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by Demetrio Ferro
Caro Diario, oggi ti racconto la storia di Demetrio Ferro, che compie 35 anni il mese prossimo. Laureato in ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Torino e in ingegneria informatica all’Università di Salerno, ha conseguito un dottorato di ricerca in neuroscienze all’Università di Trento. Nel suo percorso formativo non c’è biologia, ma l’ha studiata dopo, seguendo corsi integrativi.
Demetrio è di Caselle in Pittari ma attualmente fa ricerca a Barcellona, Universitat Pompeu Fabra, Istituto di ingegneria biomedica. In particolare nel suo centro di ricerca, Center for Brain and Cognition, si occupano di neuroscienze in senso stretto e dunque la base, il punto di partenza, è la cognizione del cervello.
Scusami amico Diario, ma non ti ho ancora detto che tutto questo non l’avrei mai saputo se non me l’avesse raccontato la signora Velia Pellegrino, la mamma di Demetrio, che quest’estate, oltre a deliziarci con i suoi piatti al Lido Smeraldo, mi ha dato spesso un passaggio in auto sulla via del ritorno tra Policastro Bussentino e Caselle. È stato così che ho scoperto Demetrio, i suoi studi e il suo lavoro, il resto è venuto da sé: mi sono incuriosito, ho chiesto alla signora Velia di dirgli che avrei avuto piacere di ascoltare la sua storia, e una mattina di agosto ci siamo incontrati al lido, con noi anche il mio amico Sergio Vitolo.
I saluti, un caffè e gli ho detto della mia idea: raccontare la sua storia con l’aiuto di una breve introduzione e 5 parole a sua scelta. Era l’esperimento narrativo che avevo inaugurato con la storia di Francesca e Pasqualino e aveva dato ottimi risultati, perciò mi piaceva continuare su quella strada.
Demetrio ha risposto che per lui andava bene e mi ha chiesto se ci potevamo rivedere più tardi, il tempo di fare una passeggiata per raggiungere e salutare alcuni suoi amici, e naturalmente così abbiamo fatto. Ci siamo ritrovati intorno alle 11:30, dopo che Demetrio ha fatto la sua passeggiata e Sergio e io la nostra nuotata quotidiana, dopo di che “pronti, via” e siamo partiti.
“Vincenzo, insieme all’anatomia neurale nel corso dei miei anni di ricerca mi sono appassionato molto alla fisiologia dei processi cognitivi. Ti dico subito che da un certo punto di vista distinguere se è nata prima la logica o prima la cognizione è un po’ come il gioco se è nato prima l’uovo o prima la gallina, è molto difficile da stabilire, dato che la cognizione crea la logica ma senza un nesso logico non c’è una vera e propria cognizione. Tra i biologi vige l’osservazione secondo cui la cognizione serve a rendere possibile il nostro spostamento nello spazio, cosa che le piante non fanno ed è per questo che non hanno sviluppato tali funzioni. Comunque su questi aspetti sogno di aprire un giorno una discussione con vari scienziati di rilievo, tra cui i Proff. Stefano Mancuso e Giorgio Vallortigara, che stimo particolarmente.
Per concludere questa mia breve presentazione aggiungo il claim, la massima, che tiene insieme un po’ tutti gli aspetti dello sviluppo della mia persona: ‘Il giorno in cui semini non è lo stesso in cui raccogli.’ una massima che per la verità ha anche un seguito: ‘Il miglior giorno per piantare l’albero era 20 anni fa, il secondo miglior giorno è oggi’, questo per dire che se anche se le cose potevano andare in maniera diversa da come sono andate, non è mai troppo tardi per cambiarle, insomma ci si può sempre mettere in gioco e raggiungere gli obiettivi, anche gradualmente, va bene lo stesso. Vedi, anche se ho ‘solo’ 35 anni, ci sono tante cose diverse nel mio bagaglio, non solo alla voce studio ma anche lavoro, partecipazione, militanza”.
