PROLOGO | VINCENZO
Caro Diario, lei è Francesca Aiello, 44 anni, lui Pasqualino Vallone, Pasqualino all’anagrafe, anni 49. Insieme sono moglie e marito e titolari dell’Osteria dei Compari a Morigerati, nel Cilento.
Io all’l’Osteria, c’ero stato in un’altro tempo, mio e loro, dopo di che ci siamo ritrovati nel gruppo di lettura creato da Giuseppe, te lo sto raccontando qui, con me che ero sintonizzato su “io Francesca e Pasqualino li conosco ma non mi ricordo dove ci siamo visti.”
La svolta lunedì 23 giugno, il mese precedente su proposta di Giuseppe nel gruppo di lettura abbiamo deciso che per l’estate ci spostiamo da Jepis Bottega, la destinazione scelta è proprio l’Osteria dei Compari ed è lì che la mia voce di dentro mi dice che Francesca e Pasqualino li devo raccontare.
Sono tornato all’Osteria giusto una settimana dopo, e dato che non mi piace raccontare due persone insieme ho proposto a Francesca e Pasqualino di scrivere su un foglietto le 5 parole con le quali volevano raccontarsi. Quello che è avvenuto dopo lo puoi leggere di seguito.
AMORE | FRANCESCA
Vincenzo
La prima parola è amore e l’hai scelta tu Francesca. Perché?
Francesca
Perché amore è la parola che mi rappresenta di più, perché in tutto quello che faccio metto amore. Perché senza amore io non parto proprio, non so me dire. Per me amore è quando mi alzo la mattina e mi dedico agli animali. Amore è quando vengo giù e mi dedico all’osteria. Amore è Pasqualino che mi fa il caffè la mattina e me lo porta a letto.
Nella mia giornata, nel mio essere, nella mia vita tutto ruota intorno all’amore, completamente, a 360 gradi.
Io le cose non le faccio proprio senza amore, anche perché se le facessi si vedrebbe subito, sarebbe palese.
Vale pure nel rapporto con le persone, non sono capace di essere finta, per cui se non ci metto amore, o comunque affetto, amicizia o quello che è, non c’è niente. Non ci sono io senza amore.
Amore nel lavoro, amore in ogni cosa che faccio, da quelle più semplici a quelle più difficili.
Vincenzo
Fammi un esempio di amore nel lavoro.
Francesca
Quando faccio i dolci. Il cibo è il mio linguaggio dell’amore. Anche se sono un poco uscita dalla cucina, prima mi dedicavo un po’ di più, l’ho fatto quando mi sono accorta che era diventata la dimensione di Pasqualino, però continuo a essere io a fare i dolci qui all’osteria. Tra quelli che faccio ce n’è uno a cui sono legata in modo particolare, è un mio ricordo di quando ero bambina, era una merenda che mi faceva la nonna, e quindi per me è una cosa proprio speciale. L’abbiamo in menù dall’anno scorso, lo trovi sempre, è il bicchierino della nonna, e per la verità è anche semplice da fare. È una base di crema pasticcera che faccio alla vaniglia o al limone a seconda di quello che ho a disposizione nel fine settimana, dopo di che aggiungo savoiardo e caffè caldo. Lo compongo al momento, come se fosse un tiramisù, e lo servo in delle vecchie coppe che erano dei miei genitori che purtroppo non ci sono più. Ecco, per me quando lo porto a tavola è proprio come dire vi sto portando, sto condividendo con voi, un pezzettino di me. Direi che questo esempio è una traduzione fedele di quello che per me significa avere amore nella cucina, nella preparazione dei dolci, nel mio lavoro.
Vincenzo
E invece un esempio di amore per Pasqualino? Anche in questo caso una cosa pratica, concreta.
Francesca
Direi il fatto che lo proteggo, anche quando non se ne rende conto e pensa di fare il contrario. Il fatto è che lui è molto ma molto più sensibile di me su determinate cose, e per certi versi anche più insicuro.
Vincenzo
E quindi lo proteggi da che cosa?
Francesca
Bella domanda. Dal mondo esterno, dalle cattiverie che arrivano da fuori. Diciamo che faccio un po’ da schermo, su certe cose ho le spalle più larghe delle sue e lui lo sa, penso che se ne accorge.
CALMA | PASQUALINO
Vincenzo
Veniamo a te, Pasqualino. Perché hai scelto la parola calma per raccontarti?
