Il lavoro ben fatto di Simone in dieci citazioni

Caro Diario, questo di Simone Bigongiari è il primo racconto citato che pubblico e non ti nascondo che sono un poco “pucurillo” emozionato. Come e perché è nato questo nuovo format te l’ho raccontato qui, quindi mi fermo qui e ti lascio alla lettura della storia di Simone, poi magari ci torniamo su.

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1. Pablo Neruda, Siam Molti
Di tanti uomini che sono, che siamo, non posso trovare nessuno: mi si perdono sotto il vestito, sono andati in altre città.

Sono una persona che ha sempre fatto della curiosità il motore pulsante della propria vita. Un innato desiderio di scoprire cosa non conoscevo mi ha stimolato a fare cose, vedere gente (per usare la citazione nota di un altro Moretti). Il vero stimolo per incontrare nuove persone e ascoltare esperienze, storie e comprendere nuove cose. Incontro con gli altri, ma anche l’arte, la cultura, la materia, le tradizioni e la natura. Ecco che i “molti” di Neruda mi appartengono, anche se a volte ci sono stati e poi sono andati via, a volte li ho lasciati, ritrovati o dimenticati. A conferma di ciò è la mia grande passione, quella del cinema, arte completa che racchiude in sé tantissime “pratiche” artistiche: fotografia, recitazione, scrittura, musica, pittura, tutte a servizio di una storia. Il cinema ha questa forza: puoi vestire i panni e ascoltare le storie di persone lontanissime da te, con cultura e storia differenti. Un grande viaggio nel tempo e nello spazio. Alla ricerca, forse, di quelli che sono gli altri me.
Dopo cinque anni di ragioneria, questa passione mi ha portato a spostarmi da Lucca, mia città natale e dove vivo attualmente, per studiare proprio cinema al DAMS di Bologna. Alle superiori infatti, avevo scelto una strada sbagliata (ma che non rinnego), quella dell’economia, preferendola a ciò che mi piaceva veramente, ovvero la letteratura e le arti. Per “recuperare” non me la sentivo di studiare Lettere e Filosofia all’Università perché mi mancavano le basi del latino, del greco e della filosofia, tre materie fondamentali per questo tipo di studi. Frequentare il DAMS voleva dire seguire corsi di letteratura italiana, inglese, estetica, storia contemporanea, arte e musica e naturalmente tanto cinema. Era un ottimo compromesso con ciò che cercavo. Al termine degli studi decido di realizzare una tesi di laurea su Andrej Tarkovskij, grande cineasta russo e nello specifico sul film biopic Andrej Rublev, scrittore di icone sacre. Ho scritto la tesi dopo tre anni di ricerche, incontri con studiosi e professori esperti sul tema, studi privati di teologia ortodossa e corsi di pittura delle icone russe per fare mio fino in fondo l’argomento in cui mi ero avventurato. È stato per me un grande successo personale perché non credevo di riuscire in un tema così lontano dalla mia cultura, poi Tarkovskij è uno dei migliori registi di sempre con una poetica a mio avviso inarrivabile. In seguito la passione doveva fare i conti con la realtà e cercai così nuovi corsi di studio che potessero legare la comunicazione agli eventi, anche cinematografici. Trovai un bel master con l’Università Cattolica di Milano poi quattro anni più tardi completai la formazione nella comunicazione con un nuovo master per professionisti in relazione pubblica d’impresa alla IULM. Anche la mia formazione, come vedi, segue un percorso tortuoso. Quasi come se andassi a ricercare ulteriori “me” per delineare una prima risposta alla domanda fondante per l’uomo che cercavo di diventare, quella su chi volevo essere.

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2. Cesare Pavese, La luna e i falò
L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa.

Quando si parla di “ignoranti” si pensa sempre a un’offesa e mai come a una persona che non ha avuto le possibilità, la sensibilità o semplicemente l’educazione di ottenere le giuste informazioni utili per la sua vita. Credo che, l’attuale situazione politica e sociale di gran parte del mondo sviluppato, ci insegni che siamo globalmente un po’ ignoranti e una sorta di potere invisibile abbia il desiderio di mantenerci tutti in questa condizione. La nostra vita è diventata una spasmodica corsa al benessere, alla felicità e alla tranquillità, mai come in questi tempi. Ciò che ci impedisce di stare sereni lo tagliamo dalla nostra vita perdendo opportunità e relazioni.
Credo che invece dovremmo partire da una necessità insita nell’essere umano ed è quella di conoscere e compiere scelte con coraggio, senza aver paura delle difficoltà che possono nascere. Per qualsiasi cosa nella vita, ma soprattutto per quello che sarà il nostro lavoro. È per questo che la citazione mi permette di raccontarti quello che è il mio lavoro principale e la mia “passione”: poter offrire ai giovani le giuste informazioni e competenze da rispendere nel mondo del lavoro. Esercito questa professione all’Università, sono il responsabile del Career Service dei corsi di laurea in Turismo della Fondazione Campus a Lucca. Questa mansione mi permette di essere quotidianamente a contatto con i giovani e con le aziende. Il doppio ruolo riesce a farmi comprendere di cosa hanno bisogno i due gruppi: da una parte gli studenti che cercano nella formazione la chiave per iniziare una carriera di successo e dall’altra le aziende che cercano dai giovani determinate competenze e preparazione. L’attività mi permette di fare anche uno dei lavori più belli, per me, quella del docente. Le mie “materie” di insegnamento sono le competenze trasversali, utili per il lavoro quanto le competenze tecniche. Sento molta responsabilità e orgoglio per questo ruolo. Mi piace perché è continuamente una sfida e un confronto che mi aiuta a capire le evoluzioni della società e degli studenti. E mi infastidisco quando sento le solite generalizzazioni sui giovani che non hanno voglia di fare niente, che sono viziati, choosy, e cose di questo genere. Ho conosciuto e conosco persone splendide che dieci anni fa non era possibile trovare alla loro stessa età. Anche in questo modo continuo a formarmi e a imparare. Ascoltando altre persone, con diverse storie, lontane dal mio vissuto.
Mi sento molto responsabile per la carriera professionale di questi giovani, e infatti cerco di svolgere il mio lavoro il meglio possibile; non voglio rischiare di compromettere sul nascere carriere professionali dei molti studenti che mostrano fiducia nel nostro servizio. Non avrei scusanti con me stesso prima che con gli altri, se “tirassi via”.