“L’inizio mi sembra buono. Che ne dici di partire con la tua prima parola?”, ho proposto a questo punto.
“Certo che sì. La mia prima parola è Arborizzazione“, mi ha risposto.
“È una parola che mi fa pensare a tutte le altre che ho scelto e che dal punto di vista professionale mi caratterizza.
Devi sapere che i neuroni hanno due parti fondamentali, l’assone e i dendriti, c’è un’illustrazione di di neurone e arborizzazioni dendritiche disponibile ad accesso libero su Wikimedia dell’Istituto Santiago Ramón y Cajal, Madrid, Spagna, poi ti mando il link, che può aiutare te e chi ci legge a capire meglio. Al centro puoi vedere il nucleo della cellula (A), detto anche soma, la parte in alto rappresenta l’arborizzazione dendritica, in basso l’assone.

In pratica i dendriti sono la parte del neurone che protende verso altri neuroni per formare delle connessioni. Detto con parole semplici, l’arborizzazione è il processo attraverso il quale si formano questo tipo di ramificazioni finché non si raggiunge un’altra cellula, permettendo di connettersi formando delle sinapsi. Questo processo crea delle vere e proprie reti di neuroni, oggi più note come “reti neurali”.
Si tratta di un processo lungo, che ha inizio durante il nostro sviluppo cognitivo e che continua ad adattarsi durante la nostra vita, attraverso il processo di plasticità neurale che va a rinforzare o ad assottigliare i suddetti collegamenti neurali in base al valore di tali interazioni nella nostra esperienza.
Nell’ambito della mia ricerca, cerco di mettere insieme tanti concetti che ho studiato dal punto di vista formale, matematico, applicandoli alle neuroscienze, ovvero allo studio delle nostre funzioni cognitive e alle loro disfunzioni nel caso di disordini mentali. I lavori di tanti scienziati del settore mi hanno ispirato tanto sia all’inizio del mio percorso nello studio delle neuroscienze, sia nella decisione di continuare ad approfondire una teoria che avevo già sviluppato dal punto di vista formale. Tra i più influenti neuroscienziati italiani, menzionerei sicuramente il Prof. Marcello Massimini, e il Prof. Maurizio Corbetta, che mi hanno ispirato particolarmente.”
“Aiutami a capire meglio, Demetrio”.
“Direi che l’osservazione fondamentale è che nel mondo c’è tanta varietà di stimoli, in teoria un’infinità di stimoli che il nostro cervello riesce a trattare. È un fatto che accade nonostante ciò risulti formalmente impossibile, nel senso che matematicamente non si possono rappresentare infinite cose in un spazio finito di neuroni, di cellule. È questo fatto che mi ha incuriosito e colpito tantissimo. Il percorso di ricerca di Massimini ha introdotto la interessante nozione secondo cui determinate anomalie cognitive portano a una riduzione di quella che si chiama entropia, cioè di variabilità di stimoli che vengono a essere rappresentati, o comunque di variabilità di segnale cerebrale. I lavori di Corbetta, d’altro canto, mi hanno colpito per la forte associazione tra lo studio della fisiologia delle cellule e la loro funzione in meccanismi cognitivi molto complessi, come l’attenzione.
A partire da questa ispirazione ho iniziato a lavorare a un livello più basilare, nel senso che mentre loro hanno studiato il cervello già funzionante e con delle patologie, io ho cercato di capire come vengono rappresentate le entità atomiche della cognizione, cioè le variabili cognitive vere e proprie, ed è così che ho capito che l’attenzione è il concetto fondamentale che rende possibile la rappresentazione di infiniti oggetti in uno spazio finito di cellule.
L’attenzione è la chiave di tutto questo, nel senso che permette di focalizzare i processi neurali su determinate variabili e, in effetti, la maggior parte delle patologie cognitive o neurodegenerative sono spesso relazionate ai disturbi dell’attenzione, ovvero alla difficoltà di mantenere l’attenzione o come causa o come effetto, a controllare gli impulsi e a regolare il comportamento.
