Cara Irene ti presento Alice Verrastro. Non aggiungo altro, ci sono così tante cose nella sua storia che non serve aggiungere altro, forse ritorno alla fine, ma non è detto.
IL MIO NOME È VERRASTRO, ALICE VERRASTRO
Caro Vincenzo che dici se comincio dalla mia più grande passione? Il cibo! Da piccola non c’era un attimo in cui io non avessi qualcosa da mangiare tra le mani. Insieme a quello, c’era però la mia grande voglia di esprimermi: ho sempre disegnato, da semplici linee a disegni astratti, repliche ‘fatte male’ di dipinti famosi, vestiti.
Non mi ha mai fermato nulla, se non il giudizio altrui, perché purtroppo, quando ho iniziato a crescere, è nata in me una grande paura di essere giudicata. Non so bene da cosa sia nata o da chi o perché ma, pian piano, ho iniziato a chiedere consiglio su tutto: dai vestiti ai capelli, al trucco.
La paura di essere sbagliata o diversa mi ha portato con il tempo ad omologarmi agli altri per non essere etichettata e non essere giudicata. Non ho eliminato completamente la mia personalità, ma la tenevo nascosta.
Quando ci ripenso adesso sto male, perché una persona non dovrebbe mai sentirsi sbagliata per come è; anzi, ne dovrebbe essere felice e fiera. E questo lo sto capendo ora, a 22 anni, grazie alla mia famiglia e al mio compagno, che mi supportano e sopportano in tutto e che mi fanno capire che posso essere amata e apprezzata per quella che sono.
Mamma e papà mi hanno sempre chiamata ‘crocerossina’ e in effetti un poco lo sono: mi piace aiutare gli altri, mi piace farli sentire accettati e amati per quello che sono, perché ho provato quella sensazione di inadeguatezza e solitudine e non vorrei mai che gli altri la provassero. È una cosa che mi viene spontanea, anche se a volte non dovrei lo faccio lo stesso, perché il bene torna sempre, l’ho imparato sulla mia pelle.
Amo le piccole cose, mi piace guardare serie tv e film perché mi permettono di estraniarmi dal mondo reale e vivere per un attimo in un posto diverso. Forse è anche per questo che amo il mondo del cinema e della recitazione, soprattutto dopo aver avuto la possibilità di partecipare ad un cortometraggio girato in Basilicata nel 2016, ma te ne parlo dopo.
Amo gli animali, per loro ho davvero un amore incondizionato. Tant’è che un altro sogno di quando ero piccola era quello di realizzare una casa gigante che potesse ospitare i cani randagi.
Se un giorno diventerò ricca, sarà una tra le prime cose che farò, e non solo per i cani. Non ho mai potuto avere un animale con me perché, abitando in un condominio, lo avrei costretto a spazi non idonei. Ma quando il mio compagno Simone mi ha regalato un pesciolino rosso è stato meraviglioso. Per molti magari può essere un animaletto stupido, che tieni lì solo perché tutti, almeno una volta, lo hanno avuto.
Per me non è stato così; come l’ho visto ho pianto lacrime di gioia. Un’emozione indescrivibile. Mi ha accompagnata per due anni, lo tenevo prima in camera per poterlo guardare e tenerlo al mio fianco, ma poi l’ho spostato in bagno perché aumentava l’umidità in camera. Lo andavo sempre a trovare, mi sedevo per terra e lo guardavo, a volte provavo a giocarci ma aveva un po’ paura, gli cambiavo l’acqua e qualche volta sono riuscita ad accarezzarlo con molta delicatezza; gli davo sempre il cibo ed è stato meraviglioso.
Poi mi sono trasferita a Verona e purtroppo non ho potuto portarlo con me: devo dire la verità, prima di partire ho pianto perché volevo che anche lui venisse con me in questa avventura. Quando chiamavo mamma e papà chiedevo sempre come stesse e un giorno purtroppo è morto. Solo a pensarci mi viene ancora da piangere; quando sono scesa a Potenza per le vacanze sono andata in bagno e non vederlo più mi ha spezzato il cuore.
Gli ho voluto dedicare il mio primo tatuaggio: ho tatuato lui sul braccio destro che fa delle bolle a forma di cuore con la bocca. Lo posso avere sempre con me adesso, lo guardo e lo accarezzo proprio come facevo quando era in vita. Questo è per dire che quando mi affeziono o ci tengo a qualcuno o qualcosa rimane nel mio cuore per sempre.
