Antonio Fiscina, la dignità del lavoro, la forza del rispetto

Cara Irene oggi ti racconto Antonio Fiscina. Per ora aggiungo solo che me lo ha presentato Michele Rivello, il papà di Giuseppe, un paio di anni fa, aggiungendo che aveva una storia bellissima da raccontare. Da allora ci ho provato almeno una decina di volte senza riuscirci, poi una settimana fa ha detto lui a me che sarebbe venuto a trovarmi l’altro ieri sera è arrivato. Questo è tutto, io ritorno alla fine, intanto tu leggi la storia.

CASELLE IN PITTARI, CASA DEL LAVORO BEN FATTO, 25 LUGLIO 2024

“Caro professore sono Antonio Fiscina, sono nato a Caselle in Pittari il 27 Marzo 1946 e sono sposato con Caterina Fiscina, nata anche lei qui a Caselle in Pittari il 10 Marzo 1953. Se volete capire di me domandate di Antonio Filoso, lo sanno tutti chi sono io.
Ho due figli di cui sono molto orgoglioso. La prima si chiama Assunta, come mia madre, che era una grande donna, non ce ne sono più così. A chiunque domandate a Caselle, di Assunta Filoso, ve lo può dire. Pensate dopo 8 giorni che mi aveva partorito è andata in montagna a cavare le patate, immaginate come eravamo poveri, non potevamo mettere il piatto a tavola, ma di questo, come avete detto voi, parliamo dopo. Dove eravamo? Ah, Il mio secondo figlio si chiama Alessandro ed è nato nel mio stesso giorno 30 anni dopo, il 27 Marzo 1976.

Purtroppo a scuola non sono andato, eravamo troppo poveri e non c’era la possibilità. Però per tre o quattro anni sono andato alla scuola serale da Antonio Giudice, che faceva il postino qui a Caselle, e poi, ringraziando a Dio, quando sono andato a fare il militare ho preso la licenza elementare, guarda caso mi hanno fatto pure caporale.

Una cosa che mi appassiona tanto è il ballo, in particolare il liscio. Andrei avanti notte e giorno con il liscio. Ancora oggi, a 78 anni, mi piace ballare. Se faccio un tango sono veramente all’altezza, compreso il tango figurato. (ricordo di mio padre).
Mi è sempre piaciuto ballare, figuratevi che anche quando lavoravo e la mattina mi dovevo alzare molto presto facevo anche le 2:00 di notte a ballare. E quando si finiva le compagne di ballo, le ragazze, per il rispetto che portavo loro e il rispetto che loro mi portavano, le accompagnavo a casa come se fossi stato un loro padre.
Ricordo che c’era una simpatica rivalità con mastro Enzo, quando c’erano le feste passavamo le nottate a ballare con tutta la gente intorno che ci guardava.

Ne volete sapere un’altra? da ragazzo, a Trezzano sul Naviglio, al Quartiere Zincone, avevo comprato un giradischi marca Lesa e andavo in giro per le case degli amici con i dischi per ballare.
Le cantanti e i cantanti che mi piacevano a quel tempo erano Mina, la tigre di Cremona, Peppino di Capri, Sergio Endrigo e tanti altri.
La grande passione che ho per il ballo e la musica in generale non mi è mai passata. Quando ballo mi trasformo, per fortuna mia moglie non è mai stata gelosa, a lei non piace ballare e sa che persona sono.

Le cose che invece non mi piacciono sono l’arroganza, la bugia, la vendetta, tutte cose che non sopporto assolutamente. Mi piace essere amico di tutti e umile con tutti.
Sapete che non ho mai litigato con nessuno in vita mia? Mai, mai, mai mai. Una lite con nessuno mai, né io e né la mia famiglia. Non ho mai dato uno schiaffo a nessuno e mai nessuno ha dato uno schiaffo a me. Perché questo? Perché non ho mai cercato di attaccar briga. Ognuno di noi ha il suo carattere, ognuno di noi ha la sua natura, io sono fatto così, nel mio piccolo cerco di essere me stesso.