La forma più nota di disturbo dell’attenzione è il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) e le manifestazioni includono disattenzione, iperattività e impulsività, che possono persistere in età adulta e avere un impatto negativo su formazione, lavoro e relazioni sociali. Altri disturbi dell’attenzione possono derivare da danni cerebrali, come ictus o demenza, e tutto questo si ricollega al fatto che l’informazione esiste in quanto focus di attenzione, cioè di rappresentazione di qualcosa in quanto tale.
In definitiva, direi che il mio lavoro di ricerca è un collegamento tra le reti logiche artificiali, che sono quelle che ho studiato in ingegneria, e le reti neurali, che sono quelle che determinano la cognizione umana.
Immagino che nonostante i miei sforzi di semplificazione non sempre sia facile seguirmi, ma il tema associato alla parola ha una sua complessità, comunque andando avanti sarà più chiaro perché la prima parola che ho scelto è questa.”
“Va bene, mi fido, di più, mi piace. E poi con gli anni ho imparato che quando si esplorano nuovi mondi bisogna anche accettare di non capire tutto, altrimenti si rimane confinati nella propria zona di confort, o peggio ancora nella riserva indiana. Veniamo alla seconda parola.”
“Vincenzo, Radici. È la parola che ho scelto per raccontare da dove sono partito.
Mi rendo conto di non essere molto originale, ma la prima cosa che mi viene in mente pensando alle radici è il legame con la mia famiglia e il mio territorio.
Per cominciare devi sapere che sono molto legato alla figura di mio nonno, di cui porto il nome e che mi ha dato un grande imprinting. Ha 81 anni, e l’anno scorso è stato molto contento che sono tornato apposta per festeggiare i suoi 80 anni.
Nonno Demetrio già da piccolo mi ha insegnato quali erano le piante importanti, a riconoscerle e a identificare il loro ruolo mutuo, insomma quella che poi ho capito essere una biosfera, anche se all’epoca non lo sapevo.
Sì, la prima figura che mi viene in mente è lui, mio nonno, esperto di potatura, conosciuto, per la sua abilità, in tutto il Golfo di Policastro.
Dopo mio nonno sicuramente mio padre, anche se con lui ho avuto un legame molto più forte da adulto. Anche il mio rapporto con lui, essendo tra l’altro caposquadra della comunità montana del Bussento Lambro Mingardo, è stato molto legato al tema dell’agricoltura e della vegetazione (“es lo que hay”, ovvero “è ciò che abbiamo a disposizione”, dicono gli spagnoli). Mi ha insegnato tantissimo, varietà di piante, tecniche di innesto, ad esempio, o come legare le viti, creare i filari e poi anche potare gli ulivi, oppure cercare varietà di piante in base al terreno e altre cose così.
In particolare il lavoro con i filari mi ha insegnato molto, per esempio ad avere tantissima pazienza.
Anche il mio claim racconta la necessità di avere tantissima pazienza. E direi che anche il Cilento è maestro di pazienza.
Aggiungo che mi ha dato anche tanta pazienza il fatto che a volte ho sentito che non ero nel posto giusto, compreso quando ero “costretto”, diciamo così, a lavorare appunto con mio padre, ad aiutarlo più per un retaggio sociale che per mia volontà. In realtà mi sarebbe anche piaciuto, però dal punto di vista sociale non mi sentivo a mio agio, in primo luogo perché non mi dava la possibilità di fare le scelte che volevo, per esempio comprare il cellulare nuovo o il computer. Non è un caso che quello con cui ho iniziato a studiare l’abbia comprato con il mio primo lavoro fuori casa, “abbandonando”, sempre tra virgolette, la carriera con mio padre e iniziando a lavorare nella ristorazione, settore nel quale lavorava e lavora mia madre.