Amo il cambiamento, soprattutto su me stessa e sui capelli. Sarei voluta nascere bionda e con gli occhi azzurri, lo rimprovero sempre a mio padre che ha i tratti scuri, mediterranei, dominanti, e me li ha trasmessi. Amo vedermi diversa; a volte mi abituo così tanto al mio aspetto che se non cambio qualcosa inizio a vedermi orribile. Mi stanco di essere sempre la stessa, se potessi cambierei qualcosa ogni giorno.
Odio i messaggi, soprattutto quelli senza emoji, perché mi dà fastidio il fatto di non riuscire ad interpretare il tono o l’emozione che l’altra persona vuole trasmettere. Senza le “faccine”, anche un messaggio positivo rischio di interpretarlo male, come se l’altra persona sia arrabbiata o che io le abbia fatto qualcosa di male.
Amo e odio allo stesso tempo la mia esagerata sensibilità.
Mi emoziono facilmente, molto facilmente. Un giorno sono uscita per andare a prendere il mio compagno a lavoro, a Verona, e mi imbatto nel Pride. Non avevo idea che fosse quel giorno, allora mi sono avvicinata alla folla e l’ho guardata. Ho guardato tutti, i loro volti felici, la gioia e la libertà che esprimevano mi ha fatta piangere. Lacrime di gioia ovviamente, perché io combatto e combatterò sempre per i diritti di tutti e per l’uguaglianza; siamo tutti persone, perché fare discriminazioni, odiare, picchiare e purtroppo a volte anche uccidere altre persone solo perché amano o sono di un colore diverso? È davvero una cosa che non capisco e che non sopporto.
Questa parte di me la odio anche perché tende a farmi credere che se succede qualcosa è colpa mia, anche se non ho fatto nulla la mia mente dice in automatico che sono io la causa. E da questo nasce la parola che ho detto e che dirò più volte nella vita: ‘scusa’.
Mi scuso per qualsiasi cosa, ma davvero qualsiasi. Se per sbaglio intralcio il tuo cammino, anche se c’è una piazza intera a disposizione, io chiedo scusa. A Londra, una volta, attraversando la strada e guardando i palazzi intorno, feci un “frontale” con una signora anziana, che perse una scarpa. Ti lascio immaginare il mio imbarazzo e la quantità di volte che ho detto ‘sorry’. Ripensandoci, con la mia famiglia, ci facciamo un sacco di risate, a proposito.
A proposito. La città dei miei sogni è proprio Londra.
Me ne sono innamorata quando abbiamo fatto il viaggio di famiglia. All’inizio la reputavo una bella città da visitare, ma nulla di più. Era il periodo in cui nascondevo la mia personalità, quindi arrivare in una grande città come Londra mi ha aperto gli occhi e mi ha fatto sognare. Se la dovessi descrivere con una parola sarebbe “Libertà”. La prima cosa che ho notato è che tutti erano liberi di essere se stessi: mi era passato davanti un signore sulla cinquantina vestito da Alice nel Paese delle meraviglie e nessuno lo guardava con disprezzo, anzi lo ammiravano (me compresa). Da lì Londra mi è entrata nel cuore e non è più andata via. Sogno di vivere lì e far indossare le mie creazioni alla gente.
Ma la cosa che amo davvero più di tutto è la mia famiglia. Mamma, papà e Antonio mi hanno insegnato tanto, mi hanno insegnato che l’amore della famiglia non ha confini, che bisogna crescere insieme sbagliando perché a nessuno è stato insegnato come essere un genitore perfetto o un figlio perfetto.
Io sono così fiera e felice di essere nata e cresciuta in una famiglia così meravigliosa sotto ogni punto di vista. Ci siamo sempre voluti bene, ci siamo sempre aiutati a vicenda, abbiamo riso e pianto e abbiamo condiviso momenti belli e brutti. Mi hanno insegnato tutti i valori che io porto con me e non potrei essere più fiera e grata a loro per la persona che sono oggi.
Infine, tra le mille cose che ho creato nella vita, quelle che ricordo meglio sono state le customizzazioni, cioè personalizzare un qualcosa per renderlo speciale. Ho iniziato dalle scarpe: ne avevo un paio bianche e per i miei gusti erano troppo semplici; così ci ho dipinto sopra delle fiamme. Per il compleanno della mia migliore amica ho comprato un paio di scarpe e ci ho dipinto sopra il suo personaggio preferito, una ‘anime’.
