Firenze, 9 Gennaio 2018
Caro Diario, era il Novembre del 2010 e tu ancora non eri nato quando io, vedendo in rete un dipinto del mio amico Matteo Arfanotti ne fui così tanto rapito che decisi di pubblicarlo con un mio improbabile racconto.
Come dici amico Diario? Sì, sono d’accordo con te, cedetti alla tentazione di un esercizio di stile, anche se a rileggerlo oggi non lo trovo particolarmente bello, come stile.
Il discorso è diverso se ci riferiamo alla meraviglia, quella il dipinto di Matteo – ne puoi vedere una infedele riproduzione in fondo al post – me la restituisce tutta ancora oggi, e così le passioni che scatenò in me.
Ecco, mi potrei fermare qui se non fosse che pochi minuti dopo che ho condiviso il post sui social – sai che mi piace farlo ogni tanto – Matteo mi ha scritto e mi ha inviato un messaggio e un disegno.
Il messaggio è questo: «Vincenzo! Che piacere leggerti e rileggerti ancora! Pensa che sto finendo ora, qui a Seoul, di disegnare il concept per la classe di bodypainting che avrò domani e dopo tanto rifletterci su avevo pensato ad un drago! Guarda!»
E questo è il disegno:
Come dici caro Diario? Tu chiamala se vuoi serendipity? Sono d’accordo con te, e magari prima o dopo riesco anche a recuperare l’immagine originale del dipinto, che è fantastica, intanto ti lascio con il mio improbabile racconto.
LA FIGLIA DEL DRAGO
Impossibile ricordare il tempo trascorso.
Del passato rimaneva soltanto la fatica. E il rimpianto.
Ignorava la pietà, non la paura.
Assieme avevano molto combattuto. E vinto.
Non aspettò il ritorno delle stelle, sapeva che sarebbe accaduto. Quella notte le sentì arrivare. E capì che era l’ultima volta.
Si concesse ancora una domanda. Il rosso della luna fu irrevocabile.
Bastarono nove anni per la decisione.
Si alzò. Una lieve brezza annunciò che era stata scritta la parola fine.
Non una lacrima bagnò le sue rughe.
Spiegò soltanto le ali.
Guardò lontano nel cielo.
E finalmente volò.