Tatjana e la casa dei destini che si incrociano

Caro Diario, già il nome è tutto un programma: Tatjana Saveria Stefankka Grüebler. E poi la nazionalità: Svizzera. E poi una mamma che tu la conosci nella versione padrona di casa e allora è una donna gentile e cortese che ti mette subito a tuo agio, ti aggiusta la sciarpa prima che esci e se c’è bisogno ti tira su anche i calzini, ma nella versione mamma non si fa problemi a raggiungere la figlia – ai primi ma proprio primi accenni di crisi all’università – per ricordarle che lei è lì per studiare sul serio e che se non intende farlo non c’è problema, perché un posto da cassiera in un supermercato si trova sempre, e per la famiglia va bene lo stesso, basta essere una brava cassiera e non c’è problema.  

Lo posso dire? Quando il mio amico Nicola Fabiano mi ha inviato il link di Palazzo Verga e poi sono andato a curiosare nella pagina dei cenni storici un po’ lo avevo visto (dalle foto) e un po’ lo avevo immaginato (dal racconto) che si trattava di un posto speciale, nella «mia» Cotronei, ma poi a volte funziona proprio come dice Amleto a Orazio, e allora le cose che ci sono in cielo e in terra sono di più di quelle che riesci a immaginare e finisce che vivi un’esperienza particolare, in un posto particolare, con persone particolari.
Persone come Tatjana, che quando le ho chiesto se si ricordava il momento in cui il lavoro è entrato nella sua vita mi ha risposto «mai!». Le ho sorriso,  ho provato a dirle «ma come, fai l’architetto, gestisci questa casa con tua madre, mi hai detto che sei stata tre mesi per rifare tutti gli infissi e poi mi dici che il lavoro non è mai entrato nella tua vita?» e lei mi ha risposto «tutte le cose che faccio le vivo come cose che mi piace fare, in questo senso non sono un lavoro, o almeno non sono una fatica, non le vivo come impegni che devo portare a termine ma solo come cose che mi piace fare.»

Si, per me una donna che 19 anni fa – aveva 23 anni – disfa la valigia pronta per trasferirsi al MIT di Boston e arriva a Cotronei, in Calabria, per amore della famiglia, per i ricordi, per il bello che le è stato trasmesso è una donna particolare. Una donna che dice che per lei il lavoro vale perché le permette di dare qualcosa agli altri, e che quel valore le ritorna ogni volta che scopre nel volto degli altri un sorriso, una contentezza, è una persona particolare. Insomma una donna così non me la potevo lasciar scappare, e perciò le ho chiesto di raccontarsi, e lei lo ha fatto, e dunque non mi resta che augurarti buona lettura amico Diario.
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«Vincenzo mi ha chiesto di descrivere una mia giornata di lavoro tipo, un mese di lavoro tipo o un anno di lavoro tipo – sostiene che in questo modo chi legge capisce cosa faccio concretamente – ma io credo che la mia vita, il mio lavoro, non possano essere riassunti in una formula tipo. Certo, potrei scrivere un elenco di cose che faccio dalla mattina – quando mi alzo – fino alla notte – quando chiudo la luce della lampadina sul comodino – ma questo non esprimerebbe l’essenza di ciò che è stato veramente per me quel giorno, quella settimana, quel mese o quell’anno.
La tipologia del mio vissuto si adatta piuttosto al flusso dei momenti, delle occasioni o delle necessità, legate anche alla professione vera a propria – nel mio caso quella di architetto – che costituisce un caposaldo nella vita di ciascun essere umano.
Il punto è che nella mia vita c’è anche un altro caposaldo: un palazzo posto tra passato e presente, un luogo in cui ho messo – dove forse ho sempre avuto – le mie radici, dove memoria e quotidianità si incontrano, un luogo in cui i ricordi si affiancano agli avvenimenti di ogni giorno e creano le condizioni per continuare a scrivere la storia della mia famiglia e della mia vita.
Già, forse è proprio questo l’elemento che caratterizza il mio essere. Immaginiamo un sistema di coordinate cartesiane, con sulle ascisse il presente e sulle ordinate la memoria. Vi sono una infinità di punti (momenti, avvenimenti, necessità, ecc.) che vi si possono tracciare e variamente connettere, anche tra di loro. Una molteplicità di interazioni possibili secondo il caso che, infine, formano la realtà in cui vivo e che amo chiamare La casa dei destini incrociati.
Dunque, è in questo contesto che svolgo il mio lavoro quotidianamente. Una continuazione di una storia che è stata (e che è scritta nel mio DNA) e che porta a quella che è o sarà, come anche a quella che potrebbe essere o avrebbe potuto essere. Per esempio, prendendo in mano le cartelle dell’archivio storico della famiglia ti immergi in un altro mondo, percepisci un tempo, un modo di essere. Leggendo tra le righe trovi spunti, immagini, nasce un’idea da realizzare oggi. La stessa cosa può capitare anche quando prendi in mano un oggetto o apri un armadio che si trova in casa. Ma può anche capitare un incontro con un ospite, un visitatore o un semplice passante che accende la miccia di un’altra opportunità da portare avanti. Il tutto si trasforma in una rete dei destini intrecciati dove il lavoro che svolgo è semplicemente quello di raccogliere le varie sfumature che mi vengono offerte e/o ci sono per prendermene cura al fine di trasmettere e promuovere le bellezze che contengono.
Si, il filo conduttore è l’amore. L’amore per un mondo, per una terra, la Calabria, che la mia famiglia mi ha trasmesso sin da piccola. Un mondo e un territorio fatto di tante ricchezze da (ri)scoprire e (ri)vivere, perché, come diceva Dostoevskij: La bellezza salverà il mondo.
Pensandoci, forse, è proprio questo il propulsore di ciò che faccio. Un modo di essere che permette di arricchirsi giornalmente e dove gli ostacoli che incontri – soprattutto in una terra come questa – non riescono ad abbattere la voglia di andare avanti, di (ri)cercare ancora per trasmettere, infine, ciò che vi è di bello/ buono. E ogni volta che ce la fai, che riesci a trasmettere o fare del bene, un sorriso o la consapevolezza di essere riuscito nel proprio intento ti ripaga di ogni sforzo patito.
Quindi, ciò che conta direi non è l’attività svolta di per sé – preparare le stanze piuttosto che la colazione, promuovere la propria struttura sui siti internet o occuparsi della sua manutenzione (52 infissi!), appuntare delle prenotazioni o organizzare un evento, contattare un fornitore di prodotti tipici o dare delle indicazioni agli ospiti per degli itinerari da seguire, etc. -, ma è il come viene svolta l’attività. Sono convinta che lo spirito che anima un’azione si percepisce e che in primis lo sente chi agisce. Per fare un esempio pratico, quando organizzo una serata enogastronomica, non mi limito a promuovere semplicemente un prodotto locale, ma cerco di trasmettere il suo significato, la qualità che lo contraddistingue che è frutto non solo di un lavoro svolto in un preciso luogo ed in un preciso momento (tipicità) ma anche dei saperi e delle tradizioni di un tempo (memoria) abbinati alle nuove tecnologie. Tutto ciò, assieme alla passione che anima il produttore (almeno quello che cerco io), rende, infine, il prodotto unico. Unico, come il lavoro svolto a modo mio nella mia casa dei destini intrecciati dove gli amici di Palazzo Verga sono invitati a seguire l’itinerario che il destino ci ha riservato.»
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