Secondigliano

Caro Diario, ti presento Secondigliano. Sono 18 racconti di ordinaria umanità che intrecciano persone, vite e strade, radici e futuro. Racconti senza nostalgia, solo con propositi e protagonisti diversi da quelli che si vedono nelle serie Tv. Altri racconti insomma, che ho scritto in più di 20 anni e rivisitato nel corso dell’ultimo. Narrano di semplicità, onestà, fatica, dignità, amicizia, normalità e tanto altro ancora.
In pratica con Secondigliano ho voluto dare senso e maturità, al cammino che sto facendo sulla strada che porta da narratore a scrittore. Spero, anche grazie all’eccellente lavoro editoriale di Celeste Pinto, di esserci, almeno in parte, riuscito, ma naturalmente il giudizio definitivo spetta a te, alle lettrici e ai lettori.
Mio figlio Luca sostiene che se si attiva il passa parola Secondigliano può diventare un libro di successo. Spero che abbia ragione, lui il mercato dei libri lo conosce bene, è il suo lavoro, legge tanto ed è franco di cerimonie (è severo e imparziale nei giudizi); ciò nonostante resto dubbioso, e il “se” che sta all’inizio della sua considerazione conferma i miei dubbi.
Diciamo la verità: il passa parola non è un interruttore che si attiva a comando; c’è bisogni che siano in tante/i a leggere il libro e che una parte di loro lo consigli, lo regali agli amici, lo commenti sui social, lo recensisca su Amazon, gli dedichi un articolo sul giornale per cui scrive. Più facile a dirsi che a farsi, è evidente, per questo preferisco restare concentrato su quello che posso fare per aiutare le lettrici e i lettori a scegliere Secondigliano tra le milioni di possibilità che hanno.
Sta qui il senso delle note a margine, degli incipit pubblicati sul mio blog personale, della mia attività sui social, di questo articolo che è un po’ cantiere e un po’ racconto.
Per facilitarne la lettura, l’ho organizzato in quattro parti: 1. il processo creativo attraverso il quale conto di ideare e, forse, realizzare, un nuovo manufatto narrativo, una borsa Scritte dedicata a Secondigliano; 2. i pensieri e le parole di chi, in presenza o a distanza, ha partecipato al piccolo esperimento di narrazione realizzato durante la presentazione del libro in Jepis Bottega; 3. le recensioni e i commenti di chi ha letto il libro; 4. 15 righe, l’inizio dei 18 racconti letti da me.
Direi che per ora è tutto amcio Diario. Quando hai finito di leggere scrivi nei commenti che cosa ne pensi.

INDICE
Manufatto Narrativo | Pensieri e Parole | Recensioni e Commenti | 15 Righe

MANUFATTO NARRATIVO | Torna all’indice
L’idea del manufatto narrativo dedicato a Secondigliano è nata nel corso di una conversazione in Jepis Bottega tra Giuseppe, Cinzia e me. Commentavamo la presentazione di qualche giorno prima e a un certo punto è venuta fuori naturale, sponte direbbe Jullien. Accade alle idee belle quando sono mature al punto giusto, un po’ come le pere di Michele Rivello, il papà di Giuseppe, che mi ricorda spesso che, quando sono mature, cadono da sole dall’albero.

Processo
Perché, cosa e come: il processo di ideazione della mia borsa Scritte parte da qui.
Il perché è all’inizio un innesto tra scintilla e desiderio; a volte è il desiderio che attiva la scintilla, altre è la scintilla (nata da un pensiero, o da una conversazione come in questo caso) che dà voce al desiderio. Subito dopo viene il senso, che dà concretezza alla scintilla e al desiderio e li rende tangibili. Insieme al senso il significato, che permette all’autore di ideare, interpretare e realizzare al meglio la storia che intende raccontare.
Il cosa è per certi aspetti la fase meno impegnativa, quella in cui l’autore decide se raccontare una storia che cammina su un paio di scarpe, su una borsa, su una vandera.
Il come è l’esplosione della creatività, la fase in cui l’autore si confronta e si cimenta con i pensieri, i colori, le parole, le immagini e tutto quanto può immaginare per rendere unica la propria storia. Pensieri, colori, parole e immagini che lo rappresentano, in cui si identifica. Un percorso estremamente personale e intimo dunque, in cui però può avere un ruolo importante anche la conversazione, il confronto. Non solo con l’artefice magico, l’ideatore di Scritte, Giuseppe, ma anche con le parsone che più sono parte del vissuto e della storia dell’autore (nel mio caso Cinzia, Luca, Riccardo).

Colori
Direi il verde del 111 nero, l’autobus che partiva dal Rione Ina Casa e arrivava a Piazza Municipio; al tempo per noi ragazzi di secondigliano era, insieme al 137, il principale mezzo di collegamento con il centro città. Poi il rosso delle idee e dei cuori della mia famiglia e dei miei amici. E poi ancora il celeste per la visione e il viola, l’indaco o il blu per il sapere e il saper fare.

Foto
Tra tante foto prima ne ho selezionate 10, poi 4, alla fine ho deciso per una di quelle che Luca aveva già scelto per il libro.

Parole
Secondigliano, Tatuaggio, Pelle, Anima, Identità, Umanità, Lavoro, Famiglia, Tempo, Onestà, Radici, Donne, Futuro, Poppisti, Amicizia, 111 Nero, Magliari; Via Cupa del’Arco, Corso Italia, Pascoli, Moscati, Rione Don Guanella

Frase
Secondigliano è un tatuaggio. Si attacca alla pelle e all’anima e non si toglie più.

Design
Nella foto la mia idea di borsa Scritte dedicata a Secondigliano. Sono schematizzate solo le parti riservate all’autore (avanti, dietro, manici, parte superiore con cerniera).