Poi ho regalato una maglia con il dipinto fatto a mano del Cappellaio matto al mio compagno, anche lui appassionato della storia di Alice nel Paese delle meraviglie, e tante altre piccole cose.
Ho perfino utilizzato le pareti della mia camera, che sono diventate delle tele su cui dipingere. Ancora oggi c’è un grande paio di ali, in camera mia. Ali come qualcuno mi chiama (come diminutivo di Alice), Ali come voglia di libertà.
IL MIO PERCORSO FORMATIVO
Tutti i miei percorsi di studio li ho scelti con l’obiettivo di trasformare la passione per la moda nel mio percorso professionale. Non a caso, come ti ho detto all’inizio, alla scuola media la materia che preferivo era ‘Arte’. Per la tesina finale, ho collegato tutte le materie con la moda, che è diventata il centro della mia attenzione.
Per la scuola superiore ho scelto di frequentare il Liceo Artistico con indirizzo Design del Tessuto, poiché era l’unica cosa che mi permettesse di avvicinarmi al mondo della moda. Sono stati 5 anni meravigliosi e a conclusione del percorso dovevamo portare un elaborato che parlasse anche del Covid, così ho deciso di collegare la pandemia al mondo e alla storia di Alice nel Paese delle Meraviglie, trovando elementi che combaciassero e si intrecciassero.
Poi ho avuto la possibilità di frequentare i due anni presso l’ITS Cosmo Fashion Academy nel corso Fashion Product Manager con sede a Verona. Un percorso davvero formativo, che ancora in pochi conoscono. L’ITS (Istituto Tecnologico Superiore) è una scuola di alta specializzazione post diploma che, offrendo un percorso misto teorico-pratico, dà a noi giovani le competenze per affrontare al meglio il mondo del lavoro.
Nel mio caso, in particolare, è stata una formazione trasversale che mi ha dato tantissimo, sia nelle ore di pratica che di teoria, e mi ha formata sotto ogni punto di vista, dandomi le basi per poter diventare davvero Fashion Product Manager, quindi essere in grado di visionare, controllare e trovare soluzioni durante tutto il processo produttivo di un prodotto di moda.
IO E IL LAVORO
Da piccola mi piaceva esprimere la mia personalità attraverso i vestiti o le acconciature, mi piaceva sperimentare e unire stili e colori diversi anche senza un senso logico. In questo modo mi sentivo libera e felice.
Sì Vincenzo, direi proprio che ho sempre sognato di lavorare nel mondo della moda e ho sempre voluto fare la stilista per poter dar vita alle mie idee e vederle indossare.
Il primo lavoro della mia vita è stata la partecipazione a un cortometraggio, nel 2016. Si chiama ‘Non gioco più‘ ed è una storia adolescenziale ambientata a Maratea negli anni ‘90. Mi ero candidata per provare e ho dovuto affrontare quattro provini, ma già dopo il secondo avevo capito che avrei fatto parte del cast, e così è stato. In più, mi hanno dato la parte della protagonista, con il regista Sebastiano Luca Insinga che, me l’ha confessato dopo, è rimasto subito impressionato dalla mia naturalezza e dallo sguardo, differente dalle altre candidate. È stata un’esperienza meravigliosa, che mi ha portato forse per la prima volta in un mondo fantastico in cui per lavoro potevo acconciarmi e vestirmi in riferimento ad un preciso periodo storico.
Grazie al corto ho vinto un Premio nel 2017 a “Corti in cantina” e sono stata a Giffoni, al Festival del cinema dei giovani, vivendo in piccolo quello che gli attori veri vivono agli Oscar.
L’esperienza mi ha aperto gli occhi sul mondo del cinema e della recitazione, mi ha fatta crescere sotto ogni punto di vista, soprattutto sulla timidezza.
Ho sempre avuto difficoltà a parlare in pubblico, sempre per paura di essere giudicata per quello che dicevo, ma davanti alla telecamera viene tutto spontaneo, tutto con naturalezza, senza pensieri o giudizi. In realtà è una cosa che ho sempre fatto, quando ero piccola: mio nonno aveva una casa in campagna dove passavamo giornate bellissime e io prendevo la telecamera di mamma e iniziavo a registrare, introducendo i video dicendo “Siamo qui a Vita in Campagna” e raccontavo la giornata. Avrei potuto sfruttare quel “talento” su Youtube che in quel periodo stava nascendo e in seguito avrebbe avuto un bel successo, ma la paura del giudizio mi ha sempre frenata.
