PICCOLA SCUOLA CREA RACCONTA RICREA
Esperimento di Narrazione numero 7
I PARTECIPANTI
Silva Giromini, Laura Ressa, Anna Ressa, Giuseppe Jepis Rivello, Angelo Sciaudone e io.
IL PERCORSO
Ogni partecipante ha ideato e portato avanti il proprio esperimento di narrazione scegliendo un personaggio e formulando una domanda a cui dare risposta con la propria narrazione. Il personaggio che mi sono scelto io è James Hillman, quello di Anna è Spock, Laura ha scelto Filumena Marturano, Giuseppe Gianni Rodari e Angelo Francis Bacon. Silva ha fatto la regia, la voce fuori campo e tanto altro ancora.
I TAVOLI DI LAVORO [VIDEO]
Tavolo Numero 1, 8 Maggio 2021
Tavolo Numero 2, 15 Maggio 2021
Tavolo Numero 3, 22 Maggio 2021
Tavolo Numero 4, 29 Maggio 2021
Tavolo Numero 5, 5 Giugno 2021
IL TAVOLO DI LAVORO CONCLUSIVO [AUDIO]
12 Giugno 2021
LA MIA DOMANDA
Quanto conta il carattere, e quanto l’educazione, nella mia vita.
IL MIO ESPERIMENTO DI NARRAZIONE
La citazione
«Una cosa va chiarita subito. Il paradigma oggi dominante per interpretare vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco di genetica ed ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi chiamiamo “me”. Se accetto l’idea di essere l’effetto di un impercettibile palleggio tra forze ereditarie e forze sociali, io mi riduco a mero risultato. […] La teoria della ghianda è l’idea cioè che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.»
James Hillman
Per cominciare
Caro Diario, alla fine tiene ragione Trinity, è la domanda il nostro chiodo fisso. Nell’universo di Matrix la domanda di Neo è “Che cos’è Matrix”, in quello della Piccola Scuola la mia, come ti ho detto all’inizio, è “Quanto è importante il carattere e quanto l’educazione nelle nostre vite, a partire dalla famiglia”.
Sembra facile
Te lo ricordi l’omino con i baffi che raccontava la caffettiera Moka Express Bialetti nella TV in bianco e nero ai tempi di Carosello? Ebbene sì, teneva ragione pure lui, dare una risposta alla mia domanda “sembra facile, sì sì sì sì”, ma non lo è affatto, e non lo dico mica solo io.
Una quindicina di anni fa ho scritto un libro mai pubblicato. Fu un mio capriccio, mi sembrava tanto bello che lo avrei dato solo a una casa editrice molto importante, gli editor delle case editrici a cui lo inviai non la pensarono come me sulla sua bellezza e così è rimasto sul mio disco fisso. Il sesto capitolo lo avevo intitolato “Spettatori, dunque complici” e cominciava così:
Bianco. Torre campanaria di Gotham City. È in scena l’eterno conflitto tra il bene e il male, che per questa volta ha i volti di Michael Keaton e Jack Nicholson, le sembianze di Batman e Joker. Solo pochi metri di pellicola separano lo spettatore dal momento sempre atteso della resa dei conti. Joker, rivolto a Batman, pronuncia la frase destinata a mostrare in una nuova prospettiva l’intera vicenda: “Razza di idiota, tu mi hai fatto, ricordi?”
Nero. Kill Bill, Volume 2. Beatrix siede finalmente di fronte a Bill. Da qui a poco Bill scoprirà che Pai Mei ha insegnato a Beatrix la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi delle dita e anche il suo nome, l’ultimo, quello più importante, potrà essere cancellato dalla “Death List”. Ma per adesso è ancora tempo di spiegare, di capire.
È Bill a pronunciare le parole definitive: “Tu sei nata Beatrix Kiddo, e ogni mattina al tuo risveglio saresti sempre stata Beatrix Kiddo. […] Ti sto dicendo che sei un killer. Un killer per diritto di nascita. Lo sei sempre stata e lo sarai sempre. […] Niente al mondo potrà cambiare questo”.
Bianco. Honoré de Balzac: “Forse che la società non fa dell’uomo, a seconda dell’ambiente dove si svolge la sua attività, uomini diversi, tanti quante sono le varietà zoologiche?”.