PENSIERI E PAROLE | Torna all’indice
Dopo la borsa Scritte, gli spin off, diciamo così, della prima presentazione di Secondigliano, in Jepis Bottega. Dal #CreaRaccontaRicrea di Giuseppe Jepis Rivello è nato infatti un percorso partecipato composto da un’intervista video all’autore/ autrice del libro (senso del libro, processo creativo, impatto sociale), la mia la puoi guardare qui, dalla conversazione in libreria con l’autore a partire dalle tre domande oggetto dell’intervista e da una scheda con alcune domande per le/i partecipanti. Di seguito l’intervista, le domande relative a Secondigliano in grassetto e le risposte di chi ha scelto di interagire, accorpate per domanda (ogni numero corrisponde a una specifica persona).

 
Cosa significa per te il luogo in cui sei nato/a o cresciuto/a.
1. Rifugio, odore, ricordi, dialetto.
2. Il mio caos creativo.
3. Le radici. I filtri attraverso i quali “leggo” la vita.
4. Tempo, identità, amore per il posto dove sei nato.
5. Conoscenza, primo approccio alla vita, scoperta del mondo, purezza.
6. Scuola, contraddizione, nostalgica dannazione.
7. È il terzo genitore da cui provengo. La matrice base della mia esperienza.
8. Punto di partenza per crescere.
9. Montagna, vulcano, radici (con disegno).
10. Luogo dell’anima! Significa stare in pace con me stessa, disponibile nei confronti dell’umanità, conoscermi fin enlle viscere.
11. Luogo di passaggio, puzzle di foto sovrapposte.
12. L’essenza dell’essere dell’individuo, ti modella e sarà retaggio di ciò che sei e diverrai.
13. Sono nata a Caselle, in casa con la “vammana”, e sono cresciuta in una casa di campagna senza acqua e senza luce elettrica, andavamo a letto con le galline.
14. Sono nata a Napoli, che non è un luogo ma mille diversi. La prima cosa significativa per me di Napoli è il mare e la bellezza legata al mare, ma anche al paesaggio urbano, i palazzi, alcune vie. Ma Napoli è da cui è necessario andarsene, altrimenti non la si vede e non la si capisce.
15. (Vedi foto, parte destra).
16. Gargallo e la mia casa sono una parte importante della mia vita. Sono fortunata, e lo ripeterò spesso, intanto perchè sono una delle poche gargallesi “dog” (di origine gargallese) che abita ancora in questo piccolo paese di circa 1800 anime. Sono nata nella mia casa, 52 anni fa, nella stessa camera dove oggi ho la scrivania del pc. Oggi ci abito solo io, è anche fin troppo grande per me sola, ma ancora per un po’ starò qui.
Quando ero piccola mi ricordo la mia nonna paterna che stava al pian terreno, al primo piano ci abitavano i miei e al secondo, in un periodo che non ricordo, c’era mio zio. Poi lui è andato a vivere in un’altra casa sempre qui in paese, così la mia famiglia si è allargata portardo le camere da letto al secondo piano.
Ricordo un breve periodo – io ero piccolina – in cui noi tre sorelle dormivamo in una sola camera tutte insieme. Poi quando io ho avuto 3 anni è nato mio fratello (non in casa ma in ospedale, era il 1976!). Così, quando mio fratello era già grandino e io cominciavo le scuole, siamo andati a dormire insieme in una camera ancora non usata, lasciando le due sorelle più grandi nella camera di cui sopra.
Nel 1989 si è sposata Gabriella, e con questo evento un pezzettino della nostra famiglia usciva da questa casa…. per poi tornare la domenica a pranzo con il marito. Poi si è sposata anche Maura nel 1997, e successivamente anche Marco ha voluto andare a vivere da solo, sempre qui in paese.
Siamo rimasti in questa casa di 3 piani io con i miei genitori. Nel 2016 muore mio padre, in casa siamo solo io e mia mamma; e da gennaio di quest’anno abbiamo dovuta portarla in una struttura, così rimango solo io, in uno stabile di 3 piani.
Detto così è un po’ veloce, ma sono 52 anni che respiro l’aria di queste mura, ed è difficile staccarsene. Ci sarebbero molte altre cose da raccontare: sono fortunata, perchè non ho vissuto gli anni della guerra e ho avuto un’infanzia felice. A scuola ci andavo da sola (fino alle elementari qui in paese, poi dalle medie al paese vicino, prendendo il pullman), non ho vissuto l’esperienza caotica dei giorni d’oggi.

Se avessi la possibilità di raccontare il luogo un cui sei nato/a o cresciuto/a come lo faresti?
1. Con le emozioni e quel senso di casa che porto sempre con me.
2. Lo sto facendo con le mie canzoni.
3. Una cittadina di provincia dove si distinguono ancora le stagioni. La benzina del motorino che non ha ottani ma ormoni.
4. Interrogando mia madre sul modo in cui mi parlava, la sua saggezza, la sua disponibilità per il prossimo.
5. Come una favola, con tanta fantasia, con il linguaggio dei sogni.
6. Racconti, fiabe, barzellette.
7. Attraverso i volti di tutti i parenti e conoscenti che hanno accompagnato la mia crescita. Descriverei anche i profumi e le immagini delle loro abitazioni.
8. Un paese a metà, tra mare (apertura) e famiglia (chiusura). Quindi un paese con più possibilità.
9. Farei fotografie.
10. Con un testo scritto senza collocazione letteraria.
11. Partendo dalla strada di campagna pavimentata di mele annurche che mi portavo a scuola media.
12. Racconterei di una città piena di iniziative e di sogni, dove l’individuo lavorava e credeva bnella sua città. Oggi …. c’è da tornare indietro e lavorare tanto, soprattutto credere nel “luogo”. Oggi città fantasma.
13. Quando faceva notte il verso della civetta e del gufo era la nostra colonna sonora, la luna piena ci illuminava il sentiero che portava al paese distante circa due chilometri.
14. Forse come Raffaele la Capria in “Ferito a morte”, non tanto per l’identificazione nei personaggi, ma per la capacità di raccontare cose apparentemente insignificanti che riescono a smuovere ricordi, passioni ed emozioni. Mi viene anche in mente il libro di Erri De Luca, “Montedidio”, che racconta attraverso microstorie la vite delle persone che ci abitavano. Anche se forse “Non ora, non qui” è ancora più autentico nella narrazione di Napoli.
15. (Vedi foto, parte destra).
16. Per il mio paese, ci hanno già pensato qualche anno fa alcune associazioni che hanno coinvolto molte persone di Gargallo realizzando un film sulla vita che io ho vissuto in prima persona, attraverso il lavoro: Gargallo era famosa per le fabbriche di scarpe e dava da lavorare a tantissime persone, in fabbrica e in casa. Se invece dovessi raccontare la mia vita nella mia casa, forse lo farei attraverso una fiaba.