Pasqualino
Perché è quello che provo quando sto in cucina da solo. Non dico durante il servizio, quando lavoriamo, ma quando sto in cucina da solo a preparare la linea, o quando penso a qualche piatto e mi metto a farlo, innanzitutto per Francesca, che è la prima che testa i miei piatti. Se non c’è la sua approvazione, il piatto non esce, è lei il giudice primo e ultimo di tutto quello che io cucino qua. Il suo giudizio per me è importante, molto importante, è quello principale, quello fondamentale.
Tornando alla calma, chiudermi in cucina, magari con della musica di sottofondo o con un audiolibro, ogni tanto lo faccio, mi rilassa, mi dà calma, mi permette di chiudermi in una bolla dove sono soltanto io.
Una bolla dove non ci sono pensieri, non ci sono preoccupazioni, non ci sono problemi, non c’è niente. Ci sono solo io e il cibo, quindi una cosa bella che penso, che trasformo e che faccio, che poi alla fine fa felice qualcuno. Come ti ho detto deve far felice in primis Francesca e poi gli ospiti che scelgono quel determinato piatto. Capita spesso che chi sceglie i piatti che considero i miei migliori, è felice.
Ecco, questa bolla che mi creo quando sto da solo in cucina per me è la calma perfetta.
Vincenzo
Ti capisco. La tua calma quando stai in cucina da solo la provo anche io quando leggo o, ancora di più, quando scrivo. E quando riesco a scrivere qualche riga che mi piace veramente il primo a essere felice sono io. Detto questo, mi fai un esempio di calma fuori dal lavoro, fuori dalla cucina?
Pasqualino
Negli ultimi tempi, quando vado a correre. Anche in questo caso penso che sia perché mi isolo, sto da solo, con la musica nelle orecchie, insomma non penso e così riesco a scollegare il cervello dalle preoccupazioni.
Vincenzo
Mi fai qualche esempio di preoccupazione che non ti fa stare calmo?
Pasqualino
I soldi. E lo stress esterno al lavoro, quello che mi viene dalla miriade di norme burocratiche e legali, leggi e leggine che complicano ogni giorno di più il nostro lavoro. Sono queste le mie preoccupazioni principali, dal punto di vista familiare invece mi ritengo fortunato, sto nella mia bella bolla, diciamo così, nel senso che sto bene.
CASO | PASQUALINO
Vincenzo
Tocca ancora a te Pasqualino, la tua seconda parola è caso, che nella mia vita e nel mio lavoro di ricerca fa venire in mente la serendipity, le cose che accadono per genio e per caso. Ma torniamo a te, perché hai scelto “caso”, perché questa parola è così importante per te.
Pasqualino
Perché il caso è legato a tutte le scelte importanti che ho fatto e gli avvenimenti importanti che sono accaduti nella mia vita, sia in ambito lavorativo che personale.
Per esempio, io alla fine delle scuole medie, al momento di decidere cosa vuoi fare da grande, volevo fare la scuola alberghiera, ma i miei, principalmente mio nonno, non vollero. Mi dicevano “che fai, studi per andare a fare il cameriere?” e così presi tutta un’altra strada e sono diventato ragioniere. Il caso però ha voluto che, appena diplomato, il mio primo lavoro sia stato fare insalate in una pizzeria in Germania, dove ero emigrato. Per tante ragioni ho resistito poco, perché non mi piaceva l’ambiente, non mi piaceva la mia condizione di emigrato, forse non mi piaceva neanche la Germania e così sono rientrato, però continuando a lavorare in questo settore. Prima un bar, poi un ristorante, fino a che, sempre per caso, i miei genitori aprirono un circolo privato come pizzeria qui a Morigerati e così sono rimasto in questo settore.
Vincenzo
Quindi tu pensi al caso come a ciò che ti porta verso il tuo desiderio?
Pasqualino
No, per è me il caso è quello che mi porta verso il mio destino.
Il caso ha a che fare anche con Francesca, con il modo in cui l’ho conosciuta, su un social, con la classica richiesta di amicizia dopo aver visto una sua foto. Dopo che Francesca ha accettato la mia richiesta ci siamo, diciamo così, conosciuti, abbiamo chiacchierato una notte intera, ci siamo incontrati 15 giorni dopo e stiamo insieme da allora. Era il 2012.
