Caro Diario, con Stefano Nicoletti ci siamo incrociati grazie a Mattia Altobelli e alla sua Radiostile, web radio indipendente e partecipativa, conosciuto nel senso che conosco la sua voce, un po’ delle sue idee, pubbliche e private, e un po’ delle sue storie. Storie, sì, perché lui è uno di quelli che persino nella sua vita da bancario con la sua bella laurea in economia conseguita all’Università di Pisa riesce a metterci le storie, lo vedi quando gli chiedi di spiegarti che lavoro fa e ti risponde «faccio da consulente per le imprese clienti della banca per la quale lavoro, una parte importante è ascoltare le loro storie perché dicono tanto sulla passione con cui viene amministrata un’azienda e, di conseguenza, sulle sue prospettive future».
È da tempo che sto pensando di raccontarlo, perché diciamo la verità, quanti sono i bancari – economisti – consulenti – storyteller, autori che popolano le nostre vite? Per quanto mi riguarda è lui l’unico esempio. Eppure mi sono deciso veramente soltanto quando mi ha detto che «in fondo per raccontare storie non serve molto, che si tratti di cronaca o di finzione, di gossip o di narrativa; in fondo siamo circondati da racconti, per raccontare bene serve già di più: una sensibilità verso lo spettatore, soprattutto». Perché si, in questo modo si è fatto tradire dal pensiero, diciamo che mi ha quasi provocato associando il racconto ben fatto alle immagini più che alla scrittura. Giuro, anche se quando poi glielo ho chiesto mi ha detto di no, a me il dubbio è rimasto. Ciò detto rimane il fatto che sono uno sportivo, mi piacere giocare rispettando le regoledi e perciò prima di continuare con il suo racconto mi piacerebbe che guardaste il suo «corto», editato in anteprima a gennaio 2015 in cinque «sale online» (#lavorobenfatto, Klub99 Cinema, Cinema Sperimentale, La Bottega del Giallo e 50e50Thriller ).
Bello eh? Però è bello anche il racconto, lo dico a cuor sereno, è il suo racconto non il mio, perciò amico Diario leggilo e poi mi fai sapere cosa ne pensi.
«Confesso che a volte non riesco a capire perché le storie abbiano questo potere d’attrazione, ma se è per questo spesso non capisco nemmeno con lucidità cosa spinga me a far nascere, anche da piccoli spunti, talvolta persino banali, delle storie. E’ così, mi piace e non sono proprio il tipo che si psicanalizza, quindi lo accetto e coltivo questa passione come un orticello dietro casa da frequentare quando la giornata è finita e con essa gli impegni quotidiani: un lavoro serio in banca, una famiglia che cresce e le mille incombenze giornaliere. Dicevo che per raccontare non serve molto e che per raccontare bene serve già di più: una sensibilità verso lo spettatore, soprattutto. Ecco, per raccontare bene con il cinema, che è sì la settima arte, ma soprattutto come diceva il regista Mario Bava una malattia incurabile, serve molto, anzi, un po’ di tutto».
«Perché si, Vincenzo, il cinema è complesso, implica il mettere in opera contemporaneamente un sacco di conoscenze e abilità molto diverse tra loro, fingendo pure di averne il totale controllo. Per fortuna oggi la tecnologia digitale ha semplificato alcuni passaggi e reso possibile il cinema in senso lato anche a volenterosi appassionati come me, stanchi di assistere alle storie degli altri e ansiosi di mettere in scene le loro storie nel modo migliore possibile con i mezzi che si hanno a disposizione».
«E’ stato così che nella scorsa primavera è nato “Massima serietà”, un cortometraggio di genere thriller/giallo che riflette su questo periodo di grande trasformazione comunemente chiamata crisi e che ha visto all’opera con entusiasmo, oltre a me, Maicol Borghetti alle riprese e alla fotografia, Maurizio Bottazzi al suono, Barbara Masi e Alessio Diprima nell’interpretazione dei due personaggi.»
«Finito il divertimento delle riprese, della composizione della musica (un remix originale di loop gratuiti) e del montaggio, è poi arrivato il momento di fornire a questo film di 7 minuti uno zaino e un biglietto InterRail per farlo uscire dagli hard disk e fargli conoscere un po’ di mondo. Lui, ingenuo adolescente, prima di tutto ha cercato di imbucarsi in un po’ di Festival, dove la concorrenza è sempre numerosa e molto spesso di qualità notevole. Però nel frattempo ha cercato di sfruttare le nuove tecnologie per farsi vedere online, in una versione a invito sotto titolata in inglese, anche negli angoli più nascosti dei 5 continenti.»
«Qui le note più interessanti, perché se qui in Italia il giallo, il thriller e l’horror hanno un seguito molto ridotto e un livello di attenzione molto basso, nei paesi anglosassoni hanno invece un riscontro enorme tra blogger, piccole case di produzione e siti specializzati, cioè in quel mondo “indipendente” di cui abbiamo provato, a torto o a ragione, a far parte.
Vincenzo, ti assicuro che è stato veramente bello raccogliere commenti, suggerimenti, consigli e complimenti dai 5 continenti. Ne riporto qui alcuni, rilevando che altri si sono concentrati su due aspetti solo apparentemente secondari: le musiche, che hanno colpito molti, e la città di Pisa, vista e raccontata in modo ben poco canonico.»
«È un lavoro molto buono e mi ha sorpreso che sia riuscito a realizzare questo giallo costruendo la tensione senza il solito meccanismo dell’assassino con i guanti di pelle nera.
(Horror Nation, Londra)»
«Appena visto, ottimo lavoro, alcune inquadrature fantastiche e una buona storia.
(ABIproductions, L.A.)»
«Una trama molto interessante, con un ottimo capovolgimento finale.
(Il blogger M. Frost dagli USA)»
«Splendido. Sono riuscito veramente a entrare nella testa dell’ex studente infuriato all’idea che lei volesse buttar via tutto quello che lui invece sta cercando.
(Scarescapes Productions, Miami).»
«Ecco, direi che dopo questo giro tra Londra e Stati Uniti possiamo tornare a Pisa, dove tutto è nato, cogliendo magari l’occasione di scambiare idee e opinioni con altri che, come me/noi, cercano di sfruttare al 110 percento i nuovi mezzi per far continuare a vivere in modo nuovo lo storytelling #benfatto o, almeno, provato.»