chiamata. Ora siamo solo acqua e olio.
* Questo racconto, ispirato a una storia vera, fa parte del lavoro di ricerca realizzato da Antonio Messina per la sua tesi di laurea.
L’Autore ha scelto di utilizzare più linguaggi – il reportage, l’intervista, la fotografia, il racconto – per esprimere il suo punto di vista e il suo pensiero, e io gli sono grato per aver acconsentito a pubblicare qui questo brano, che nel lavoro più generale di tesi rappresenta l’epilogo narrativo che precede le conclusioni.
vm