Nero. Pablo Picasso: “Io non mi evolvo. Io sono”.
Bianco. In un saggio sul concetto di persona in Thomas Hobbes, Adalgiso Amendola mostra come le strutture, le istituzioni, il contesto, rivestano un ruolo assai rilevante nel processo di costruzione della personalità degli individui. Ciascuno di noi, questa la tesi proposta, è il prodotto della realtà sociale nella quale vive e può essere rappresentato come in una sorta di gioco di ruolo, con compiti e funzioni in molti modi dipendenti, per l’appunto, da ciò che gli sta intorno. In tale prospettiva, l’essere persona è il risultato di questo gioco di ruolo nel quale ognuno rappresenta la propria esistenza.
Nero. Ne Il codice dell’anima James Hillman afferma, nel solco della filosofia platonica e della psicologia junghiana, che è il daimon, la ghianda, il codice dell’anima, a determinare fin dalla nascita la nostra essenza, a scegliere i genitori, l’ambiente, il carattere, a indicarci la strada, a definire chi siamo, a determinare il nostro destino e le scelte che faremo. Natura, cultura, influssi ambientali, famiglia, non contano (o quasi): è nel daimon che possiamo ritrovare l’unicità di ciascuno di noi, la forza che ci muove, la necessità che ci orienta. La bellezza, la fantasia, l’immaginazione, ma anche la tragedia e l’orrore, la voglia di restare nel gruppo, persino la mediocrità, dipendono dunque da intuizione, carattere, vocazione, pensiero mitico, destino, provvidenza. Le storie e i percorsi di vita di personaggi come Woody Allen, Josephine Baker, Judy Garland, Adolf Hitler, Henry Kissinger, John Lennon, Richard Nixon, Quentin Tarantino, ne sono, per Hillman, un esempio. Siamo tutti “chiamati”, non esistono gli “eletti”.
Perché proprio Hillman
Perché è entrato a gamba tesa, anzi, con tutte e due le gambe tese nella mia vita e ha cambiato in maniera radicale prima la mia prospettiva e poi la risposta alla domanda, ma su questo ritorno tra poco. Per ora ti ricordo che sono nato e cresciuto in una famiglia in cui l’educazione era tutto, come carattere bastava quello di mio padre. Te l’ho raccontato già come funzionava: le regole le stabiliva lui, o si faceva come diceva lui o si faceva come diceva lui, non c’erano altre vie, mamma lo affiancava nelle materie di sua competenza, diciamo così, ma avevamo un solo Dio, e Pasquale Moretti era il suo profeta.
Una piccola storia inedita (podcast)
Una piccola storia inedita (testo)
Ti voglio raccontare una piccola storia inedita, penso di avere l’età giusta per farlo, papà era un grande ma non era perfetto, nessuno lo è, e la mia piccola storia suggerisce qualcosa di significativo sul concetto di educazione a casa Moretti.
Potevo avere 7, 8, 9 anni, non me lo ricordo. Al piano terra del palazzo – corte nel quale abitavamo, in via Cupa dell’Arco, di fronte allo stadio di Secondigliano, vivevano un ladruncolo e la sua famiglia. Il tipo aveva un figlio della mia età, con il quale mio padre mi aveva espressamente vietato di giocare; uno dei suoi cavalli di battaglia alla voce educazione era “Fattelle cù chi è meglio ‘e te e fance ‘e spese”, frequenta le persone migliori di te e fanne le spese.
Un pomeriggio venni meno al suo comando, in fondo eravamo solo due bambini. Ricordo che me ne pentii subito dopo, impaurito da quello che mi sarebbe potuto capitare la sera. Arrivato a casa, supplicai mia madre di non dirglielo, ma sapevo che non era possibile, lui lo avrebbe scoperto comunque e sarebbe stato peggio per tutti.
Ci tengo a dire che mio padre non era una persona violenta, collerica a volte sì, ma non violenta, anche con noi figli usava poco le mani, giusto uno schiaffone ogni tanto, neanche la centesima parte di quelli che per esempio prendevo da mia madre, che però era la mamma, e ci stava, ti poteva far male in quel momento, potevi piangere, ma non lasciava strascichi. Per quanto riguarda mio padre no, lui bastava che mi guardava e io piangevo dalla paura e dalla vergogna, lui gli strascichi li lasciava.