Il tempo della mia infanzia l’ho vissuto davvero con povertà, abbiamo sofferto veramente la fame caro professore.
Mio padre, dopo 14 anni sposato, si è ritrovato fuori casa con 6 figli piccoli, pensate che per la disperazione si voleva andare a buttare nel pozzo, e allora mia sorella più grande, che è ancora viva, gli si è aggrapppata al collo e gli ha detto ‘Tata – allora per portare rispetto non si diceva papà, si diceva tata – se ti vai a buttare nel pozzo mi ci butto pure io.’ Non lo so se mio padre lo avrebbe fatto veramente, penso di no, ma mia sorella questo gli ha detto. Che brutti tempi che erano.
Mi ricordo che in quel periodo la sera andavamo a mangiare, diciamo così, in una stanzina molto piccola che sta qui vicino a casa vostra. Mangiavamo tutti e otto in un piatto solo, compreso mio padre che mangiava sempre per ultimo perché prima pensava ai figli. Invece a dormire andavano in un’altra stanzina che stava sempre qui nel centro storico, alla chiazza.
Comunque era quell’era là, storie come la mia fanno parte della natura, era quel tempo, comunque sempre un tempo molto duro per quelli come noi, anche quando le cose sono cominciate a migliorare, anche qui a Caselle, perché è stata fatta la centrale elettrica. Dove adesso c’è il lago prima c’erano due vallate coltivate a grano dai miei zii, quella zona la conosco metro per metro. Comunque nel 1958 anche noi avevamo comprato un pezzettino di terra e ci avevamo seminato il grano quando una notte, professore credetemi avevo 12 anni e ancora adesso mi fa male il cuore quando ci penso, arriva un vento che rovina tutto.
La mattina dopo mia madre, presa dalla disperazione per la strage di grano che c’era la notte, dice ‘che ha aspettato il Padreterno che non si è è presa a me’. Qualche ora dopo, mentre stava facendo le gregne, raccoglieva quello che era rimasto del grano, viene morsa da un ragno velenoso e mentre la portano sull’asino dal dottor Nuzzo, il padre di Giampiero, rischia seriamente di morire avvelenata.
Capite professore? Lei aveva detto quella frase e il Padreterno se la stava prendenso veramente, scusate se mi trema la voce, ma mi viene da piangere. Credetemi, ne abbiamo passate veramente tante.

Come potete immaginare nella mia vita ho lavorato sempre. Ho comiciato con la campagna e il grano, ero piccolo e non c’erano altre possibilità.
Dagli 8 -9 anni in poi ho fatto il pastore, la notte dormivo sotto un ombrello con gli animali, per materasso avevo la paglia e una piccola brace accesa per fare un poco di calore.
Stavo fuori con le capre, a quel tempo stavamo a padrone con gli Orlando, che hanno il palazzo qua di fronte a voi. Eravamo un’associazione con parecchi soci, avevamo 300 capre e 400 pecore, mi ricordo che le portavo da Putimari a Malarusa, dove adesso sta la fabbrica. Pure quei posti li conosco metro per metro.
Fino a 16 anni ho fatto il pastore, non guadagnavo praticamente niente, però almeno mangiavo pane di granturco, verdure, frutta, un poco di formaggio. In base agli animali che avevamo ogni 15 giorni o 20 gironi, ci toccava il formaggio. Si faceva il granturco, l’orzo, quello c’era.
Non vi ho ancora detto che fino a 16 anni non ho mai avuto un paio di scarpe, andavamo con le gomme delle ruote tagliate legate ai piedi con delle cordicelle. Pure durante la nevicata del ’56 andavo così nella neve, il primo paio di scarpe l’ho potuto comprare a 16 anni. Solo una volta, avevo 14 anni, mi sono messo un paio di scarpe che avevano regalato a ma sorella perché dovevo incontrare una ragazzina che mi piaceva e mi vergognavo di andare con i piedi da fuori. Mi sono messo un paio di scarpe da donna professò, pensate come stavamo messi.