Ci siamo conosciuti a ottobre 2012, abbiamo iniziato a convivere a giugno 2013 e ci siamo sposati a maggio 2014, Per restare in tema si potrebbe dire cotto e mangiato. Senza pensare ai pro e ai contro. Tutto per caso.
Vincenzo
Tu lo chiami caso, io continuerei a mettere l’accento sulla serendipity, che nella ricerca scientifica è il processo che porta una mente preparata a partire dall’osservazione di un dato anomalo, imprevisto e strategico per sviluppare una nuova teoria o ampliare una teoria già esistente. È un processo che in un mio articolo ho definito “per genio e per caso”, quello che porta Flaming a partire dalla muffa e arrivare alla penicillina e Watson e Crick a partire dall’osservazione di un tecnico e arrivare alla doppia elica del DNA, solo per fare due esempi.
Nel tuo caso direi che con la parola “caso” tu trascuri troppo la tua parte attiva nel processo. Per esempio il fatto che decidi che la condizione di emigrante non ti piace ha una sua incidenza nei fatti che accadono dopo, e lo stesso mi viene da dire per la decisione di chiedere l’amicizia su un social a Francesca, ma la sto facendo troppo lunga, è meglio che torniamo a noi, la quarta parola è “cibo”, e ci riporta a Francesca.
CIBO | FRANCESCA
Francesca
Alla parola “cibo” comincio dal fatto che nel 2021 ho fatto l’operazione di riduzione dello stomaco. E aggiungo che per quanto mi riguarda noi che abbiamo avuto la sorte di nascere nella parte di mondo in cui il cibo non manca non dovremmo limitarci a farne una questione di banale nutrimento.
Mi sono operata perché avevo una serie di problemi, ma insieme ho fatto questa scelta perché mi sono resa conto che siamo come dominati dal superfluo: cibo superfluo, persone superflue, cose superflue, insomma una vita piena di superfluo.
Ecco, direi che la sleeve gastrectomy, così si chiama questa operazione, mi ha aiutato a rendermi conto che la resezione non la dovevo fare solo sul cibo, ma su tutta la mia vita, a 360 gradi, e così ho fatto, liberandomi anche di persone e cose che erano di troppo. È stato il primo passo, quello successivo mi ha fatto rendere conto che, come ti dicevo, il cibo non è solo un nutrimento, un modo per riempirci la pancia o per sfogare le nostre frustrazioni, ma è anche, soprattutto, un’esperienza, a partire dalla quale ho iniziato a costruire un mio racconto personale. Il discorso non vale solo per i nostri ospiti, vale anche semplicemente per me. L’operazione è innanzitutto questo che doveva rappresentare e sono contenta di esserci riuscita. Oggi sono molto più attenta a tantissime cose, a partire da quello che mangio io per prima.
Direi che l’intervento a cui mi sono sottoposta nel 2021 ha cambiato in maniera profonda e positiva il mio concetto personale di sostenibilità, un concetto che poi ovviamente ho cercato di trasmettere a Pasqualino e al lavoro che facciamo con l’osteria.
Vincenzo io sono capace di prepararmi un piatto di spaghetti con le vongole, se vado a mangiare fuori non è per questo, ma per vivere un’esperienza.
Vincenzo
Fermati un attimo, io con questa parola “esperienza” non sempre vado d’accordo, in particolare quando è associata al cibo. La trovo una parola abusata …
Francesca
… come resilienza.
Vincenzo
Esatto, una parola che in sé mi dice poco o niente. Fammi qualche esempio.
Francesca
Va bene, torniamo al piatto di spaghetti con le vongole. Posso vivere un’esperienza se mentre lo mangio mi fa venire in mente mia mamma, o mia nonna, il modo come lo cucinavano. Un esempio di esperienza è questo, il cibo che non nutre solo il corpo ma anche lo spirito.
Vincenzo
Va bene, ma facciamo un altro esempio, per esempio se io vengo a mangiare qui da voi e ordino un piatto di paste e patate, di pasta e piselli, di pasta e ceci, voi come me la fate vivere questa esperienza?
Francesca
Te la facciamo vivere perché nel piatto di pasta e patate che ti portiamo a tavola ci sta il nostro racconto, ci sta la nostra famiglia, ci siamo io e Pasqualino. Il nostro piatto è un racconto, un racconto che siamo felici di condividere quando lo portiamo a tavola e o presentiamo. La nostra pasta e patate è solamente nostra, non la trovi un’altra uguale.