”
“In pratica ti riferisci al lavoro come autonomia.”
“Esatto. Quando ho preso l’iniziativa e ho iniziato a lavorare fuori dalla famiglia sono diventato più autonomo, ho avuto a disposizione i soldi che guadagnavo. A proposito di non sentirsi nel posto giusto vorrei fare una parentesi su Caselle in Pittari.”
“Vai!”
“Premetto che sono molto orgoglioso di essere nato e cresciuto a Caselle; la mia comunità mi ha offerto tanto humus sociale, culturale, politico negli anni della mia adolescenza. Con il passare degli anni, però, ho avvertito un crescente senso di disagio, di non appartenenza, come se man mano si fosse perso il suo carattere identitario, e questo ha fatto sì che nel tempo non mi riconoscessi più in essa. È probabile che sia successo anche per il tipo di amministrazione che abbiamo da tanti anni, lo puoi scrivere tranquillamente, è la mia opinione, e la conoscono tutti.
Riconosco invece una grande forza in alcune persone della Pro Loco che a mio avviso hanno fatto un grande lavoro, a partire dal Palio. Penso per esempio ad Antonio, Jepis, Jolly (coetanei di Demetrio, ndr).
In estrema sintesi anche se riconosco il potere culturale e la grande capacità di accogliere di Caselle, vedo anche tante opportunità che non colte come dovrebbero, penso per esempio a Laurelli, al risanamento e alla valorizzazione delle ricchezze ambientali che abbiamo, alle attività sportive. Ribadisco che è solo il mio punto di vista, ma sono cose che mi amareggiano e allentano i miei legami con la mia terra.
Ti voglio dire una cosa che riguarda il nuoto, che può sembrare secondaria ma a mio avviso non lo è. Nuotare mi ha insegnato tantissimo, a parte banalmente il fatto di stare a galla, che a pensarci meglio oggi avrei voluto impararlo prima, ma a Caselle e dintorni non c’era una piscina. Mi ha insegnato ad esempio che devo monitorare la mia respirazione, che anche quando mi fa male il corpo in realtà il problema è la respirazione, non il corpo, e questo mi ha aperto la mente sulla divergenza tra ciò che sento e ciò su cui in realtà devo lavorare. Ormai sono più di dieci anni che faccio regolarmente nuoto e mi piace tantissimo, è un’attività che mi permette di scaricare lo stress e la frustrazione con cui ho a che fare nella quotidianità.
Detto tutto questo, aggiungo per onestà che magari anche io faccio parte del problema, perché sono andato via, però con la mia formazione culturale e scientifica altrove posso esprimere il mio potenziale in un modo che oggettivamente non è possibile nella mia terra, e quindi va bene così.”

“Provo a indovinare la prossima parola: Divergenza“.
“Si Vincenzo, ci hai preso. Divergenza è una parola che mi piace per molte ragioni, compresa quella che mi fa pensare alle ramificazioni, e dunque ad arborizzazione. Nel mio caso specifico, però, come parola è connessa al fatto che ho dovuto farmi in tante parti per poter scoprire e diventare quello che sono adesso, compreso il fatto che sono stato in tanti posti, a Torino, sei mesi in Francia, in Trentino, e dal Trentino in Inghilterra, e adesso a Barcellona. Sì, direi che c’è questa divergenza nella mia vita.
Altro aspetto importante della parola divergenza, per me, è che ha a che fare con il verbo divergere che in qualche modo ha a che fare anche con la diversità, l’essere diversi.
C’è tanto di me in questa parte, c’è il mio attivismo già da studente che, all’università, si è battuto per l’accesso e il diritto allo studio, per le borse e l’abitabilità, e poi per l’ambientalismo, la legalità, l’inclusività sociale e tanto altro ancora. Sul tema abitabilità sono ancora oggi attivo, Barcellona è molto dentro questa tematica a causa della bolla economica che si è creata per il turismo, l’over-turismo, ecc, ma comunque si tratta di un tema sempre più internazionale.