A 16 anni ho detto basta. Mi ricordo che stavo io, mio padre e il mio padrino, quello che mi ha battezzato, si chiamava Antonio Fiscina pure lui, e io dissi a mio padre che mi doveva fare il tesserino per andare a lavorare. Lui non voleva, e allora io gli dissi che se non mi faceva fare il tesserino non mi avrebbe visto più.
Che Dio mi perdoni, ma io avevo bisogno di lavorare e guadagnare qualcosa, avevo 14 anni e pesavo quanto peso adesso, allora 66 chili adesso 68 e mezzo, non potevo andare avanti senza lavorare. È stato così che si è risolto, sono stato a Sala Consilina per farmi le fotografie, mio padre ha firmato, ho avuto il tesserino e a settembre sono partito per la Germania, insieme a mio fratello e a un mio cognato, Pisani Domenico, che ci erano già stati. Siamo andati in un paesino in provincia di Stoccarda e ci sono rimasto per quasi 5 mesi, sono tornato a Caselle per Natale.
A Giugno dell’anno dopo, tramite un amico, me ne sono andato a Milano, dove ho lavorato per 4 giorni, come manovale, ferri in spalla. Dopo 4 giorni, senza neanche riscuotere la paga, me ne sono andato, tramite un altro amico, a Trezzano sul Naviglio, al quartiere Zingone di cui vi ho detto all’inizio, dove sono stato assunto e ho lavorato nella sistemazione di un grande capannone per la Besana (http://www.besanapanettoni.it/), dove allora si faceva il pan Besana. Ci ho lavorato per quasi 10 mesi, in una baracca eravamo 19 sardi, non so quanti pugliesi e solo io della Campania. Anche quello non è stato un periodo facile, in particolare i pugliesi ce l’avevamo con me perché lavoravo tanto e mi facevo volere bene. Ricordo che prendevo 50 mila lire a quindicina, e 100 mila lire al mese a quei tempi, nel 1963, erano una gran bella paga. Invece non so bene se ero assicurato oppure no, quando è stato il momento di recuperare tutti i contributi non è stato facile.
Tornato a Caselle mi sono ritrovato a fare il manovale di un muratore che ne sapeva meno di me, e a quel punto mi sono detto che mi dovevo mettere a lavorare con un muratore bravo e dovevo imparare per bene il mestiere. In quel periodo qui eravamo pieni di muratori, erano anni in cui spuntava una casa al giorno.
Come vi ho detto già nel 1958 con l’arrivo dell’Enel erano cominciate a cambiare le cose, e poi c’erano le rimesse degli emigrati in Germania, che con i risparmi che mettevano da parte si costruivano la casa qui.
Caselle è cresciuta con i sacrifici di tutti i casellesi che sono stati in Germania, sudore dei casellesi in Germania ce n’è tanto qui, ma tanto tanto.

Dal 1963 al 1968 sono stato a Caselle. Qui come vi ho detto il lavoro principale era quello di muratore, prima manovale e poi, una volta che avevi imparato bene il mestiere, il muratore. Comunque si lavorava, e con il lavoro c’era il rispetto, e poi naturalmente questo era il mio paese, c’erano le ragazzine, insomma in quel periodo per me andava bene così.
Nel 1968 mi sono prima fidanzato e poi, il 14 Settembre, sposato.
È successo tutto un poco di fretta ma eravamo ragazzi e guarda caso, fortunatamente, mia moglie è rimasta incinta di Assunta, di cui come vi ho detto sono orgoglioso, così come di Alessandro. Per farla breve con il poco che avevamo ci siamo sposati.
Con il matrimonio le cose sono cambiate e io, tramite amici del mio compare di anello, Leopoldo Savino Tancredi, il padre di Michele, che ci portiamo ancora un gran rispetto, me ne sono andato a Fucecchio, dove poi sono rimasto 18 anni. C’è da dire che la Toscana non era ancora quella degli anni ’70 ma comunque la situazione era molto diversa da quella di Caselle.
In pratica ce ne siamo andati 15 giorni dopo il matrimonio, il 29 Settembre, anche per la fiducia che avevamo in Leopoldo, che ci viveva già da un po’.
Ricordo che a mia moglie a un certo punto era venuta la febbre, e anche quella era stata una situazione che si poteva complicare, perché per inesperienza di vita non avevamo detto che era incinta e lei aveva preso qualche antibiotico che le poteva far male. Dopo giustamente siamo stati rimproverati, però un poco ci eravamo anche vergognati, da ragazzi di paese come eravamo.
Quando siamo arrivati in Toscana mia moglie sentiva la mancanza della madre, era giovanissima, ma siamo andati avanti. Abbiamo trovato una casa, rimessa a nuovo, dove però non era ancora nemmeno attaccata la corrente. Siamo stati più di una settimane con le candele, però il lavoro, ancora una volta tramite Leopoldo, l’ho trovato subito.
Comincio così a lavorare con un imprenditore di Arezzo, però questo poverino aveva poco liquido. Per la verità i primi tempi pagava, però poi le cose sono cambiate, al punto che quando l’anno dopo sono tornato a Caselle e mio padre mi ha chiesto come andava io ho risposto ‘bene’, ma ho detto una bugia, perché anche le 50 mila lire che ero riuscito nella prima fase a mettere alla posta mi era toccato ripigliarle, 25 mila lire alla volta, per tirare avanti. Tenete presente che allora un chilo di pane costava 65 lire.
Tornato in Toscana ho conosciuto, tramite un amico siciliano, Bruno Lotti, l’imprenditore più grande di Fucecchio.
Dopo che ha saputo la mia storia questo amico siciliano mi aveva detto ‘se vuoi venire da Bruno Lotti ti raccomando io’, guardate come è importante trovare brave persone sulla propria strada. Non ci sta niente da fare, chi fa bene è sempre rammentato caro professore.
Comunque il mio amico parlò di me con Bruno Lotti, che era identico a Indro Montanelli (a Fucecchio poi ho trovato anche un’altra persona che era il gemello del famoso giornalista) che mi mandò a chiamare, mi assunse e andai a lavorare con lui.
Professò, dato che sapeva che non avevo soldi mi disse che mi poteva anche anticipare la paga, ma gli ho risposi di no, non potevo accettare, prima dovevo guadagnarmeli i soldi, è una questione di dignità.
Da lì in poi ho cominciato a stare meglio, anche perché montavo la gru, quella grande da cantiere, ed ero pagato bene. Ciò nonostante non mi sono accontentato e nel tempo che mi avanzava, il sabato, la domenica, a volte la sera, facevo altri lavori, soprattutto come muratore.