Da quali storie partiresti?
1. Dall’odore di mia mamma, che riemipva la casa come un abbraccio invisibile. In quel profumo c’erano e radici, un pezzo di me.
2. Dal periodo infanzia – giovinezza.
3. Dal primo ricordo datato, il 9 o 10 gennaio 1966, la visita in ospedale a mia madre che aveva partorito mia sorella.
4. Dai giochi che si facevano con gli amici del vicinato.
5. Dalla descrizione degli amici e delle persone.
6. La mia, quella della mia famiglia.
7. Dalle storie di parenti e conoscenti che mi sono sembrate mitiche o archetipiche.
8. Dall’esame della patente: potevo uscire dal “nido” ed esplorare se ero stato fortunato o meno a nascere a Cip.
9. Dalle immagini. Come fotografie. Piccoli quadri che scorrono.
10. Dallo scoprire l’essenza greco ortodossa del paese e l’influenza del convento nella storia del luogo e degli abitanti.
11. Dall’autobus delle 6:45 per percorrere 12 chilometri e andare a scuola superiore. Carezze del … (parola indecifrabile)
12. Da me adolescente impegnata che arde nella “Resistenza”, mio primo testo poetico.
13. Aiutavamo i genitori, pascolare il gregge era il compito di noi bambini, spesso si saltava la scuola che era un lusso. Rubavamo le uova per venderle e comprare una scatola di colori. Oggi, dopo una vita da mestra elementare, ritornerei volentieri a vivere in campagna.
14. Dal ritorno a Napoli, nel 1985, dopo 15 anni di lontananza / distanza.
15. (Vedi foto, parte destra).
16. Potrebbe essere la mia storia personale (in 52 anni me ne sono successe, che a raccontarle oggi ci si può scrivere davvero un libro); o raccontando la vita di persone che hanno lasciato un segno nel nostro paese; oppure tradizioni belle, che ci legavano prima come persone e poi come comunità: penso al Banco di Beneficienza, per raccogliere fondi per la parrocchia. Un mese di preparazione per quattro giorni di festa che ho impressi nella memoria. Per questo sono fortunata.

RECENSIONI E COMMENTI | Torna all’indice
Infine questa raccolta di recensioni e commenti che è prima di tutto una maniera per sottrarli al destino dei 7 secondi di attenzione a cui sono condannati sui social, insomma un modo per averne cura, per tenerne traccia. Con gli anni ho imparato che ogni cosa può servire per future esplorazioni, e cerco di agire di conseguenza. Detto questo, ribadisco che non dò per scontato che aiutino il passa parola, però quando una cosa è vera si capisce, e le cose vere un aiuto lo danno sempre.

Francesca Aiello
Questo è ilterzo libro del mese di ottobre. Si tratta di Secondigliano di Vincenzo Moretti.
Una raccolta di racconti edita a luglio 2025. Acquistata subito subitissimo alla Jepis Bottega perché in cuor mio sapevo che ci avrei trovato tanto della mia famiglia. Tanto di papà e tanto di mamma.
Avevo peró bisogno di tempo per leggerlo, non per la lunghezza, sono poco più di 200 scorrevoli pagine, ma perché nel tritacarne mentale delle mie estati, non avrei potuto reclutare i giusti ricordi e le giuste emozioni che sento in connessione con questo libro.
In tanti ne hanno parlato e ne stanno parlando, perché “l’umile sociologo” – come in mia presenza si è più volte definito – ha il dono di raccontare le cose così bene da fartele vedere. Però ecco, io voglio fare una cosa diversa dalla classica recensione “mi è piaciuto perché”.
Voglio cercare, provando ad essere breve, di condividere prima di tutto la gratitudine del dire che Vincenzo è un amico, ma poi l’emozione forte e la commozione di aver “rivisto” la Napoli che mi raccontavano i miei genitori; mamma amava dire che la sua città “era un teatro a cielo aperto” ed è vero.
Oggi avrei dato non so cosa per ascoltare di nuovo le loro storie di quando erano giovani. Attraverso alcuni racconti di Secondigliano è come se lo avessi fatto.
Ho ricordato.
Ho abbracciato memorie.
Ho connesso e riconnesso radici.
Menzione speciale al racconto “Casa Russo”, lo potrei definire un pezzo d’anima!
Attribuisco un simbolico 10 come voto per rispettare la mia rubrica delle recensioni, ma per me questo libro ha un valore inestimabile e lo custodiró sempre gelosamente nella mia libreria!
Se volete lo trovate qui: https://www.amazon.it/dp/B0FH15HZYW e, credo, ancora in bottega da Jepis!
Ti voglio bene Vincenzo!

Maria D’Ambrosio
.. e ti trovi ad attraversare Secondigliano e a conoscerne l’umanità per poi accorgerti che quel che cerchi nel tuo quotidiano è un po’ di quella umanità intorno e dentro di te.