Ho fatto attivismo per diversi anche con Open Arms, la ONG spagnola, e mi fa piacere ricordare che sono ancora oggi in contatto con il Circolo Sociale Arci Marea di Salerno, con alcuni di loro siamo grandi amici dai tempi dell’università. È un centro culturale che stimo tantissimo, fanno accoglienza, sono impegnati su diversi aspetti legati a questo tema.
Concludo dicendo che questa mia apertura verso la diversità, la molteplicità, e queste mie diverse forme di attivismo, di militanza, mi hanno portato a imparare tante lingue, parlo inglese, francese e spagnolo oltre all’italiano e al dialetto. Sul piano pratico conoscere più lingue ti permette anche di dare una mano a persone che arrivano qui e si trovano alle prese con tante difficoltà, a partire dai documenti da leggere, tradurre, comprendere. All’interno di questo ragionamento le ramificazioni di cui ti ho parlato all’inizio sono in qualche modo espressioni grafiche delle divergenze. Sì, direi che in un certo senso la ramificazione è una divergenza tra diversi rami.”
“Sei veramente una scoperta Demetrio, e con te le parole che hai scelto e il modo in cui le stai declinando. Andiamo avanti dunque, a quale parola tocca adesso?”
“A Innesto, che nella mia esperienza è stata una parola spesso connessa con conflitto, ma è meglio procedere con ordine.
Vedi Vincenzo, nella mia vita mi sono sentito tantissime volte un innesto, immagino sia anche normale per una persona come me che ha cambiato tante volte contesto, luoghi e riferimenti, che ha dovuto fare i conti con tante realtà diverse che lo hanno arricchito però lo hanno fatto anche soffrire, e hanno generato conflitti, come probabilmente è normale che sia.
Mutuando ancora una volta parole e concetti dalla mia radice contadina, usando il vocabolario dell’agricoltura, una persona quando prova a coltivare qualcosa come procede? Se funziona bene, va avanti, se non funziona prova a fare dei cambiamenti, in buona sostanza per migliorare le cose tiene la parte migliore di quello che ha e cambia il resto. Ecco, in pratica per me ‘innesto’ è stato questo continuo provare nuove cose cercando allo stesso tempo di preservare quello che funzionava. Lo ripeto, è un processo sofferto, però ti dà anche tanto. Naturalmente sarebbe stato tutto più facile se avessi potuto conoscere prima tante parti di me, che ne so imparare a nuotare, o anche andare in montagna, cosa che ho fatto in Trentino e solo dopo qui, andando per esempio sul Bulgheria e sul Cervati.
Fare quello che ci piace dove ci piace è molto bello, anche quando ti crea altri conflitti, perché per esempio tocchi con mano il tanto che c’è ancora da fare per valorizzare come si deve il nostro bellissimo territorio.
‘Perché se vado sul Bulgheria non posso trovare sentieri attrezzati e funzionanti come quelli che ci sono in Trentino?’, ti chiedi. E perché i cani da pascolo non sono tenuti a bada come là?’ Sono belle domande, e anche un po’ retoriche, soprattutto se, come me, sei figlio di un capo squadra della comunità montana e sei più consapevole delle ragioni per cui determinate cose permangono nello stato in cui sono.
Detto questo aggiungo che sono felice delle cose belle e positive che stanno cominciando ad accadere anche dalle nostre parti, il Cammino di San Nilo è una di queste, e non dobbiamo scordarci di ricordarlo.”
“Molto bene, siamo all’ultima parola, qual è quella che hai scelto?”
“Missione, che secondo me è la capacità di vedere nel mondo il cambiamento che vuoi, o meglio essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.”
