Caro Diario, sono di ritorno dallo speech più veloce della mia vita, meno di 100 secondi, forse non più di un minuto e mezzo, alla voce alta velocità sarà difficile fare di meglio. È successo ad Hub Dot Napoli, dopo ti racconto tutto, intanto voglio condividere con te il mio intervento, così prima di dire che sono un matto a fare una cosa così ti fai un’idea.
Buonasera, sono Vincenzo Moretti, ho 63 anni, desidero quello che ho e sono qui per raccontare il lavoro ben fatto.
#lavorobenfatto è il suo Manifesto. Leggetelo, diffondetelo, firmatelo.
Perché qualsiasi lavoro, se lo fai bene, ha senso.
Perché nel lavoro tutto è facile e niente è facile, è questione di applicazione, dove tieni la mano devi tenere la testa, dove tieni la testa devi tenere il cuore.
Perché ciò che va quasi bene, non va bene.
#lavorobenfatto è quando ognuno fa bene quello che deve fare e tutto funziona meglio.
#lavorobenfatto è Lorenzo, il muratore che ad Auschwitz salva la vita a Primo Levi. Lui in quella situazione odia i tedeschi, odia la loro lingua e la loro cultura, però ogni volta che gli dicono di costruire un muro lo tira su forte e dritto.
#lavorobenfatto è Paul Jobs che spiega al figlio Steve perché anche la parte che non si vede degli armadi deve essere bella e fatta bene.
#lavorobenfatto è mio padre che, dopo averci passato lo stucco e la carta vetro, accarezza con la mano callosa la parete perché “se non è liscia come dico io non la pitto”.
#lavorobenfatto è bellezza, giustezza, senso, possibilità, convenienza.
#lavorobenfatto è Nuto che ne La luna e i falò di Pavese dice ad Anguilla che “l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa”.
#lavorobenfatto è quando la sera metti la testa sul cuscino e sei contento.
#lavorobenfatto è Mastro Giuseppe che aggiusta le cose in Novelle Artigiane.
#lavorobenfatto siamo noi che abbiamo ancora voglia di cambiare il mondo.
Rieccomi caro Diario, il mio racconto comincia con Claudia Castaldo, una ragazza di 28 anni che lavora nella comunicazione, come tutte le/i ragazze/i in gamba della sua età 100 ne pensa e 100 ne fa, l’ho conosciuta ieri a Hub Dot Napoli, è stata lei che mi ha contattato, è stata lei che mi ha convinto ad andare e persino a “convincermi” a inviare la bozza del mio speech di un minuto, e ti assicuro che non è stato facile.
Sì, amico mio, l’idea che mi sono fatto fin qui di Claudia te la riassumo con tre hashtag – #determinazione, #umiltà, #talento – ma conto prima o poi di tornarci su, nel senso che mi piacerebbe raccontare la sua storia, come sempre sarai il primo a saperlo.
Come dici caro Diario? Perché non è stato facile? Perché quando mi ha detto che avrei avuto un minuto di tempo mi è sembrata una follia. Come ho scritto sui social i 5 minuti me li sono fatti bastare sia a TEDxNapoli che a RNext Napoli, ma 1 minuto mi era sembrato impossibile da gestire, in un minuto puoi recitare una poesia di Ungaretti o di Quasimodo, perché già se ti sposti su Ginsberg o su Brecht hai poche speranze di farcela. E poi lo sai, preferisco il dubbio all’approccio assertivo, mi piace motivare, spiegare, ritornarci su, tutte cose che in 1 minuto sono impossibili, almeno per me.
Non ti dico come mi è salito il sangue in testa quando mi ha scritto che le dovevo inviare la bozza dell’intervento, ora io capisco che se mi dai 40 minuti mi chiedi un titolo e un abstract per le tue esigenze di comunicazione, ma se mi dai 1 minuto che ti devo mandare, il titolo.
E in tutto questo lei? Lei si è comportata con la saggezza di una persona di 82 anni invece che 28, ha spiegato, ha smussato, qui ha aggiunto una porzione di “da un certo punto di vista sono d’accordo con te però …”, là mi ha smontato con “va bene, capisco il tuo punto di vista, ma se non ti dispiace ti chiamo domani, preferisco parlarne a voce”.