Gennaro Melillo
Ho finito di leggere Secondigliano da qualche giorno, un libro che ho letto con il cuore!
Secondigliano raccontata dalle storie di persone, famiglie, amici, legate da un grande sentimento che è “L’AMORE”, dalla voglia di non arrendersi mai, dalla dignità del lavoro!

Irene Gonzalez
“Secondigliano”, scritto da mio zio Vincenzo Moretti, è un libro di racconti con un impianto narrativo potentemente autobiografico e aneddotico. E quindi mi sembra coerente che anche questa mia piccola recensione parta da una riflessione autobiografica e aneddotica.
Zio Enzo (perché per me l’autore è e sarà sempre il mio “zione”), è un accumulatore. Di storie, di esperienze, di amicizie, di pensieri, tutti stipati in quella che lui ha sempre definito “una capa tanta”, che non è solo fisicamente grande, proporzionata ai suoi due metri d’altezza, ma è proprio grande dentro, perché contiene moltissima vita. Fin qui tutto bellissimo, se non fosse per il fatto che zio Enzo è anche un accumulatore di cose. Libri, giornali, riviste, vestiti, scarpe, bigliettini, occhiali, cellulari, scontrini, aggeggini, souvenir, opuscoli, dépliant, agendine, tesserini, buste (!!!) di ogni tipo, materiale, dimensione. Il tutto, disseminato ovunque passi più di 48 ore.
Da quando sono tornata a vivere a Napoli, un anno fa, mi sono prefissa l’ingrato compito di liberare, ordinare e razionalizzare parte di questo caos accumulativo presente in una zona della casa in cui vivo. Ora, in famiglia, di accumulatori e accumulatrici seriali ne abbiamo a bizzeffe, per cui non mi lascio facilmente impressionare. Eppure devo confessare la mia perplessità quando, nel liberare uno dei cassetti di una libreria, mi sono trovata in mano un mazzetto di biglietti e abbonamenti della metropolitana usati, accuratamente conservati insieme con un elastico. Nei mesi seguenti questo episodio mi è tornato in mente spesso, suscitandomi un’ilare incredulità e rafforzando le mie convinzioni sull’assurda e irrazionale personalità degli accumulatori seriali.
Finché non sono arrivata a leggere il racconto “Il concorso di Isabel”. Allora quella stramba mania di conservare biglietti usati ha acquisito ai miei occhi un senso che solo la storia toccante di Isabel poteva svelare.
Per me, questo libro ha il pregio di narrare e condividere con chi lo leggerà un senso nascosto sull’appartenenza a Secondigliano, un senso che per poter uscire dal quartiere ha bisogno di farsi racconto. Racconto e non romanzo perché non può fare a meno, per ora, di ricorrere a una molteplicità aneddotica così varia da doversi spezzettare in tante storie con altrettanti personaggi e prospettive narranti, pur mantenendo una coesione emotiva che finisce per restituire ai 18 racconti del libro anche una coerenza stilistica, filosofica e letteraria.
Zio Enzo ha scritto un gran bel libro proprio perché, oltre alla godibilità degli episodi raccontati (zia Assunta e la sua rivincita vedovile, la moltiplicazione delle mani di Damiano, l’ironia che pervade anche i momenti e i rapporti familiari più drammatici, e che forse è uno dei tratti distintivi più peculiari dell’essere napoletani in generale e di Secondigliano in particolare), è riuscito a trasmettere questo senso nascosto che tonnellate di report, fiction, film e canzoni su Secondigliano sembrano lasciare di lato. Un senso di comunità, di orgoglio umile anche se apparentemente un po’ spaccone, un senso che affonda le sue radici nell’appartenenza familiare a un territorio reale che però è anche territorio dell’anima, e che per tanto non evapora né traslocando, né emigrando, né morendo. Un senso che non segue le logiche borghesi di razionalità e utilitarismo, o l’imperativo salvifico del riscatto self-made. La logica che pervade questa idea di Secondigliano è legata a una collettività che prende forma a partire dalla convivenza tra le persone, più che da un’idea di patriottismo astratto. È per questo che l’oralità ha un ruolo così importante in questa narrazione, perché è il solo modo capace di rendere la versatilità di un universo in cui i valori di convivenza, del vivere insieme, li costruiscono le persone, con le loro azioni, con le loro parole, con regole non scritte, mutevoli, flessibili, tramandabili ma non imposte.
Per questo credo che zio Enzo abbia scritto un gran bel libro, forse la sua prima, vera opera letteraria. Quando mi affidava la revisione dei suoi lavori precedenti, gli facevo sempre la stessa critica: troppo didattici, gli aneddoti li usi al servizio di una tua idea, si nota troppo la tua mano e la tua voce dietro a quello che fai dire a un personaggio. Non so se fossi in torto o in errore, di sicuro lui era alla ricerca di un suo stile personale che potesse rivendicare l’elaborazione di un pensiero filosofico e sociologico a partire da storie di vita vissuta. So, però, che in “Secondigliano”, più che in tutti gli altri suoi lavori precedenti, sembra esserci riuscito. È riuscito a mettersi un po’ in disparte (solo un po’, che la “capa tanta”, come ho detto, viene accompagnata da un corpaccione piuttosto ingombrante e da un vocione possente) e a lasciar parlare i personaggi, che sono un po’ lui, un po’ suo padre e sua madre, un po’ i suoi fratelli e sorella, un po’ gli amici, i vicini, le zie, i cugini, i figli e le nipoti. E a lasciare che siano loro a formare questo senso nascosto, accompagnando lettrici e lettori a scoprirlo, senza troppi suggerimenti, permettendo a ognuno di noi di sviluppare una sua lettura personale e costruttiva.
Questo, secondo me, è quello che fa di un oggetto libro un’opera di letteratura. Di quella bella. Di quella che ti scava dentro alle certezze e ti propone un viaggio in un altrove in cui scoprire qualcosa di nuovo.