Stranamente la sera, a tavola, durante la cena, fece finta di niente. All’inizio la sua mancata reazione mi inquietò non poco, ma poi pian piano mi tranquillizzai, pensai che mia madre aveva fatto il miracolo, alla fine della cena ero quasi convinto di averla scampata.
Mi sbagliavo. Mentre mamma toglieva i piatti da tavola papà andò a prendere del filo elettrico tondo che avevamo in casa, ne tagliò tre pezzi di poco più di un metro, mi fece sedere di fronte a lui, avvolse un’estremità dei tre fili con del nastro isolante nero e me la diede da tenere con le mani, dopo di che cominciò a intrecciare l’altra estremità come per fare uno scooby doo.
Non compresi subito che cosa volesse fare, ma l’ansia e l’inquietudine che mi prese non me la dimentico neanche se campo mille anni. Quando capii quello che voleva fare con il frustino che stava facendo cominciai a tremare e a piangere come un disperato. Piangevo paralizzato, senza mai allentare la stretta sulla mia estremità, senza neanche pensare di scappare, scappare dove poi, visto che tutta la casa era fatta da una sola stanza. Giuro, ero talmente terrorizzato che non facevo altro che piangere, tremare, supplicarlo di non picchiarmi.
A un certo punto mia madre, seduta sul letto, cominciò a piangere anche lei, implorando a sua volta papà di perdonarmi, dicendogli che non l’avrei fatto più, ricordandogli che ero un bambino, che stavo tremando come una foglia e cento altre cose ancora.
Mentre tutto questo accadeva papà procedeva con il suo intreccio, come se noi non esistessimo, ripetendo ogni tanto che quando lui diceva una cosa quella cosa andava fatta e basta, che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, che io avevo disobbedito a un suo preciso ordine, che ero il primo figlio e avrei dovuto dare l’esempio, che suo padre a 18 anni gli aveva dato due schiaffoni perché non era voluto andare a comprare il sale, che una mancanza così grave non poteva passare liscia.
Non so quanto durò, so che andò avanti così per un tempo interminabile, fino alla fine, poi una volta che il frustino fu terminato non lo usò, al tempo con grande sollievo e gratitudine da parte mia e di mia madre. Oggi non saprei dire, a volte penso che sarebbe stato meglio se mi avesse picchiato, magari a quest’ora mi sarebbe passata, forse.
Educazione 10 – Carattere 0
La morale della piccola storia inedita mi pare evidente, a casa Moretti educazione 10 – carattere 0, o per meglio dire come carattere bastava e avanzava quello di mio padre. Devo aggiungere per completezza di informazione che sono cresciuto con l’importanza di rispettare le regole appiccicata alla pelle.
Tu che dici amico Diario? È stata colpa dell’educazione o del carattere?
Portavo allora un eskimo innocente
A 20 anni portavo anch’io come Guccini un eskimo innocente e nella mia vita, come in quella di tanti della mia generazione, la politica era tutto. Mi ero concesso giusto qualche divagazione durante i primi anni di università a Salerno – anarchico, Lotta Continua, i Circoli Ottobre, viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung – e poi sono approdato al Partito Comunista Italiano, dove ho ritrovato l’educazione, le regole, il partito prima di tutto, la Cgil prima di tutto, l’idea che le persone e i caratteri possono essere sacrificati, che il bene comune viene prima di tutto. Chi lo decide il bene comune? Il Partito Comunista Italiano. La Cgil.
Mi sono sposato così, ho vissuto una parte importante della mia vita così, è nato mio figlio Luca e per buona parte l’ho educato così. Convinto, senza mai avere dubbi, pensando di essere un padre che di migliori non ce n’è, sicuro che è l’educazione che forma le persone, che l’importante è non perdere mai di vista le principali. Ancora una volta, Educazione 10 – Carattere 0. O era il mio carattere?