Vincenzo
Ottimo, potremmo passare pure alla parola successiva, ma ho ancora una domanda: c’è stato un periodo in cui tu e Pasqualino stavate insieme in cucina?
Francesca
No. Prima in cucina c’ero io insieme alla mamma di Pasqualino e un’altra signora, Franca, che c’è ancora, mentre mia suocera è in pensione, ci aiuta ancora solo per la pasta di casa. Pasqualino è entrato in cucina da tre anni a questa parte e io sono uscita, mi occupo soltanto della pasticceria, i dolci li faccio io. Per il resto mi occupo della sala, dell’organizzazione, di tutta la parte con gli ospiti, che mi piace un sacco.
DESTINO | PASQUALINO
Vincenzo
Rieccoci a te Pasqualino, la terza parola che hai scritto sul tuo foglietto è “destino”. Che mi dici a questo proposito?
Pasqualino
Quando abbiamo parlato del caso ti ho detto che da ragazzo volevo fare la scuola alberghiera, più avanti il destino ha voluto che aprissi il ristorante. È successo giovedì 13 settembre 2009, le motivazioni che mi hanno spinto sono varie, ma la decisione l’ho presa nell’arco di 35-40 secondi.
Come ho detto è una cosa che volevo fare da ragazzo, ho lavorato in diversi ristoranti, bar, pub. Di norma facevo il pizzaiolo, nasco proprio come pizzaiolo. Il locale è di mia proprietà, ma è il destino che ha voluto che aprissi il ristorante. In qualche modo si è compiuto il mio destino.
Non ti ho detto ancora che sono un amante de I Malavoglia, il romanzo di Verga. Come si capisce da quello che ho detto alla parola “caso” non ho la stessa fissazione o credenza che nulla capita per caso, ma credo molto nel destino, penso che doveva capitare che io quel pomeriggio decidessi di aprire il ristorante con un ragazzo che è diventato mio socio. La società è andata avanti per circa due anni e mezzo, dopo di che ognuno per la sua strada. Dopo di che l’ho preso in mano io, che come ha detto Francesca fino a tre anni fa mi occupavo solo della gestione.
Anche il mio lavoro attuale è figlio del destino, per me la cucina è stata sempre un ambiente sconosciuto. Il mio primo caffè con la macchinetta, la moca, l’ho fatta a casa di Francesca quando l’ho conosciuta. Non sapevo fare un uovo fritto, ero completamente all’oscuro del mestiere. Poi il destino, rieccolo, ha voluto che nel 2019 un mio compare che lavorava come segretario al liceo di Sapri mi dicesse che la scuola alberghiera stava per aprire un corso serale per adulti. È stato così che all’età di 43 anni mi sono rimesso sui libri, sono tornato a scuola e mi sono diplomato di nuovo alla scuola alberghiera. Sì, Vincenzo, mi sono rimesso a studiare e poi, pian piano, ho cominciato a entrare in cucina. Lo ripeto, pian piano, senza insistere troppo; anche perché in cucina, tra virgolette, non servivo.
Vincenzo
Direi che anche qui mi ritrovo fino a un certo punto con te, Pasqualino. Tu chiami “destino” quello che per me, come uomo e come sociologo, è in larga parte frutto delle tue decisioni. In ogni caso alla voce “destino”, daimon, ti consiglio di leggere il meraviglioso libro di James Hillman, “Il codice dell’anima”, penso che ti piacerà parecchio, magari scopri che il percorso che hai fatto era esattamente quello che dovevi fare per realizzare la tua essenza.
EVOLUZIONE | FRANCESCA
Vincenzo
Francesca tocca di nuovo a te. La tua nuova parola è “evoluzione”. Perché l’hai scelta?
Francesca
In primo luogo perché oggi sono diversa da quella che ero ieri e da quella che ero dieci anni fa.
Penso di essermi evoluta su tantissime cose anche grazie alla presenza di Pasqualino nella mia vita. Vedi, io sono una persona molto passionale e anche molto impulsiva, e grazie anche a mio marito ho mitigato abbastanza queste mie caratteristiche. Prendere le cose un po’ troppo di petto, prendere fuoco un po’ troppo facilmente nella vita come nel lavoro non aiuta. Oggi posso dire che sono felice di questo percorso evolutivo che ho fatto, della mia capacità di gestire meglio il mio carattere, penso questa che prima esageravo troppo, su alcune cose non mi riuscivo proprio a contenere. La chiamo evoluzione perché sento proprio di aver fatto dei passi avanti come persona. Vale innanzitutto nel lavoro ma vale anche nella vita, oggi mi relaziono con più empatia agli altri, conto fino a dieci prima di parlare e penso che sia una buona cosa.