Il passo successivo è stato un lavoretto presso un centro estivo con bambini. Qui ho da fare una premessa: non amo i bambini, ma quell’estate ho deciso di mettermi alla prova, è capitata la possibilità e mi ci sono buttata nonostante la loro presenza. L’inizio è stato un po’ traumatico, troppi bambini a cui dare attenzione, uno più esigente dell’altro. Sono forse la persona meno atletica del mondo, eppure sono riusciti a farmi correre mezza giornata per giocare ad acchiapparello.
Ma poi non ascoltano! Siamo andati al parco e io avrò ripetuto almeno venti volte di non correre, ma nulla, non mi hanno ascoltato e uno di loro si è sbucciato il ginocchio. Però dai, sono bambini, anche io alla loro età non ascoltavo mamma e papà e solo ora li capisco.
Sarò stata lì per circa 3 settimane per sostituire un’altra ragazza e alla fine mi sono trovata bene. Non che adesso ami i bambini, ma almeno li trovo più sopportabili, soprattutto perché quando me ne sono andata mi hanno abbracciata e mi hanno detto che gli sarei mancata: quello è stato il momento più bello, essere entrata nei loro piccoli cuoricini mi ha fatta sentire bene.
Durante il mio percorso di studio per diventare Fashion Product Manager, all’ITS Cosmo di Verona, ho avuto la possibilità di fare un tirocinio di 400 ore durante il primo anno e di ulteriori 400 ore durante il secondo anno.
La prima esperienza non è andata come mi aspettavo, infatti è durata un solo giorno. Da questa azienda, di cui non voglio citare il nome, sono andata subito via perchè già dal primo momento mi sono trovata male dal punto di vista umano. Quando sono arrivata, mi sono presentata e non sapevano nemmeno che dovessi andare lì, dopo di che hanno iniziato a farmi conoscere i software da utilizzare senza nemmeno farmi vedere l’azienda o almeno il bagno.
Visto che c’era una signora che aveva bisogno di aiuto sono subito andata da lei e da quel momento, fino alla fine della giornata, sono stata al controllo qualità: il mio compito era prendere il capo, controllare che non ci fossero fili, piegare, imbustare e mettere nel cartone.
Nessuno si è presentato, nessuno mi ha dato il benvenuto, nessuno mi ha parlato dell’azienda, nessuno mi ha descritto il percorso che avrei fatto.
Un impatto molto brutto, davvero. Quella prima giornata mi ha convinto che lì non avrei messo più piede: e anche se le coordinatrici del corso mi avevano detto che in quella fabbrica, probabilmente, ci sarebbe stata la possibilità di trovare lavoro in futuro, sono stata irremovibile. Di fronte alla mancanza di umanità non ci sono giustificazioni, il mondo del lavoro deve accogliere noi giovani soprattutto come persone.
Quell’inciampo si è rilevato, però, una fortuna, perché subito dopo ho fatto la scelta migliore che potessi fare e sono entrata a far parte della famiglia di Calico Bottega Sartoriale della mia professoressa di modellistica Beatrice Olocco.
Una fortuna perché la sartoria artigianale che mi ha accolta si è rivelata un posto meraviglioso. E perché chi è ha fatto lo stage nella fabbrica che io ho lasciato ha continuato a fare controllo qualità per tutto il tempo. Per carità, anche quello è lavoro, però non ti dà molte competenze e possibilità di crescita, caratteristiche che io cercavo in percorso di tirocinio.
In pratica nella Bottega Sartoriale fondata nel 2020 a Verona da Beatrice Olocco, coturnier, designer, modellista e docente di prototipia e modellistica, ho avuto l’opportunità di svolgere un tirocinio di 10 mesi, in cui ho appreso l’arte della lavorazione su misura e il concetto di artigianalità attraverso il confezionamento dei loro capi, se vuoi saperne di più, Vincenzo, fatti un giro sul loro sito web.
Da Calico ho trovato una famiglia nel senso vero del termine. Persone meravigliose che mi hanno permesso di crescere sotto ogni punto di vista, sia a livello tecnico che a livello personale. Al principio avevo parecchio timore di fare qualcosa di sbagliato ma con il tempo sono migliorata tantissimo. Ho imparato l’arte del ‘su misura’ e dell’artigianalità preparando cartamodelli, tagliando il tessuto e confezionando. Ho imparato a fare le tasche in cucitura e le zip invisibili. Mi sono specializzata in partcolare su un capo, il Panta Nanda. Ho realizzato parecchie tutine, abiti, pantaloni e camicie.