Il codice dell’anima
Quando nel Dicembre 1994 mi dimetto da segretario della Cgil Campania Luca non ha ancora 12 anni e Riccardo ancora non è nato. Una sera mi sente gridare al telefono con il mio amico Sergio Cofferati, al tempo epico leader della Cgil. Finita la telefonata, viene in camera da letto e mi dice “papà, ti devo dire una cosa”, “dimmi”, gli faccio, “tu mi sembri il vicepreside della mia scuola, quello vuole far funzionare le cose e migliorare la scuola, ma la maggior parte degli insegnanti sono sfaticati. Papà, lui non diventerà mai preside, e neppure tu”.
Ricordo che gli sorrisi, lo abbracciai, e gli dissi una cosa tipo che non importa diventare preside, che l’importante è battersi per le idee in cui si crede. Confesso che al tempo pensavo ancora di poter diventare preside, invece i fatti dimostrarono che aveva ragione mio figlio, la madre di tutte le mie battaglie politiche in Cgil Campania l’ho persa, il perché e il per come in quelle storie lì contano poco, e anche il torto e la ragione.
Il codice dell’anima è arrivato a casa mia quando Luca aveva già 15 o 16 anni, un po’ di danni li avevo fatti già, o anche no, chi può dirlo. Ricordo che all’inizio lo leggevo soprattutto in bagno. Non ridere amico Diario, da ragazzo ci suonavo anche la chitarra in bagno, penso che sia stato e sia un luogo di riflessione e di ispirazione per tanti.
Leggevo, e pensavo “ma che dice questo scemo”. Proprio così, “ma che dice questo scemo”, con un paio di varianti tipo “ma cosa vuole questo scemo” e “ma chi si crede di essere questo scemo”. Sì, pensavo questo, e non ogni tanto, quasi a ogni pagina che leggevo, a volte a ogni riga. Ciò nonostante, senza che capissi bene perché, non riuscivo a smettere di leggere.
Teneva ragione Hillman
Mi ci è voluto un bel po’ di tempo per capire che aveva ragione lui e avevo torto io, o comunque che aveva ragione lui su un punto decisivo: il massimo che si può fare per un figlio non è trasmettergli il proprio carattere ma aiutarlo a tirare fuori e ad esprimere compiutamente il suo. Adesso sembra facile, ma prima di incontrare Hillman non solo non l’ho saputo fare ma non avevo neanche idea che si potesse fare.
A Luca poi ho chiesto scusa, ma questo è, come ho detto nessuno è perfetto e ognuno fa quello che può. Già, se avessi potuto o saputo fare diversamente lo avrei fatto, e naturalmente non vale solo per me, vale anche per mio padre, per Luca e per tutte le persone che fanno errori in buona fede.
Prima di passare al punto successivo mi restano da aggiungere due cose: la prima è che il primogenito già così è venuto su più che bene, se non gli davo un po’ di fastidio andava a finire che era troppo esagerato; la seconda è che pure il fastidio che ha dato lui a suo fratello Riccardo, di quasi 13 anni più piccolo, non è stato male, un poco come me a suo tempo, nel senso che mio padre se la prendeva con me e io mi vendicavo con i miei fratelli più piccoli.
Carattere? Educazione? Non lo so, quello che so è che si può vivere comunque felici e contenti, sia al tempo di Pasquale che al tempo di Vincenzo, che per fortuna le famiglie non sono un trattato di psicologia, sono pezzi di vita che si incrociano, si contrastano, si uniscono, si ingarbugliano, vanno avanti, indietro e un po’ anche di lato.
Quello che viene prima e quello che viene dopo
I tempi in cui leggevo e pensavo “ma che dice questo scemo” sono ormai lontani. Ad oggi Il codice dell’anima l’ho riletto 6 o 7 volte, La forza del carattere, altro meraviglioso lavoro di Hillman, 3 o 4, Saggio su Pan e altri suoi libri un paio di volte. Solo “Dell’Incertezza” di Salvatore Veca supera Il codice dell’anima per numero di letture, ma quella è un’altra storia, l’incontro e l’amicizia con un grande filosofo come Salvatore è stato troppo determinante nella mia vita.