Sai, a volte non c’è bisogno di dire una cosa con cattiveria per ferire un’altra persona, che in alcuni casi si può sentire aggredita a prescindere dalle nostre intenzioni. La gentilezza fa molto più bene della rabbia, in questo senso posso dire di essere parecchio migliorata come persona. Bisogna stare bene con sé stessi e stare bene con gli altri, per quanto è possibile.
Vincenzo
Mi fai venire in mente un bellissimo libro di Erich Fromm, L’Arte di Amare. E direi che da qui alla tua prossima parola il passo è breve, l’ordine alfabetico dice che tocca ancora a te, che hai scelto la parola “famiglia”. Ancora una volta, perché?
FAMIGLIA | FRANCESCA
Francesca
Per me quello della famiglia è un tema molto caro. Io e Pasqualino siamo famiglia, e naturalmente anche la mia famiglia e la sua. Mio padre è mancato vent’anni fa, io praticamente ero una ragazzina, mentre mia mamma è mancata quasi tre anni fa e per me è ancora un dolore enorme. I miei genitori li ritrovo ogni giorno in tutto quello che faccio, anche se mi rendo conto che ho passato metà della mia vita cercando il più possibile di non assomigliare a nessuno dei due, come tanti figli li ritenevo due “scassambrelli”, e alla fine ho preso il peggio di uno e il peggio dell’altra e sono venuta fuori io.
È chiaro che non sto dicendo niente di particolarmente strano, parlo di aspetti fisiologici come il gap generazionale, i rapporti genitori figli, di cose presenti in quasi tutte le famiglie. Il fatto è che poi diventi adulta e ti rendi conto che invece tante cose le potevi vivere diversamente, certi passaggi li rivaluti, quello che all’epoca percepivi come severità era invece educazione e finisce che quelle stesse cose che prima non sopportavi adesso ti piacerebbe ritrovarle di più e invece non le ritrovi. Detto questo voglio aggiungere che famiglia sono anche i nostri animali, sono anche i gattini dell’osteria che stanno sempre qua davanti, sono tante ricette che comunque arrivano dalla nostra tradizione, ricette che abbiamo fatte nostre, abbiamo rivisto, abbiamo corretto, abbiamo aggiustate, ma comunque sono quello che siamo.
Famiglia sono anche le persone che lavorano con noi, tutte, perché con i nostri collaboratori cerchiamo di avere rapporti proprio di famiglia. Per fare un esempio io non penso mai a Franca come a un’estranea o una dipendente, per me è un’amica, è una persona con cui parlo e mi confido. E la stessa cosa è Alberto, il nostro pizzaiolo, per me è come un fratello, sono dieci anni che lavoriamo insieme, e la stessa cosa sono i ragazzi che ci aiutano in sala. Su questo punto ci tengo ad aggiungere che il fatto che siamo famiglia non toglie nulla alla relazione lavorativa, ai diritti delle persone che lavorano con noi. Ognuno lavora le ore da contratto, viene pagato da contratto, il concetto di famiglia non impedisce di rispettare il lavoro e chi lavora. Io e Pasqualino lo consideriamo un nostro vanto, tutti hanno busta paga e tutto il resto.
Vincenzo, direi che la famiglia è questo, almeno per me è così. Dopo di che siamo umani, e possiamo sbagliare, tutti, nessuno escluso.
Vincenzo
Sono d’accordo. Il mio amico filosofo Salvatore Veca diceva che siamo umani perché sbagliamo e moriamo. Sbagliare e morire sono le uniche due caratteristiche di cui non possiamo fare a meno se vogliamo definirci umani.
E con questo direi che possiamo passare alla quarta parola di Pasqualino, “insicurezza”. Direi una parola che è tutto un programma. Raccontaci perché l’hai scelta Pasqualino.
INSICUREZZA | PASQUALINO
Pasqualino
Facile, perché mi rappresenta, perché sono insicuro.
Partiamo dal mio aspetto fisico, non mi sono mai piaciuto fisicamente.
Vincenzo
Pasqualino, non vorrei sembrare gnoccoloso, ma io ti trovo bello.
Pasqualino
Anche Francesca me lo dice sempre, per la verità me l’hanno detto molte donne, prima di conoscere Francesca ho avuto un casino di donne, ma questo non toglie che sono molto insicuro.