A un certo punto, nel 1972 credo, conosco un altro amico che lavora in conceria, facevano canguro, capretto. Per farla breve comincio a lavorare lì e con il tempo imparo bene anche come conciatore.
A Fucecchio mi ero fatto un’amicizia che non vi potete immaginare e così il sabato e la domenica facevo il muratore e quando potevo andavo a lavorare a cottimo in un’altra conceria. In più, tenevo un poco di terra dove stavo in affitto e nel tempo libero facevo il contadino.
In pratica facevo quasi tre lavori e di conseguenza avevo quasi tre stipendi. È stato così che in pochi anni ho potuto comprare una casa, rivenderla e comprarne un’altra più bella, in periferia, che ho ristrutturato completamente, a partire dalle mura interne. Ci ho fatto 5 vani, tutto da solo, la mattina mi alzavo alle 4:00. Sapete cosa mi diceva il mio vicino, Dino Boldrini, quando mi scusavo con lui per il rumore? ‘Antonio, non ti preoccupare, a me mi svegli, ma chi ci va peggio sei tu che devi lavorare’. Che brava persona, era lui l’altro gemello Indro Montanelli, anche nel modo di fare gesti e di parlare.

In quel periodo la mia vita era così: dalle 4:00 fino alle 7:00 – 7:30, lavoravo a casa, alle 8:00 cominciavo in conceria, la sera, dopo cena, riprendevo a fare rivestimenti e tutto il resto.
La situazione stava diventando non dico insostenibile ma quasi. Certe notti invece di dormire tenevo le scosse elettriche, mi dovete credere professore. Il fisico si ribellava. In tanti mi dicevano che lavorano troppo, che mi dovevo dare una calmata. Saltavo come un grillo, ero troppo stressato.
Si dice che il lavoro non fa male, è vero, ma non sempre. Cmunque il troppo lavoro non fa tanto bene professore, io ne ho passate tante nella mia vita e lo posso dire. A mia discolpa devo dire che anche con una vita così ogni tanto riuscivo ad andare a ballare. Lo riuscivo a fare poco, non c’era tempo, ma non ho mai smesso di ballare, ricordo che c’era un complessino sardo che faceva il liscio.
Ringraziando Iddio ho avuto al mio fianco una moglie che veramente è stata ed è eccezionale. L’uomo da solo nella casa non fa niente, ve lo dico io.
Mia moglie se stasera vengono 20 persone a casa mia senza preavviso sa cosa deve mettere a tavola, senza uscire, senza fare spesa e senza niente, perché ringraziando Iddio teniamo tutto. E in più anche lei a un certo punto si è messa a lavorare, alle borse, è una specialista del lavoro alle borse mia moglie. Un certo Brilli, imprenditore delle borse che stava sempre a Fucecchio, le dava il lavoro a casa. Un giorno sapete quando abbiamo guadagnato di lavoro a casa con mia moglie? 100 mila lire, mi credete?
Comunque in quel periodo ero uno dei pochi che prima di andare in ferie depositava soldi. C’era un bancario, molto piccolo di statura, eravamo amici, che mi diceva ‘Antonio, ma quando vanno in ferie tutti vengono a prendere soldi, tu come mai li vieni a depositare?’.
Lavoravo tanto, a un certo punto troppo, però in poco tempo mi ero fatto due case in Toscana e mi ero sistemato casa qui a Caselle.
A un certo punto mia figlia si è sposata a casa mia, in Toscana, e così decidiamo di lasciare a lei la casa lì e io, mia moglie e Alessandro torniamo a Caselle. Bisogna aggiungere che poi mia figlia con suo marito non ci sono rimasti neanche un anno in Toscana, ‘papà me ne devo venire anch’io’, ‘papà me ne devo venire anche io’, e alla fine così hanno fatto.