“Non penso tu lo sappia, ma ‘Un mondo migliore ci vuole’ è il titolo della postfazione che ho scritto per la nuova edizione de ‘Il lavoro ben fatto‘. ”
“Sì, ci vuole, un mondo migliore perché progredisce, non solo a livello scientifico. Vedi, secondo me il progresso non può essere un mito ma piuttosto qualcosa di tangibile, che parte da ciascuno di noi, che bisogna vivere sulla propria pelle. Solo così possiamo cambiare noi stessi e contribuire a cambiare gli altri, o comunque a influire su di loro. È un cambiamento che non riguarda solo la militanza, l’attivismo, ma anche le scelte personali come per esempio quella di avere e sostenere un’alimentazione vegetale o comunque più consapevole, o di combattere il consumismo sistematico promuovendo l’economia circolare.
Non si tratta di seguire la moda del momento ma piuttosto di sentire chi siamo, cosa ci portiamo appresso, magari fin da piccoli.
Ti faccio un esempio personale, io da piccolo non riuscivo a mangiare la selvaggina, ed è qualcosa che poi ho riconosciuto da adulto, e questo “riconoscimento” l’ho sentito in un certo senso come una missione, per me almeno è stato così.
La mia missione non è solo la mia professione, ma anche la mia forma mentis, il mio approccio nelle cose di ogni giorno, il mio modo di vedere il cambiamento come ti ho detto. È questo che secondo me dà speranza.
Ho a che fare con tanti ragazzi più giovani di me e non voglio che siano come me, voglio che siano migliori, che possano esprimere appieno il loro potenziale, mi piace tantissimo questa cosa, mi piace tantissimo non essere solo docente nel senso accademico del termine, ma essere mentore, cioè qualcuno che ti dà una mano, che ti prospetta una possibilità, ti dà una speranza verso quello che vuoi fare, che vuoi realizzare.
Sono cose che sono servite anche a me, ci sono state anche nella mia vita tante persone che hanno avuto questo ruolo e mi sono servite più del classico ‘professore’. Se ci pensi la maggior parte dei professori possono essere sostituiti da un libro, dallo studio di un manuale, soprattutto a ingegneria è così, spero non sia lo stesso nelle materie umanistiche.
La persona che ti dà la speranza, invece, non la trovi così facilmente, e quando la perdi non la sostituisci così facilmente.
Come ti ho detto a questo proposito i miei primi riferimenti sono mio nonno, mio padre, anche mia madre che a volte pensa che sono un missionario, nel senso che secondo lei avrei potuto ambire a qualcosa di più remunerativo o comunque socialmente più accettato del fatto di essere costantemente in giro per il mondo, insomma una specie di nomade, scientifico ma pur sempre nomade. Che poi la cosa buffa di mia madre, ogni tanto glielo faccio notare, è che lei di cognome fa “Pellegrino”, che in realtà è qualcosa di diverso da un missionario, perché è molto vigilante, attento, uno che sa, che conosce il suo territorio, come un falco pellegrino per l’appunto, mentre invece il missionario è qualcuno che vede qualcosa all’orizzonte e cerca di mediare raggiungerla.”
“Potremmo anche fermarci qui, Demetrio, ma mi piacerebbe che tu mi raccontassi ancora una cosa, una sorta di tua “Giornata tipo” tra ricerca e didattica. Che ne dici?”
“Dico che si può fare. Allora, come hai già detto tu nella domanda nella mia giornata tipo da ricercatore c’è una parte più di ricerca e una più di didattica. Direi che il mio è un lavoro allo stesso tempo standard e flessibile, posso lavorare da casa o in ufficio, a seconda delle esigenze.
Ci sono tantissime ore di analisi di dati, che detto così sembra ripetitivo, ma non è lo è affatto. In primo luogo per la necessità di raggiungere l’obiettivo, di produrre risultati, che non è mai un processo lineare. Accade che ho bisogno di fermarmi, perché per esempio quello che sto producendo non va nella direzione giusta, così come accade che divergo in tante direzioni perché la ricerca mi conduce a un tipo di intuizioni che però poi non si configurano, non si connettono nel modo giusto con il disegno generale e a quel punto devo fare uno o più passi indietro, armarmi di pazienza e ricostruire una visione d’insieme di tutto ciò che ho fatto fino a quel momento e di quello che può servire a determinare un possibile passaggio successivo.
