Caro Diario, oggi ti racconto di Angela Di Maggio, l’ho incontrata la prima volta un anno e mezzo fa, la seconda giovedì scorso, sempre a Potenza, dove ho partecipato all’incontro conclusivo di Jobbing Fest con Vito Verrastro.
Ora io non voglio anticiparti niente, perché ho chiesto ad Angela di raccontarsi e insomma tra poco te la leggi da te la sua storia, però prima di salutarti due cose te le devo dire.
La prima è che quando l’altra sera è intervenuta lei mi è venuto «’o friddo ‘ncuollo», sì, mi sono emozionato, perché ha raccontato di ragazze/i e di specchi e di genio, insomma uno spettacolo che mi ha fatto pensare a Jorge Luis Borges e ad Andrew Lang che «diceva che siamo tutti geniali fino ai sette otto anni. Cioé, che tutti i bambini sono geniali. Ma da quando il bambino cerca di somigliare agli altri, va in cerca della mediocrità, e nella maggior parte dei casi ci riesce.» Mi sono permesso anche di aggiungere che in questa spinata alla normalizzazione abbiamo spesso un ruolo rilevante (noi) genitori e insegnanti, poi tu leggi quello che ha scritto lei e ne riparliamo.
La seconda cosa è che quando sono passato per la libreria di Angela, e non chiedermi niente perché te lo dice lei tra un minuto, ho trovato lì una sua amica di cui mi aveva detto 10 volte, si chiama Angela Lagrotta, è una creativa, ci salutiamo, riusciamo a dire tre parole e scopro che ha vissuto – un po’ di anni dopo di me – a Secondigliano nella stessa strada dove ho vissuto io, che ha una vita bella e (im)possibile come tante/i da quelle parti e che insomma prima o poi te la racconto perché una persona così non me la faccio scappare.
Ecco, per quanto mi riguarda è tutto, ti passo Angela, buona lettura.
«Ciao Vincenzo, come mi chiamo lo sai, sono una mamma e una giornalista e, da qualche mese, anche una piccola imprenditrice, visto che ho aperto una libreria motivazionale, a Potenza, che si chiama Sognalibro.
Oggi, pur avendo ancora tanta strada da percorrere, sono una donna felice. Quando dico felice intendo dire che sono una donna che ha compiuto un percorso di consapevolezza e di crescita che mi ha portato a guardare con occhi diversi ciò che mi circonda e ad apprezzarne la bellezza.
Non è stato facile, Vincenzo. Ancora fino a qualche anno fa ero una persona insicura e impaurita. Il mio cammino verso la strada della consapevolezza ha inizio dopo la gravidanza. Mi ritrovo all’improvviso senza lavoro. Nel cassetto ci sono i miei sogni, la laurea, master e tanti titoli. Tra questi quello di “Esperta in comunicazione delle politiche attive del lavoro”.
Con un titolo così ritrovarsi senza lavoro sembra quasi un paradosso tanto che decido di provare a cambiare. Insieme a Vito realizziamo una trasmissione radiofonica in cui ci occupiamo di lavoro raccontando le storie di chi ce l’ha fatta partendo dal proprio talento e dal proprio sogno. Vado a caccia di storie: ogni storia è un sogno realizzato. Un puzzle che prende vita, intervista dopo intervista. Eppure qualcosa ancora manca.
Io sono una sognatrice visionaria. Mi piace poter guardare oltre le montagne. Oggi, più che mai, sono convinta che i sogni sono fatti per essere realizzati. Questo è un insegnamento che ripeto a me e che provo a trasferire a mio figlio.
Il sogno è una luce che non si spegne mai. Dietro ad un sogno realizzato non c’è la fortuna, ma passione, entusiasmo, sudore e voglia di non rassegnarsi mai.
E così che nasce Sognalibro. L’idea è quella di promuovere una riflessione sul rapporto tra la cultura e l’educazione per diventare, nel tempo, un centro al servizio del territorio.