La conclusione più probabile di questa storia è per certi versi anche quella più banale, della serie “in medio stat virtus”, la virtù sta nel mezzo, nel caso specifico a metà strada tra il carattere e l’educazione. Per carità, si può dire anche meglio, per esempio che il rapporto tra carattere ed educazione non può essere definito con un approccio monocromatico, tipo bianco o nero, giusto o sbagliato. Forse oggi come oggi direi che l’unicità del nostro carattere non ci rende impermeabili alle contaminazioni e alle influenze dell’educazione e del contesto; aggiungerei che non sta scritto da nessuna parte che il carattere debba essere per forza sopraffatto dalla forza dell’educazione, della cultura, ancora una volta del contesto; e concluderei che anche il carattere non può fare a meno dei valori, dei punti fermi, dei muri maestri che ci aiutano ad orientarci nelle nostre vite.
In definitiva contrapporre daimon ed educazione, carattere e cultura, individuo e società, non è per forza una buona idea. Abbiamo bisogno sia del carattere che dell’educazione se vogliamo vivere vite più felici in società meno esposte a fenomeni di anomia tanto a livello individuale, penso ad esempio alla perdita di identità e di ruolo delle persone, quanto a livello sociale, in questo caso in termini di scarsa credibilità e affidabilità delle strutture.
Detto ciò, se vogliamo fare un passo in più e definire, come direbbe mio padre se fosse ancora da queste parti, quello che viene prima e quello che viene dopo, mi tocca ribadire che tiene ragione Hillman, viene prima il carattere, il daimon, la streppegna, e poi l’educazione, il contesto. Almeno questo penso oggi io.
I have a dream
Oggi il mio sogno è che Luca, 38 anni, e Riccardo, 25, realizzino i loro sogni, non i miei. Esprimano la loro personalità non la mia. Tirino fuori il loro carattere, non il mio. Vivano la loro vita, non la mia.
Ancora una volta “sembra facile, sì sì sì sì”, ma non lo è. Mio padre non mi ha voluto meno bene di quanto io ne voglia ai miei figli, eppure come ho raccontato ne “Il lavoro ben fatto” sono finito all’istituto tecnico invece che al liceo perché dovevo fare il concorso da tecnico all’Enel e vincerlo, così mi avrebbero chiamato signor Moretti e non don Pasquale come facevano con lui.
E poi chi non conosce un figlio di avvocato che fa l’avvocato senza che nessuno glielo abbia chiesto scagli pure le prima pietra; e che dire di medici, notai, architetti e farmacisti? Spesso moriamo così tanto dalla voglia di lasciare qualcosa in eredità che facciamo fatica a chiederci se i nostri figli l’eredità che abbiamo messo da parte per loro a prezzo di tanti sacrifici la vogliono veramente.
La famiglia che piace a me
Spero si sia capito, oggi la famiglia che piace a me è quella in cui i più grandi, di età, aiutano i più piccoli, sempre di età, a scoprire il loro carattere, a prendersene cura, ad amarlo, a educarlo, a nutrirlo con il proprio sapere e saper fare e con quello della propria comunità e del mondo. Per me, quando la famiglia funziona così, ci sono più possibilità che le persone che la compongono abbiano una vita felice, siano rispettosi degli altri e dei loro caratteri, siano capaci non solo di prendere ma anche di dare, dalle persone alle persone, dalle comunità alle comunità, dal mondo al mondo. Sì, oggi penso questo, direi che ne sono convinto, e sono molto grato a Hillman per l’aiuto che mi ha dato.
SE FOSSI, IL TAVOLO DI LAVORO CONCLUSIVO
Sabato 12 Giugno
Caro Diario, l’ultimo tavolo di lavoro lo abbiamo chiamato Se Fossi, poi quando sarà il momento capirai perché. Ieri ho proposto uno schema in 3 semplici punti, lo puoi leggere qui.
Lo schema è andato, Giuseppe ha proposto di aggiungere all’inizio una breve intro di Silva nella sua funzione di coordinatrice/regista ed è sembrata a tutte/i noi un’ottima idea, dopo di che ci pensa proprio lei, la mitica Silva, a tradurre uno schemino senza pretese in un vero e proprio plot che farà da trama al nostro incontro pomeridiano.