Dal versante della ricerca quello che faccio è sostanzialmente questo, occuparmi di processi selettivi. Il nostro cervello è bombardato da stimoli sia esterni (ci arrivano attraverso i sensi, la vista, l’udito,ecc.) che interni (quelli che rimuginiamo o visualizziamo interiormente o più semplicemente siamo portati a visualizzare dal nostro sistema linfatico). Entrambi i processi utilizzano dei principi di selettività.
Non so se lo sai ma non possiamo rappresentare tutto ciò che vediamo parallelamente, né sentire tutte le sensazioni parallelamente.
Quindi quello che il nostro corpo, il nostro cervello, il nostro sistema nervoso centrale fa, è selezionare ciò di cui tu abbiamo possibilmente bisogno in quel momento in maniera adattiva. Lo fa sia come rimuginazione, come pensiero, sia come risposta “flight or fight”, ovvero come risposta a stimoli esterni che possono essere necessari per la tua soddisfazione, il tuo piacere, la tuo ricompensa interiore, diciamo così. Qui si potrebbe aprire una parentesi immensa però mi fermo, se ti colleghi al mio sito puoi leggere, guardare e capire meglio quello che faccio attraverso le mie pubblicazioni.
Poi come ti dicevo ho fatto e faccio anche didattica, anche se non sono mai stato titolare di un corso intero.
Qui, se posso, ho da fare una considerazione non solo personale ma anche generazionale.”
“Certo che puoi.”
“Parto dalla notizia, che poi notizia non è: come tanti altri, anche io, a 35 anni, non ho ancora una posizione stabile nonostante il mio lavoro e i miei titoli. Le ragioni sono tante, una tra le più importanti è la riduzione dei fondi per la ricerca, che fino a qualche decina di anni per ogni bando venivano selezionati il 15% dei partecipanti mentre oggi non superano il 7-8%. Diciamo che facciamo i conti con la crisi economica e fiscale globale, e con le scelte politiche scellerate che fanno i leader mondiali, con tutte le ingiustizie che questo comporta.
Fatta la considerazione generale torno al punto e ti racconto che ho fatto didattica sia in corsi specializzanti (neuroscienze computazionali, per esempio), sia in corsi di base che si fanno alla triennale (statistica, o per meglio dire analisi statistica di base).
Un corso a cui ho tenuto particolarmente e a cui ho dato un bel contributo è stato quello di comunicazione scientifica, che ha l’obiettivo di rendere la scienza più accessibile, più fruibile, aperta anche a chi non ha alle spalle decenni di studio in quello specifico ambito. È una questione che ha un impatto sociale importante, e io ho insegnato ai ragazzi a fare alcune cose fondamentali: scrivere in maniera fruibile, utilizzare anche in maniera formale citazioni, utilizzare strumenti un po’ più tecnici della ricerca, strutturare un testo con introduzione, metodi, risultati, discussione.
Anche se in maniera molto schematica, imparare a discutere tra pari, in pratica una sorta di moderazione di dibattiti tra ragazzi, a presentare delle proposte di ricerca rivolte sia al docente che al pubblico è molto utile, anche considerando che alla fine sia i docenti che il pubblico danno una valutazione. Naturalmente la valutazione del docente vale di più in proporzione, però anche quella del pubblico contribuisce al giudizio finale.
Sempre a proposito di valutazioni ci tengo a dire che la mia aspettativa è motivata anche dal fatto di aver sempre ricevuto punteggi molto alti da parte degli studenti, che come sai a fine di ogni corso ci valutano come docenti.”
“Si vede che ami tanto il tuo lavoro.”