Fabio Pisano
Caro Prof., ho letto i tuoi racconti con grande commozione e fiducia; e ti ringrazio. Con sincerità.
Ho vissuto una Secondigliano che non ho mai conosciuto, se non nei racconti di mio nonno, Costantino, portiere di palazzo e memoria di ciò che ancora porto con me.
Con te ho fatto un tuffo lì, da quelle parti della mia emotività che la vita ha deciso di portar via troppo presto, ma in fondo, per morire non c’è mai un tempo.
Ho amato particolarmente il concorso di Isabel, perché devi sapere che una fetta importante della mia famiglia, gli zii di mio papà, fratelli proprio di Costantino, è emigrata in Argentina; li ho ritrovati solo nel 2019, proprio da quelle parti, con una gioia smodata e senza precedenti.
Proprio perché non voglio mancare niente, devo dirti che m’è mancata un po’ la “lingua”, nel senso, i tuoi personaggi parlavano troppo forbito, senza soluzione di continuità col racconto; ecco, secondo me potevano avere una loro lingua, magari più sporca, più popolare, ma è solo una stupidata, la mia, figurati.
Grazie di cuore, con sincerità e affetto.

Nicole Zuccheri
È proprio bello questo libro, mi piace molto. Ieri sera mentre leggevo un racconto mia nonna mi ha chiamato e mi ha detto “vieni a mangiare Nicole, la carne è pronta” e io ho risposta “aspetta nonna, devo finire questo racocnto, mi mancano due o tre pagine, è troppo divertente.”

Osvaldo Cammarota
Secondigliano di Vincenzo Moretti ci restituisce un territorio più autentico e denso di come viene troppo spesso rappresentato. Onore, dignità, creatività, amore, culture e prassi di #lavorobenfatto sono i tratti distintivi delle persone raccontate. Territori e Persone formano il Paesaggio, l’uno dà identità all’altro e viceversa.
Penso che bisogna continuare a ricercare per continuare a capire dove si è smarrita la capacità di promuovere il meglio della nostra gente e dei nostri territori.

Maria Rosaria Di Mauro
Il libro di Vincenzo è, a mio parere, una raccolta di gouches, con la particolarità di un tratto sfumato ma allo stesso tempo nitido ed i colori a tratti intensi ed in altri momenti sfumati. Leggere il libro è stato come entrare in una serie magnifici quadri di diverse dimensioni.

Gianni Tomo
Il nuovo libro di Vincenzo Moretti: una intrigante narrazione che parte da tante vicende umane circoscritte nel vissuto e nelle emozioni di un “luogo”, Secondigliano. Vicende nelle quali spesso lo ritroviamo, narrazione che poi, immediatamente, diventa una raccolta di storie sul “come eravamo” che, in quei tempi e contesti sociali, ha caratterizzato tante altre analoghe realtà, per poi svoltare in riflessioni sulle ampie logiche che spesso caratterizzano il legame che indissolubilmente si viene a creare tra le persone, ma anche con i luoghi del “cuore”: per nascita o per scelta.
Ed, in tal senso il testo si potrebbe quindi definire “un viaggio nei ricordi e nelle emozioni che parte da Secondigliano per poi arrivare, oggi, a Cip”.
È un libro al quale, per le tante riflessioni che l’articolazione suggerisce, riservare tempo “dedicato”. Una raccolta di racconti nei quali in tanti potranno ritrovarsi: nelle storie, nelle emozioni, o anche, semplicemente, nella comprensione di tante realtà che, solo grazie ad un attento e coinvolto sociologo come Vincenzo, trovano, in questa raccolta, adeguata “voce” sul passato, con forti significati sociali per l’attuale e le future generazioni.

Marcella Carnevale
Secondigliano è arrivato anche me! Mi ha raggiunto trasportato da un pulmino rosso che ha percorso le disastrate strade tra le mie montagne, ma poi è arrivato! Me ne aveva parlato già il nostro amico comune e devo dire che, dalle prime pagine, ho respirato subito quell’aria di paese, in uno dei quali, sperduto in Appennino, tanto anni fa, ho deciso di tornare! Quei posti che ti accolgono con le loro storie che, quelle si, non travalicano i monti ma rimangono chiuse in quei “piccoli mondi antichi” e tramandate perché,, stranamente, questo, nei paesi, ancora accade! Però c’è qualcuno come te, Vincenzo Moretti, che quelle storie le acchiappa e le imprigiona nelle pagine di un libro e poi diventano di tutti!

Maggiorino Guida
Ci siamo conosciuti all’Università. “Prufessò, ma nel nuovo libro che è uscito avete parlato del Perrone?” Bussa il corriere e tocco con mano. Per indole mi affascinano i mercati rionali, le strade più commerciali e “sanguigne” di una città. Quel formicaio della vita che è “Secondigliano” più delle cartoline di Posillipo per capirci.
Il Professore è andato oltre. Ha dedicato un capitolo ai “magliari”. I maestri dell’accatte e vinne della Napoli dell’immediato dopoguerra, quella di Curzio Malaparte. Adam Smith, padre dell’Economia Politica, riteneva il “barattare” una caratteristica fondamentale, specie-specifica degli esseri umani. Tant’è che c’è chi fra i “magliari” è arrivato ai salotti buoni dell’industria e della finanza. Eh sì. Dalla scaltrezza innata del mestiere ai clichè dell’alta società. È sempre farina di Adam Smith: così, amici miei, sarebbe nato ciò che al giorno d’oggi chiamiamo “capitalismo”.
Davvero un bel libro Prufessò. Non ho più la pazienza e l’attenzione per lunghe trame articolate. “Secondigliano” lo apri caso e sei immediatamente dentro la trama di diciotto piccoli racconti. Il formato poi, comodo e “maniariello”, da portarmi appresso nello zainetto senza gravarne il peso! Un #lavorobenfatto overamènte Vincenzo Moretti!