L’insicurezza è dentro di me Vincenza, l’unica persona che riesce a farmi sentire più sicuro, sia dal punto di vista estetico, sia da quello caratteriale e sia da quello lavorativo, è Francesca.
Te l’ho detto prima, per ogni piatto che creo, lei è la prima e ultima giudice, se non c’è la sua approvazione per me non è un buono piatto. E se non c’è lei quando lavoriamo, io sono insicuro.
Vincenzo
Caro Pasqualino ti guardo, alto, robusto, tatuato, con la barba lunga, e penso che tutto questo è poesia pura. Una poesia fantastica, tenera, unica.
Pasqualino
Lo so Vincenzo, sembro una persona che incute timore, totalmente padrone di sé stesso, ma dentro di me non lo sono. Anche quando qui ci sono delle cerimonie, o prenotazioni di grandi gruppi, se Francesca non mi dice che va tutto bene non sto tranquillo.
Vincenzo
Scusami, ma come è possibile che la stessa persona che ci mette 35 secondi per decidere di aprire un ristorante poi se Francesca non gli dice che un piatto va bene non lo mette nel menù.
Pasqualino
Non lo so com’è possibile, però è vero.
Vincenzo
Non ne dubito, ma non è questo che voglio sapere, ma perché secondo te accade.
Pasqualino
Perché mi serve la sua approvazione, il suo giudizio. Prima mi capitava di pentirmi di una decisione che prendevo, adesso no, se Francesca mi dice va bene non me ne pento. Se c’è la sua approvazione su qualcosa, le cose andranno bene. Teniamo qualche problema, arriva qualche spesa imprevista che mi mette nervoso, se Francesca mi prende la mano e mi dice andrà bene, ne usciamo, si risolve, io mi tranquillizzo.
Francesca
Vincenzo, per questo prima ti dicevo che lo proteggo.
Vincenzo
Che meraviglia! Pasqualino, fammi un esempio di insicurezza al di fuori del lavoro.
Pasqualino
Sono insicuro anche quando esco per strada. Come sai ho dei tic nervosi, muovo la testa in maniera abbastanza evidente e dunque quando sto in pubblico, se sono da solo, e la situazione mi mette a disagio, i miei tic peggiorano ancora di più. Se invece sono in pubblico con Francesca, non ho più il disagio, anche se ho comunque i tic. Anche in questo senso lei mi protegge. Il mio esempio relativo all’insicurezza al di fuori del lavoro è questo.
Vincenzo
Ripeto che è una rappresentazione dell’amore che mi sembra fantastica.
Pasqualino
Non lo so. In realtà sembra che non abbiamo niente in comune, e le cose “classiche” di sicuro non ce le abbiamo in comune, nel senso che non ci piacciono gli stessi libri, non abbiamo gli stessi gusti musicali, non abbiamo gli stessi gusti sui film e neanche sul cibo. Per esempio per quanto riguarda la musica lei è un’anima rock io musica italiana anni 80, ma questo è.
ONESTÀ | PASQUALINO
Vincenzo
Va bene, direi che possiamo procedere oltre, però tocca ancora a te Pasqualino, perché la prossima parola è “onestà” e l’hai scelta tu. Da dove cominciamo?
Pasqualino
Direi di cominciare dal fatto che mi ritengo una persona molto onesta, nel senso più intimo della parola.
Per l’onestà è la cosa principale, perché devo poter guardare in faccia le persone, devo essere tranquillo, a partire da chi lavora con me. Se uno merita questo, gli tocca questo, io gli do questo, punto.
Vincenzo
Raccontami che cos’è per te l’onestà fuori dal lavoro, per esempio nei rapporti di amicizia.
Pasqualino
Vincenzo ho pochi amici, mi viene da dire per fortuna. Mi viene da dirlo perché sono molto selettivo sulle amicizie, perché ho bisogno di rapportarmi con le persone in modo molto chiaro, senza avere un secondo fine. Se esco con te in amicizia oppure mi piace come persona, sto con te, è per il semplice fatto che sto bene con te. Non mi interessa chi sei, non ho bisogno di te per fare qualcosa, mi servi come persona che mi trasmetti qualcosa, che mi dai qualcosa. Un esempio è Fabrizio, che è anche un collega, siamo amici, lui è un ragazzino, ha più o meno la metà dei miei anni, ha un ristorantino a Vibonati e apre prettamente l’estate, si chiama Ma’uamma. Dal punto di vista lavorativo lo ammiro, lo ammiro per quello che è, per la curiosità che ha, per quello che sa trasmettere e che mi ha trasmesso.