Al centro di questo progetto imprenditoriale ci sono dunque la cultura e l’educazione, uniche chiavi di volta del cambiamento. Potenza è la mia città, il posto in cui mi piacerebbe impegnarmi per creare risorse sul territorio con la consapevolezza che c’è spazio per le idee e il talento.
Come nasce il nome SognaLibro? Merito di mio figlio, Paolo. Questa libreria è anche un po’ sua perché mi piace l’idea che possa crescere senza farsi influenzare dalla negatività, ma con il desiderio di realizzare tutti i suoi sogni con impegno e tenacia. Sono fautrice della politica del fare e le parole come rassegnazione e pessimismo le sostituisco con talento e determinazione.
È così che all’interno della libreria che gestisco, grazie alla preziosa collaborazione di mia sorella Filomena, ho deciso di avviare dei percorsi motivazionali con i ragazzi delle scuole medie.
11 classi, tra la prima media e la terza, (parliamo di più di 200 ragazzi), sono entrate in libreria e hanno partecipato ad alcune attività pensate esclusivamente per loro.
L’idea era quella di far emergere il loro talento, ciò che sanno fare e i loro sogni.
Devo dire che i risultati sono stati entusiasmanti.
Come prima cosa abbiamo dato loro la possibilità di mettersi di fronte ad un grande specchio per guardare ciò che andava oltre la propria immagine riflessa. Subito dopo abbiamo raccontato loro una storia animata che aveva come tema quello dell’identità: la differenza tra il “nome” che ci definisce giuridicamente e il proprio “io”. Il messaggio era: io sono io a prescindere dal mio nome.
Beh, ne sono nate delle riflessioni che hanno spalancato finestre sull’identità di questi giovanissimi studenti.
La voglia di raccontarsi, di sentirsi ascoltati e compresi in un luogo al di fuori del contesto scolastico e che non prevedeva una valutazione, ha permesso loro di esprimersi con naturalezza. Si sono presentati ritagliando frasi, foto o parole dai giornali che hanno fissato su un cartellone. E lì davvero sono emersi in tutta la loro semplicità, senza filtri e condizionamenti.
La sensazione che ho avvertito è stata quella di avere di fronte dei ragazzi consapevoli del proprio talento e delle proprie attitudini, ma che non hanno le idee chiarissime sui propri sogni e desideri.
Ho avvertito quanto male si può far loro non assecondandoli nella scelta dei percorsi scolastici che desiderano fare, ma condizionandoli e demotivandoli facendo scegliere loro cose che non li rappresentano.
Ti faccio qualche esempio:
1. Io come milioni di altre persone ho gli occhi azzurri. Alcune persone mi salutano e subito mi fanno i complimenti per il colore dei miei occhi. Io preferivo averli marroni perché non c’è niente di speciale ad averli azzurri.
2. Tutti mi descrivono come un persona allegra e vivace solo perché è quello che faccio finta di essere. In verità sono chiusa e amo il silenzio. A volte chiudo gli occhi e penso ad un luogo dove non ci sia altro che silenzio e tranquillità. Faccio finta di essere un’altra persona per evitare che gli altri mi chiamino asociale. Se provo ad essere me stessa non vado bene.
3. Io lo dico a mamma che voglio fare la cantante, ma lei dice che sono più brava come ballerina.
Per finire caro Vincenzo ti dico che secondo me è importante che si faccia un passo verso queste/i ragazze/i accompagnandoli e sostenendoli nel loro cammino di crescita, non nel nostro. Non sono una generazione di ragazzi che vivono solo di virtuale. Hanno tantissime cose da raccontare ma noi semplicemente non li ascoltiamo. Perciò dico non lasciamoli soli, mettiamoci al loro fianco per aiutarli a coltivare il talento e i sogni».
Come dici, amico Diario? Ti sei emozionato? Te l’ho detto. ‘O friddo ‘ncuollo. Tu chiamale se vuoi, emozioni.