Con il ritorno a Caselle ritrovo il mio grandissimo amico e compare di San Giovanni, Leopoldo, una persona veramente meravigliosa, che riposi in pace.
Lui faceva ditta qui a Caselle, smette di fare ditta e mi vende i suoi attrezzi e così io mi iscrivo e mi metto a fare ditta anche io, costituisco la mia piccola impresa, Edil Caselle Fiscina Antonio.
Sono andato avanti 4 anni, qui a Caselle continuava a esserci parecchio lavoro, però le cose da seguire erano troppe e io non riuscivo a stare appresso a tutto, in poche parole sono tornato a fare il muratore semplice e a lavorare per varie ditte.

A un certo punto finisco ai beni archeologici, a fare rilievi. Lavoro vicino a Montesano, a Padula, Lavorato parecchio anche qui in località Lovito, dove una volta c’era l’uliveto degli Orlando e dove adesso c’è l’università che scava, stanno facendo un bel lavoro.
Più avanti comincio a lavorare, sempre in ambito archeologico, a Salerno, prima dove c’è la Finmatica e poi all’Istituto Monte Vergine.
Qui incontro una donna che dirige questi lavori, veniva da una famiglia di marchesi ed era originaria di Bolsena, avevano una villa attaccata al lago, e lavoro per un periodo là.
Dopo Bolsena, vado a lavorare ad Assisi dove, grazie al mio impegno e alla mia attenzione, e dopo diverse vicissitudini, divento capo cantiere.
Professore, mi credete? Se fosse stato per la responsabile non mi avrebbe mai lasciato come capo cantiere, mi pagava bene e pure i contributi erano adeguati alla paga. Invece io dopo questa esperienza sono tornato a Caselle e ho continuato a lavorare qui fino alla pensione. Professore, il muretto dove stavate seduto qui fuori adesso che sono arrivato lo abbiamo fatto noi con una ditta di due fratelli che lavorava qui nel centro storico.
Soltanto gli ultimi sei mesi prima della pensione sono stato in cassa integrazione, come si dice, e poi ringraziando Dio sono andato in pensione.

Da quando sto in pensione quasi tutte le mattine vado in campagna, faccio il contadino. Un po’ di ortaggi, quello che serve, senza nessuno che mi sta dietro, che mi dà ansia, la mia è tutta passione.
Vado avanti così fino alle 11:00, 11:30, le 12:00, dipende. Dopo di che ritorno a casa, aspetto che mia moglie prepari da mangiare e ci mettiamo a tavola.
Dopo mangiato mi riposo un paio di ore, un po’ di più d’estate e di meno d’inverno, quando le giornate sono più corte.
Nel pomeriggio, dato che come tutti ho le mie passioni, porto a pascolo le mie due capre, con le quali faccio il formaggio. E poi ho qualche coniglio, polli e galline. Una volta avevo anche il maiale, ma dato che adesso, sfortunatamente, non si può tenere, non ci possiamo neanche mangiare un po’ di carne buona.
E questa è la mia vita.”

Cara Irene sono tornato per dirti velocemente tre cose.
La prima è che per me le storie come questa di Antonio sono da leggere a scuola, dalla prima elementare all’università.
La seconda è che la forma e la grammatica del racconto è il più possibile fedele al parlato di Antonio; prima di pubblicarlo l’ho riletto diverse volte e non ho mai avuto dubbi su cosa scegliere tra le regole della scrittura e l’autenticità della storia.
La terza è che mentre mi raccontava la sua storia ho scoperto che Antonio è il papà di Alessandro, un caro amico con cui ho avuto il piacere di collaborare a maggio di tre anni fa per alcuni bellissimi manufatti narrativi realizzati da Scritte®, se vuoi la storia la puoi leggere qui. Non so come si può dire, ma un minuto prima non lo sapevo e un minuto dopo l’ho sempre saputo, come pezzetti di un mosaico che stava lì da tempo e aspettava solo l’occasione per ricomporsi.
Ecco, adesso è veramente tutto, alla prossima.