Matteo Bellegoni
Forse non c’era luogo migliore per finire di leggere il tuo libro, lontano anni luce da te, quasi in un mondo parallelo qui in Valle D’Aosta, eppure, rubando le parole a Cenzino, questo lago potrebbe essere tutti laghi del mondo, e magari nemmeno solo un lago, ma un portale per sentire i miei pensieri vicino ai tuoi. Un po’ di realismo magico è forse la cosa mi avvicina di più a te e io così l’ho sentita Secondigliano, una Macondo piena di magia, di favole, di personaggi che riaffioravano dai tuoi racconti in Fondazione e poi mutavano forma, nome e persino il finale delle storie, come quella di Cosimo, in cui, con un colpo di scena degno un fiabesco mago, hai saputo ribaltare il destino e forse un poco divertirti a giocare a fare dio, come solo uno scrittore può permettersi di fare. Scovarti poi in tutti i personaggi dietro cui ti sei nascosto nel libro è stato un piacere tutto mio, ma questa è un’altra storia.
Che dire, grazie per avermi portato a Secondigliano, la nostra Macondo se posso permettermi di definirla tale. Ti voglio bene, in questo momento se possibile anche di più.

Michele Somma
Quanta umanità è racchiusa in questo libro di Vincenzo Moretti. Quella vera, spontanea, quella nostalgica dei bei tempi andati. Di quando l’umiltà e la fatica erano valori imprescindibili all’interno di una comunità. Questo libro è il suo modo di restituire ciò che questo quartiere gli ha dato e rappresenta un punto di partenza per costruire basi solide per il futuro. Perché si sa, non si va da nessuna parte se non si conoscono le proprie radici.
È vero, a lui mi lega un rapporto di stima e affetto, però da Secondiglianese devo ringraziarlo per questo piccolo e immenso dono: un viaggio nella Secondigliano che non ho mai conosciuto.
“Secondigliano è un tatuaggio. Si attacca alla pelle e all’anima e non si toglie più.”

Tonino Parola
Caro Vincenzo ho appena finito di leggere il tuo libro Secondigliano. Quante emozioni, quanti ricordi, alcune storie le ho rilette anche più volte. La foto in copertina è bellissima, spero che siano in tanti a leggerlo. Io, come dici tu, il passaparola lo farò, eccome se lo farò.

Celeste Pinto
Un luogo che lascia il segno, un ‘tatuaggio’ nell’anima, come lo definisce Vincenzo. Un inchiostro composto da un insieme di elementi, apparentemente quasi immiscibili, ma che una volta iniettati nella pelle prendono voce e vita, in una melodia che suona di casa, radici, di storia, e a ben vedere anche di futuro.
Così lo scorrere delle storie, che non vanno a caccia di alcun virtuosismo lessicale, né di linguaggio troppo forbito, scivola senza difficoltà, senza infliggere al lettore alcuna sensazione di pesantezza o noia. In questo senso è di grande supporto la struttura stessa del testo: avere di fronte una serie di brevi racconti, che non necessariamente vanno letti in maniera lineare, lascia margine di scelta al lettore (anche giovane), che ha poca voglia di immergersi in lunghe narrazioni e desidera rapidamente arrivare al dunque. Così è possibile decidere come proseguire la rotta del proprio viaggio tra le pagine.
Sono 18 racconti che potrebbero corrispondere a cotanti incontri e storie narrate da uno zio, un nonno, uno caro amico di famiglia. La mia definizione di questo ipotetico narratore non ha che fare con il registro o la cifra stilistica del testo, bensì con quella capacità, tipica di individui con una certa esperienza, talvolta acquisita con l’età, di recuperare anche nelle storie di persone comuni – i veri eroi del nostro tempo – una riflessione, un insegnamento, uno spunto critico. Qualcosa da ‘tatuarsi’, portarsi dietro nella vita facendone tesoro.
Così, a suo modo, Secondigliano consente fare un viaggio nel tempo passato. Un passato prossimo non così lontano, trattandosi solo di pochi decenni addietro, ma che restituisce in maniera più che realistica l’immagine di contesti, luoghi, personaggi, mestieri, stili di vita che ad osservarli oggi, con la lente ‘filtro 2025’, sembrano appartenere quasi alla preistoria. Forse ci sarebbe da riflettere proprio su questo, e sarebbe bello se a farlo fossero i più giovani. Loro, spinti a correre in un tempo, che qualcun altro ha deciso di far andare alla velocità della luce, e che li costringe a guardare quasi mai indietro; a non perdere tempo né per voltarsi altrove, né tanto meno per rallentare per tentare di comprendere da dove si viene e in che direzione si sta andando.
Tra i miei racconti preferiti: 1. Via Fossa del Lupo: per la costruzione del testo, per i personaggi, le descrizioni; 2. Le mani di Damiano: per le risate; 3. Casa Russo: perché è un pezzo di vita vera, ti ci ritrovi dentro (grazie ai tanti discorsi diretti, ben fatti).