RADICI | FRANCESCA
Vincenzo
Lo so che mi ripeto, ma ribadisco che tutto questo mi sta piacendo un sacco. Siamo all’ultima parola, “radici”, l’hai scelta tu Francesca, raccontaci perché.
Francesca
In un certo senso per me radici è sinonimo di famiglia, perché se non so da dove vengo come faccio a sapere chi sono? Parlo del senso proprio delle radici, non solo in relazione al lavoro, in pratica tutti ricordi, tutte le cose che comunque porto con me, anche il legame con questa terra che mi ha adottato, il Cilento.
I miei genitori erano napoletani, papà di via Manzoni e mamma di Piedigrotta. Io invece sono nata e cresciuta a Benevento. Direi che sono abbastanza ibrida, con questa componente partenopea fortissima che però non mi impedisce di sentirmi anche strega beneventana, una strega beneventana adottata dal Cilento.
Sto qui in Cilento da 12 anni. Con Pasqualino ci siamo fidanzati a ottobre del 2012, e nel giugno successivo, il 2013, mi sono trasferita qua e abbiamo cominciato questa esperienza della convivenza e del lavoro insieme.
Sono convinta che oggi sto bene qua perché tengo belle salde le mie radici, non perdo mai di vista la persona che sono.
Mi sono innamorata di questa terra subito dopo di essermi innamorata di Pasqualino perché la trovo bellissima e selvaggia. Trovo anche che da alcuni punti di vista i rapporti tra le persone siano meravigliosi, mi piace il senso di famiglia molto allargata che si sente qua, il senso di comunità. Allo stesso tempo però, forse perché vengo da una città, trovo anche queste comunità un po’ troppo chiuse e invadenti. Lo ripeto: se oggi posso apprezzare tutte le caratteristiche positive è perché tengo ben salde le mie radici, perché so da dove vengo.
Vincenzo
Sono d’accordo con te. L’esperienza che ho fatto con Cinzia nel Rione Sanità conferma che la comunità in senso stretto è sinonimo di identità ma anche di chiusura. Se vuoi aprirti, devi essere disponibile a perdere un pezzetto della tua identità.
Francesca
Vincenzo io lo vedo anche nel fatto di essere atea, di non credere. La mia identità è questa ma nelle mie radici c’è anche il fatto che vengo da una famiglia dove papà era molto credente e anche praticante e mamma credente anche se non praticante. Questo non mi ha impedito di fare il mio percorso in maniera consapevole e di arrivare a una conclusione che è solo mia, strettamente personale.
Vincenzo
Se capisco bene usi la parola “radici” anche come sinonimo di valori, convincimenti, muri portanti, muri maestri. Che però non ci impediscono di fare il nostro percorso e di costruire la nostra casa. Forse sta l’esigenza narrativa di differenziare le radici dalla famiglia.
Francesca
Sì, le radici sono la base del mio essere, del mio valore, del mio carattere, di tutto.
Vincenzo
Anche il tuo modo di vivere con Pasqualino per te è una radice, anche la tua relazione con il cibo.
Francesca
Pasqualino dice che sono quadrata su certe cose, su determinate questioni, che non riesco a essere diversa da quella che sono. Però penso che sia vero in parte. Come ti dicevo prima con il tempo sono diventata meno aggressiva, meno tranciante, anche grazie al suo aiuto. Non si tratta di rinunciare, ma di lavorare su sé stessi, di evolvere, di mettere alla prova anche le tue radici rispetto alle cose che per te valgono veramente.
Pasqualino è più insicuro, più problematico, però questi aspetti qui li ha sicuramente più interiorizzati di me.
EPILOGO | VINCENZO
Caro Diario, spero davvero che la storia di Francesca e Pasqualino ti sia piaciuta leggerla come a me è piaciuta raccontarla.
Non ho molto altro se non che mentre stavo “arricettando ‘e fierre”, mettendo a posto il mac, il telefono, i foglietti e gli occhiali, ho captato che parecchi dei quadri appesi alle pareti li ha dipinti Pasqualino, anche se lui dice che dipinto è una parola troppo impegnativa, e che le due poesie che sono all’ingresso le ha scritte la mamma di Francesca.
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