Insomma Claudia è stata davvero molto brava, il resto lo ha fatto la mia curiosità, cosicché sono andato, e sono stato contento.
Sono stato contento perché tutte le storie che ho ascoltate sono state assai belle e interessanti, non solo quelle delle/gli storyteller “official” ma anche quelle delle/gli “unofficial” – il format prevede un ampio spazio per il racconto delle storie di chi ha scelto di partecipare come pubblico -, avevo anche pensato di citartene un paio ma poi mi sono detto che avrei fatto torto a tutte/i le/gli altre/i e ho deciso di desistere, non appena il tutto sarà online ti metto qui il link e potrai rendertene conto da solo.
Sono stato contento perché la prima cosa che ha detto Simona Barbieri – che non lo so se in queste cose c’è qualcuna/o che “comanda” ma io ieri appena l’ho vista mi sono fatto l’idea che è lei che “comanda” – è che nel mondo di Hub Dot non si chiede “chi sei” o “che cosa fai” ma “qual è la tua storia”, che se avessi potuto tenere mio padre con me mi avrebbe guardato e avrebbe detto “chelle cà vo’ Maria ‘o trova pa via”, letteralmente “quello che vuole Maria lo trova sul suo cammino”, in senso metaforico “sei capitato proprio nel posto che fa per te.
Sono stato contento perché almeno un paio delle storie che ho sentito mi piacerebbe raccontartele a modo mio, è questione di tempo ma conto di farcela.
Sono stato contento perché il format di Hub Dot mi ha dato molti spunti di riflessione, insieme alle domande – per esempio quanto lascia alla voce “profondità”?, quanto si consolidano le relazioni che si costruiscono in queste occasioni – mi ha lasciato il senso di qualcosa di diverso, che vale, per esempio nella parte che cerca proprio di favorire l’incontro nel corso dell’evento – meeting by doing – tra chi cerca ispirazione e chi cerca aiuto, tra chi ha un progetto e chi ha voglia di mettersi in gioco.
Sono stato contento perché le donne sono state le principali protagoniste della serata, è indispensabile amico mio, le possibilità di cambiamento passano in primo luogo per loro.
Sono stato contento perché il posto nel quale ci siamo incontrate/i – il Salone degli Affreschi Marinella a Palazzo Satriano – è non solo bello ma anche vicino casa.
Sono stato contento che più di 100 persone abbiamo pagato 10 euro per essere presenti, io lo so quanta fatica ci vuole per far partecipare 20 persone anche in maniera gratuita alla presentazione di un libro o a un dibattito, e insomma anche su questo c’è da riflettere, sulla necessità di pensare modi e forme innovative per favorire la partecipazione nell’ambito dello spazio pubblico.
Dette alcune delle tante cose che mi hanno fatto contento, prima di concludere ti dico due cose che invece no, una più scherzosa e una un pochino più seria.
Quella più scherzosa è che questa storia che “chi si vuole sedere si siede per terra” ha portato metà dei presenti a stare per 3 ore in piedi e ti devo dire che la mia schiena non l’ha presa bene, e insomma io capisco che sedersi per terra è social e bello però anche le sedie se qualcuno le ha inventate forse una ragione c’è.
Quella un pochino più seria è che mi sarebbe piaciuto trovare tra le/i partecipanti un po’ di più di persone “pop”, che ne so, un fornaio, una camiciaia, una guidatrice di autobus, un addetto alle pulizie. Non è una critica, e non dire che sono fissato con le persone “normali” che ogni mattina si alzano dal letto e fanno bene quello che devono fare, però ecco in tutti questi format, TEDx, RNext, Hub Dot forse si dà troppo spazio ai “dotti e sapienti” e troppo poco ai “normali”, è come se ci volesse un riequilibrio, perché alla fine tornando a Brecht “Tebe dalle sette porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra? […]”.
Finisco dicendo che da Hub Dot via mail mi hanno chiesto se mi è piaciuto e se tornerei a farlo. Ho risposto sì e sì. E ho aggiunto anche un cuoricino. Alla prossima.