Irene Costantini
Finalmente, oggi, ho completato la lettura del tuo ultimo libro, Secondigliano. Avremo modo di parlarne, in videochiamata o di persona, ma intanto vorrei raccontarti i miei primi pensieri. Alla fine del libro sono rimasta con quella sorta di retrogusto di dispiacere al quale ho accennato anche nella recensione che ho scritto su Amazon, privata di quegli amici che mi hanno fatto tanta compagnia in questo caldo mese di agosto. Aspettavo il libro con tanta curiosità perché ne abbiamo parlato tanto, era un tuo grande desiderio quello di concluderlo entro il tuo compleanno importante, (quello dei 70, che sta per arrivare) e ci sei riuscito, e al quale hai dedicato tanto, di energia, tempo, amore. Insomma, tanto di tutto. Che dire, mi è piaciuto tantissimo. Tanto interessante nella storia e nell’intrecciarsi delle storie dei personaggi, accessibile anche a chi non conosce Secondigliano, coinvolgente con dialoghi anche di respiro teatrale, alcune volte. C’è una cosa che mi è piaciuta molto, il tono e il modo che hai usato per presentare le figure femminili; pur nella varietà dei contesti e dei ruoli, in qualche maniera le donne sono sempre persone libere e autonome nelle scelte, rispettate nella loro individualità. A pensarci bene, potrebbe essere interessante un’analisi più approfondita delle figure femminili presenti nel libro.Il racconto preferito, senza esitazione, Casa Russo; ci ho trovato risposte a domande mie, riflessioni per affrontare situazioni, vicende condivise di vita quotidiana. E la voce narrante, Eduardo? Mi piace pensare che sia l’Eduardo chepenso io.Secondigliano è una raccolta di racconti, un bel libro di narrativa, con una particolarità che lo rende ancora più prezioso, perché forte è sempre la connessione con il lavoro ben fatto, quell’approccio al mondo che ci piace e dal quale non possiamo prescindere.

Alberto Buffone
Ho trovato molto toccante come hai dato vita ai tuoi racconti, l’apertura con la descrizione dell’appartenenza è un qualcosa di coinvolgente, un qualcosa che non ti levi di dosso, sia che sei di Secondigliano che di qualsiasi altra parte del mondo. Sono le nostre origini.

Rosanna Salamone
Le serate quelle belle che fanno bene all’anima. Grazie Jepis Bottega e un grazie speciale a te Vincenzo. Consiglio il tuo libro, un libro di racconti bellissimi, pieno di umanità.

Nunzia Moretti
Io ho un vissuto a Secondigliano, per età e per formazione personale, diverso dal tuo. Ma lo ricordo come un paesone, almeno la parte che andava dal rione Berlinguer a via del Cassano. Conoscevo tante persone in quel percorso. C’era la mia scuola elementare, le medie e c’era il cinema Ariston dove papà mi portava spesso da piccola, il salumiere all’angolo Don Gaetano che mi faceva il panino con la Nutella la mattina quando andavo alle elementari da sola e che poi mamma passava a pagare. C’erano le “muntagnelle” alle spalle della pasticceria dove acquistavamo il latte fresco la mattina ,dove andavo a giocare il pomeriggio mentre mamma su una seggiolina raccoglieva cicoria, la terra di Chiarina, che attraversavo di corsa quando facevo un po’ più tardi la mattina per andare a scuola perché era una scorciatoia. Credo di aver scoperto una Secondigliano più “cattiva” solo verso i 18/19 anni che comunque non la rappresenta se non in parte come tu stesso dici nell’intervista su Youtube. Magari un giorno scriverò anche io un libro su Secondigliano per raccontare quella che io porto dentro di me. Titolo: La bella Secondigliano: quello che non vogliono che si sappia.

Nicola Lettieri
Finalmente, approfittando della pausa estiva, sono riuscito a finire di leggere il libro di Vincenzo Moretti “Secondigliano“. Ne approfitto per condividere alcune riflessioni. Innanzitutto vorrei sottolineare che non si tratta semplicemente di una raccolta di episodi romanzati o di ricordi personali messi su carta. È molto di più. Vincenzo ha costruito un affresco umano che riesce a essere allo stesso tempo intimo e corale, radicato in un luogo preciso ma capace di parlare a chiunque. Il suo modo di raccontare Secondigliano – non solo come quartiere, ma come mondo interiore, come “luogo dell’anima” – mi ha profondamente colpito. In ogni pagina si percepisce l’autenticità del vissuto, la forza della memoria, ma anche una grande libertà narrativa. Partendo da elementi reali, da esperienze che hanno segnato la sua giovinezza, l’autore è riuscito a trasformarle, con naturalezza, in storie che oscillano tra il malinconico, l’ironico e il surreale. Leggendo ho riso, mi sono commosso, ho riflettuto. Alcuni passaggi mi hanno fatto tornare in mente momenti miei, di quando si cresceva tra strade piene di vita e contraddizioni, dove bastava un angolo di marciapiede, una voce forte o una porta socchiusa per accendere la fantasia e l’avventura. In definitiva, Secondigliano è un libro vero. Un libro che nasce dal cuore e arriva all’anima, senza artifici, senza pose, ma con una voce che si fa sentire, che resta nella memoria anche dopo l’ultima pagina. Sono felice che tu abbia scritto questo libro, Vincè. E sono certo che chiunque lo leggerà non potrà restare indifferente. Ti faccio i miei più sinceri complimenti, non solo come lettore, ma anche come amico.

Maria D’Ambrosio
I racconti che ti regalano umanità. Grazie Vincenzo Moretti!

Silva Giromini
Caro Vincenzo, dopo aver letto il tuo libro in modo ordinato, ora è tempo di rileggere qualche racconto singolarmente.
Stasera prima di dormire ho riletto il racconto che mi è piaciuto tanto: “Il sogno di Mariella”.
Ribadisco ora che è proprio bello: c’è dentro tutto quello che può capitare in una vita. Non so però se siamo tempo, come scrivi in quel passaggio (che però è di una poesia incredibile!).
Io credo che siamo fatti d’amore, quantomeno perché siamo nati per amore. E se abbiamo la fortuna di vivere in una famiglia dove l’amore è il rispetto sono di casa, allora ci sarà terreno fertile per coltivare dei sogni e, magari, poi, trovare tempi e modi per realizzarli. Tornando al tempo, è una risorsa immateriale molto importante: purtroppo non possiamo ricrearlo, dobbiamo usarlo al meglio. Penso ai tanti ragazzini che ho accompagnato in tanti anni di catechismo. Ai miei nipoti, ormai cresciuti: mi auguro di essere stata per loro una guida e un esempio, o meglio, una testimone di una vita vissuta bene, nonostante le mille difficoltà che ho incontrato. Grazie per i tuoi racconti. Al prossimo!