LA REGINA DI CUORI
Per la conclusione del mio percorso all’ITS Cosmo Fashion Academy dovevamo realizzare una tesi su delle problematiche che si potevano verificare durante il tirocinio e trovare delle soluzioni come farebbe un Fashion Product Manager, la principale figura di riferimento dello stilista.
Come sa chi mi conosce bene, amo complicarmi la vita, mi piace scegliere le cose più belle che spesso sono anche le più difficili, è così anche se non era obbligatorio ho scelto di realizzare un capo di abbigliamento.
Da Calico potevo lavorare solo sotto il punto di vista del “su misura”, ma a me non bastava. Così ho scelto di realizzare un capo sulle mie misure: non essendo una taglia base avrei trovato molte difficoltà e così è stato. Inoltre non volevo portare un capo a caso, e allora ho voluto creare un contesto e un capo che mi rappresentassero appieno. Abbiamo immaginato che la sartoria durante il mio tirocinio ricevesse un’opportunità di lavoro da una importante compagnia teatrale e che dovesse realizzare dei costumi di scena per un musical ispirato ad è’Alice nel Paese delle Meraviglie’.
Tra i tanti, la mia attenzione è stata catturata dal personaggio della Regina di Cuori, che incarna la dualità tra forza e debolezza.
Nel suo regno, il diverso diventa la normalità, creando un rifugio dove si può essere se stessa e dove la sua diversità è accettata e celebrata.
La Regina di cuori non è dunque un mostro da temere – come potrebbe sembrare – ma un personaggio fragile e vulnerabile che cerca disperatamente un posto nel mondo. Una storia che ci invita a riflettere sulla nostra società, sul nostro modo di relazionarci con gli altri e sul concetto di ‘normalità’.
Detto in poche parole ho scelto il personaggio della Regina di Cuori perché è un simbolo della libertà di essere se stessi, una battaglia che combatto ogni giorno. Lentamente, sto imparando a vincere la paura del giudizio altrui e a ritrovare quella bambina che indossava con orgoglio i suoi mille colori.
Ho realizzato questo costume con tanta fatica, tanta passione e tanta voglia di mostrare chi è Alice, cosa può fare e come può migliorare nel suo piccolo il mondo. Vederlo sul manichino, il giorno dell’esame finale, è stata una grandissima emozione. E anche io, nell’esporre, ero molto emozionata, la voce era diventata sottile, avevo paura e allo stesso tempo mi dicevo di non mollare, perché tutto quel lavoro avrebbe dovuto avere un senso. I membri della commissione sono stati comprensivi e hanno apprezzato tutto, anche la mia timidezza, per fortuna.
Alice nel Paese delle Meraviglie lo porto nel cuore da sempre, forse da quando sono nata, da quando mamma e papà hanno scelto questo bellissimo nome per me.
Oggi capisco che per me non è solo un nome, ma un viaggio, una storia, un mondo che ha tantissimo da raccontare. Un mondo pieno di fragilità, creatività, forza, emozioni e colori che non devono essere nascosti.
Includo questa storia in tutto, trovo una facilità assurda collegarlo a qualsiasi cosa, forse un po’ lo sento anche mio come mondo.
E SE DOMANI
Vorrei prima di tutto fare esperienza nel settore della moda, perchè ovviamente al momento ho solo le basi e voglio arrivare ad un livello che mi possa permettere di fare grandi cose, nel mio piccolo. In futuro mi piacerebbe aprire una mia attività, proprio come quella in cui ho avuto la fortuna di fare stage, un luogo dove le mie idee diventino realtà e dove le persone siano contente e apprezzino quello che faccio. Poi magari ancora più in là il sogno più grande sarebbe di diventare costumista di cinema, e magari anche attrice. Sarebbe un sogno riuscire a realizzarmi in entrambi i settori.
Di certo, un aspetto che continuerò a mantenere sarà l’attenzione al sociale. In ogni cosa che farò mi piacerebbe dare una mano agli ultimi, ai deboli, alle persone che soffrono, e a chiunque si senta escluso o discriminato. Tenere insieme moda cinema e sociale sarebbe davvero il top!
PERCHÉ IL LAVORO VALE
Per me il lavoro è importante perché mi permette di realizzare un qualcosa che dà beneficio a me per una questione di realizzazione e soddisfazione personale, e perché può essere di aiuto/supporto agli altri.
PER SAPERNE DI PIÙ
La pagina personale
La pagina del brand