“Sì, mi piace molto, non tanto per il ruolo in sé, perché mi piace proprio tanto trasmettere, accendere la luce nelle persone, non so se mi spiego. Se manca la scintilla diventa tutto noioso, persino il processo di apprendimento.
Ancora una volta non è a caso che la parola che ha messo al primo posto è stata arborizzazione, con tutte quelle idee sulle connessioni. Non vale solo nell’insegnamento, vale anche nel lavoro di ricerca e nella vita.
Per esempio, nonostante io viva nel centro di una grande metropoli, sul mio balcone coltivo il mio basilico, la mia rucola, anche i miei pomodori.
Quello che voglio dire è che non basta fare retorica, non possiamo accontentarci di dire le cose, dobbiamo farle, per quanto mi riguarda arrivo a dire che ho bisogno di farle. È una specie di processo terapeutico: mettere il seme, vedere la pianta prima nascere e poi crescere fino a dare il frutto. Non è una fissazione, è un approccio, una forma mentis, e credo che anche per questo sono contento, tutto sommato, delle opportunità che ho avuto finora e spero di averne altrettante in futuro. Recentemente ho pubblicato su Nature Communications, ma non sono uno che ha tantissime pubblicazioni, diciamo che credo molto in quelle che ho. A volte vengo criticato per questo, mi viene detto che ci metto troppo per fare un articolo perché ambisco troppo alle riviste di alto profilo, quelle più prestigiose insomma.
La verità è che io non faccio questo lavoro tanto per farlo, lo faccio perché voglio veramente contribuire in qualche modo, metterci qualcosa di mio, esprimere il mio potenziale per qualcosa che vale.”

“È un bellissimo messaggio Demetrio, complimenti.”
“Ti ringrazio. Però ci tengo a dire che non voglio insegnare la vita a nessuno, ti ho raccontato semplicemente di come la vedo io, forse perché cambiando tante volte, dovendo adattarmi tante volte, ho dovuto riconoscere il meglio di me, il tanto di buono che c’è in me.
Vincenzo, puntare in alto è il mio modo per non rinunciare a quello che sono e a quello che posso ancora essere. È il mio modo per affermare la mia personalità e il mio potenziale attraverso le mie opere, la mia missione di vita, ciò che mi dà forza con le persone con cui parlo, che determina l’influenza che posso avere talvolta sugli altri. Forse ancora faccio a pugni con il fatto che l’affermazione di sé stride con l’essere disposti ad accettare compromessi.
E comunque, diciamo pure ancora una volta, per me puntare in alto significa anche fare in modo che gli studenti sentano che faccio parte del processo di cambiamento in cui sono coinvolti, vale nel caso della manifestazione per la Palestina e nel caso di quella per i collettivi LGBTQIA+. Sono le cose che ho sempre fatto e che ritengo importante continuare a fare, anche con il volantino che appiccico sulla parete del mio ufficio.
Per me è importante che gli studenti si sentano innanzitutto a loro agio, cioè in un posto in cui le loro idee possono essere ben accolte, e nel momento in cui io dovessi avere un ruolo più significativo lavorerei di sicuro per portare dentro la voce degli studenti, che sono una parte importante del corpo critico di questa società, di quello che è rimasto di corpo critico di questa società.
Vincenzo, non è che facciamo politica a 20 anni perché è il nostro momento di fare politica e poi diventiamo “grandi” e smettiamo, magari le cose cambiano ma quell’humus rimane dentro di noi, così come la voglia di comunicare, partecipare, sentirsi parte di qualcosa di più grande. Da Barcellona ieri è partita la Sumud Flotilla e io che ci vivo proprio ieri non c’ero, e ci sono rimasto malissimo, però poi mi sono detto ‘vabbè, ci sarò la prossima volta’. Non lo dico perché penso che sia importante in sé che io ci sia, ma perché voglio trasmetterti appieno il senso di ciò da cui attingo, non so se sono chiaro.”
“Sei chiaro Demetrio, molto chiaro.”