Lorenzo Peluso
Secondigliano“. Leggo con passione e voracità. Leggo il nuovo libro del prezioso amico Vincenzo Moretti. Riconosco in Zio Ettore il mio papà. Si, anche lui con i suoi difetti, ma certamente come Zio Ettore, fissato per la scuola. “Sturia .. sturia. A’ sturià!” così mi ripeteva. Come Zio Ettore, lavorava il doppio per permettere a me di studiare. Il destino, segnato. La mattina a scuola. Il pomeriggio a lavorare; a d’à Masto Rimetrio, l’elettricista. Qualche anno più tardi, a d’à cumba Pascale. La sera, comunque a fare i compiti, come meglio si poteva. Secondigliano, questo il titolo del libro di Vincenzo Moretti. Lo dovete leggere. Dovete, è un obbligo per tutti coloro che vogliono capire veramente cos’è la vita. Grazie Vincenzo per questo magnifico dono.

Salvatore Testa
Sto leggendo un libro, scritto da un narratore sociologo, Vincenzo Moretti, che posso considerare un amico, anche se ci saremo incontrati poche volte e per pochi minuti. Il libro, una raccolta di racconti ambientati nel quartiere dove vivo da oltre mezzo secolo, “Secondigliano“, che da’ il titolo al testo, mi ha fatto respirare l’aria e le atmosfere di una volta, facendomi rivedere volti, voci e situazioni di un tempo passato, quando le cose scorrevano in modo più semplice e gli affetti erano diversi ma piu genuini. Ho ritrovato le corse serali per raggiungere un bus che ci avrebbe portati a casa, ora correndo veloce perché il conducente doveva smontare ora caracollando per far passare il tempo, e le diatribe che si accendeva anche più volte tra due o più passeggeri, infervorati dalla stanchezza o dalla voglia di tornare presto a casa. Ho ritrovato tra le pagine le regole all’interno della famiglia, fosse altolocata o di proletari, e il rispetto per le persone, il capo della famiglia e la moglie, vera amministratrice della casa, senza mai intaccare la dignità del coniuge. E scorrendo le righe ho ritrovato la serenità del pranzo serale, tutti raccolti attorno al tavolo per mangiare quello che c’era da mangiare, il sapore del pane raffermo nel latte la mattina, appena colorito da un goccio di caffè, ma il più delle volte dell’orzo, e del pancotto, ancora pane raffermo cotto nell’acqua con appena un filo d’olio. E che dire della bontà, per chi non aveva nulla, dei “pasti finti” nei quali non c’era mai la carne perché i magri guadagni non consentivano di comprarla. E allora la brava massaia si dava da fare con erbe e ortaggi e metteva in tavola ora un succulento “brodo finto” o un “finto ragu'” per non parlare della “finta genivese”. Che dire, non posso che ringraziare Vincenzo per averci restituito delle belle emozioni nei racconti del nostro territorio. Il suo libro è stato veramente per me una macchina del tempo.

Vincenzo Strino
Il prof. Vincenzo Moretti è stato tra coloro che hanno creato il terreno affinché venisse fondato il Larsec ben 11 anni fa. In questi anni la sua presenza a Secondigliano è stata una costante, sia per i libri presentati qui che per La Notte del Lavoro Narrato, e di questo gli sarò sempre grato. Adesso ha scritto un libro che è anche un gesto d’amore verso il nostro quartiere: “Secondigliano. Altri racconti” una raccolta di storie, ricordi e visioni che restituiscono umanità, bellezza e memoria a un territorio troppo spesso raccontato solo per ciò che non va. Un libro che è già nostro, perché parla di noi. E che io non vedo l’ora di presentare con lui questo autunno.

Mauro Marotta
Da ieri ho iniziato la lettura del nuovo libro di Vincenzo Moretti “Secondigliano“. Ho conosciuto l’autore qualche anno fa, ad un evento che tenne a San Pietro a Patierno e siamo rimasti in contatto con quell’incredibile finestra che, se ben utilizzati, sanno essere i social. Ho iniziato il libro dalla fine, in verità, perché è il racconto di una giornata importante, per me. Il giorno in cui le ragazze ed i ragazzi vincitori del Premio Romanò sono stati a Caselle in Pittari ed hanno piantato l’albero di Attilio. E, se questo è stato possibile, è stato proprio grazie ad Enzo che, senza saperlo, è stato il ponte tra la “sua Secondigliano” e Caselle in Pittari. Perché puoi anche andar via da questi luoghi che, in tanti, ancora continuiamo a vivere, ma dentro ti restano. Perché Secondigliano (così come Miano e San Pietro a Patierno…), come dice Vincenzo Moretti, è un tatuaggio. Si attacca alla pelle e non si toglie più. Naturalmente, l’impegno, è di presentarlo a Secondigliano, il libro e l’autore!

Guerino Citro
Puoi togliere il ragazzo da Secondigliano, ma non Secondigliano dal ragazzo.

Nunzia Moretti
Mio fratello Vincenzo ha scritto vari libri ma, pur non avendolo ancora letto, penso che questo sia quello più intimo e personale. Vi farò sapere alla fine della lettura se la mia intuizione è giusta.

Cinzia Massa
Ne abbiamo parlato tanto, ci abbiamo riso e qualche volta pianto, quando negli anni mi raccontavi della tua Secondigliano. L’hai sempre difesa e ti sei sempre sentito orgogliosamente di questa parte di città, spesso dai più dimenticata. Perché Secondigliano è per te, come scrivi un tatuaggio. Ed ora è tra le mie mani il libro della tua vita, dove tutto ha avuto inizio.

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Le prime righe di ogni racconto lette da me. I lavori sono in corso, piano piano arrivano tutte.