Per quanto riguarda me, non posso nascondere l’emozione. Per quanto riguarda il resto della banda, a parte Jepis che mantiene il contegno che si addice al capoclasse, il resto le/i ho visti pervasi da una strana euforia, nella chat social che condividiamo si sono dedicate/i al canto, a improbabili progetti teatrali e ad altre stranezze che preferisco non commentare. Ti consiglio di restare in ascolto.
Per finire che ti devo dire? Come ha raccontato Valentina Campi a Scritte, ci sono cose che non puoi raccontare, devi viverle.
Per me è stato meravigliosamente così, ti confermo l’emozione, tanta, sincera, commevente, ti dico solo che il senso che si propagava dal racconto ha coinvolto anche Cinzia, che è stata per tutto il tempo seduta sul divano ad ascoltare. Ti rimetto qui l’audio della serata conclusiva, nel caso ti fosse sfuggito all’inizio.
L’EPILOGO
L’epilogo che piace a me lo ha scritto Silva quando ha detto che siamo stati come una famiglia, o che lei si è sentita in famiglia, adesso non ricordo bene, ma insomma se hai ascoltato il podcast lo hai scoperto da solo, che non è che posso fare sempre tutto io. Sì, come una famiglia bella, di quelle che quando dopo una giornata di lavoro torni a casa e sei contenta/o, nonostante i problemi, che pure quelli non mancano mai ma prima o poi si risolvono, soprattutto quando una famiglia è una famiglia, quella cosa fatta di tante differenze e di tante persone differenti che però nei momenti decisivi si danno una mano, remano tutti nella stessa direzione, perché una famiglia è così che fa, altrimenti che famiglia è.
L’ALBUM DI FAMIGLIA
Le foto del mio album di famiglia le puoi vedere qui, per quanto riguarda la foto di copertina da sinistra a destra puoi vedere me, mia madre Fiorentina, zia Maria, la sorella di papà, mia cugina Nunzia e mio cugino Cosimo figli di zia Maria, mio fratello Gaetano, mio padre Pasquale e mio fratello Antonio. Mancano mia sorella Nunzia, che ancora non era nata e lo zio Totonno, marito di zia Maria, non mi ricordo perché. Le macchie sul volto di mio cugino Cosimo sono dovute all’usura della foto e alla mia incapacità di ritoccarla.
LE STORIE DI SILVA, ANNA, LAURA, GIUSEPPE E ANGELO
Silva Giromini, Cinque personaggi in cerca … di famiglia
Anna Ressa, Le esigenze dei molti contano più di quelle dei pochi?
Laura Ressa, Filumena Marturano, la famiglia, il senso di colpa e i perché senza risposta
Giuseppe Jepis Rivello, La Famiglia, filastrocca, se fossi Gianni Rodari
Angelo Sciaudone, Io e mia nonna ci dicevamo tutto
RIPENSIAMOCI SU
Silva Giromini, Buona la prima
Laura Ressa, A Scuola di Famiglia si impara a voler bene [esperimento narrativo]
POST SCRIPTUM
Caro Diario, rileggendo mi sono accorto di aver lasciato per strada due cose.
La prima è racchiusa in una piccola grande parola, grazie. Grazie di cuore ad Angelo, Anna, Giuseppe, Laura e Silva, sono stato assai contento di camminare al loro fianco.
La seconda è un pensiero dedicato a Silva Giromini. Ti ricordi?, quando si è raccontata qui ci ha lasciato con questa citazione sospesa: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”, dal Vangelo di Luca (17,10). La citazione contiene due parole che non mi piacciono, “servo” e “inutile”, però il senso è bello, e Silva nella sua storia l’ha raccontato molto bene. Ti confesso una cosa, e la confesso anche a lei, è stato nel corso di questo mese e mezzo che ho capito veramente che cosa vuol dire. Tra le tante cose belle che pensa e che fa Silva, gli esperimenti di narrazione non sono di certo tra le più rilevanti, però questo pezzo di strada lo abbiamo fatto insieme e come dice Morpheus una cosa è conoscere la via e un’altra cosa è percorrerla. Ecco, direi che con questo, per questa volta, veramente è tutto.