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3.Thomas A. Edison
Genius is one percent inspiration, ninety-nine percent perspiration.
Il genio è un percento ispirazione, novantanove percento fatica

Una persona con cui ho avuto la fortuna di lavorare un giorno mi disse: “Simone perché non scrivi? Credo che questo sia il tuo talento più spiccato”. Pensa Vincenzo che quando mi ha detto ciò ho pensato dentro di me: “Figurati, scrivere per me è una delle attività più faticose: per scrivere una pagina Word posso metterci anche tutto il giorno. Non potrei mai far diventare la scrittura la mia professione.” Ma, come dice James Bond, mai dire mai, almeno fino al 2016, anno in cui ho deciso di aprire un mio spazio sul web, un blog, in cui potessi parlare di ciò che mi appassiona. Sentivo questo bisogno di scrivere, anche cose di poco senso. Sai Vincenzo che ogni sera prima di addormentarmi tengo una sorta di agenda su cui scrivo ciò che ho fatto durante il giorno? Sì proprio così, come mero elenco di ciò che ho vissuto o che mi è capitato, lo faccio perché sento il bisogno di imprimere situazioni, fatti ed emozioni. Come se, dal momento in cui li vedo scritti, diventassero indelebili nella mia vita. Ma non voglio perdere il filo… Dicevo che nel 2016 iniziai a pensare concretamente a un sito web tutto mio e arrivai alla conclusione di scegliere tra due progetti ben diversi l’uno dall’altro. Il primo era quello di aprire un blog incentrato sulla letteratura di Jack Kerouac, mito personale di profonda ispirazione, perché vedevo che in giro se ne parlava sempre meno. Molti miei coetanei non lo conoscevano, se non di nome, e quindi mi sentivo in qualche modo pronto per poter scrivere qualcosa di originale sul suo conto. La scelta invece è ricaduta sulla seconda opzione: il lavoro. Mi accorgevo che tutte le dinamiche relative al lavoro, come pratica sociale, mi interessavano a tal punto da leggere spesso libri sull’argomento. Inoltre dall’attività che svolgo all’Università, quotidianamente mi trovo a dare consigli agli studenti su come preparare il curriculum, la lettera di presentazione, come scrivere sui social per promuovere la propria identità, e cose di questo genere. Nasce così il progetto de La divina carriera, diventato ora più di un blog, uno spazio di condivisione di esperienza, consigli e riflessioni su un nuovo modo di ripensare il lavoro. Dopo quattro anni posso dire di aver raggiunto un primo obiettivo di visibilità con 60-70 visitatori quotidiani e ne sono veramente molto soddisfatto.

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4. Vincenzo Moretti, Il lavoro ben fatto
Una vita senza lavoro è una vita senza significato, pure se tieni i soldi.

Una volta parlando con un mio amico venne fuori proprio l’importanza dei soldi nel lavoro. Non voglio fare l’ipocrita, perché sappiamo quanto i soldi siano importanti per una vita serena e tranquilla. Però credo che dovremmo dare più ascolto a noi stessi piuttosto che alla ricerca sfrenata dei soldi. Mi spiego meglio. Tante volte parliamo di talento a vanvera, enfatizziamo qualità e competenze delle persone chiamandole “talenti”, ma tralasciando il lato eccezionale della parola stessa. Il talento è qualcosa che ti è stato dato, da Dio, per i credenti come me, dal daimon platonico o dal destino per altri. E deve essere quello il motore che ti spinge all’azione, non il solo perseguire obiettivi monetari, perché di soldi non ne avrai mai abbastanza e sarà un rincorrere un obiettivo irrealistico. Secondo me, quello che evidenzia questa tua bellissima frase, Vincenzo, è proprio la rilevanza che diamo al lavoro, un po’ come Jack Kerouac definiva la vita: “andare, andare, dove? Non lo so, ma dobbiamo andare!” Il valore si deve dare al viaggio, che poi in questo caso è il lavoro o meglio ancora la vita, non alla meta finale. Come faccio a vivere bene se davanti a me ho sempre il pensiero della morte? Lo stesso con il lavoro, se penso continuamente allo stipendio o (ancora peggio) al giorno che andrò in pensione come faccio ad apprezzare le mie attività e a godermi i frutti del mio talento? Ecco, il significato della citazione per me sta in questo. Comprendere che il lavoro, qualunque esso sia, anche quello svolto per passione, senza una remunerazione, è una delle parti più significative della vita di un uomo.
E ciò mi permette, Vincenzo, di raccontarti i miei hobby: il kamishibai, l’orto, la natura in generale, la panificazione e leggere storie ad alta voce ai bambini. Il primo e l’ultimo riguardano il mondo dell’infanzia. Adoro i bambini e mi piace osservare le loro dinamiche, il loro imparare a vivere, come stanno in gruppo, come riescono a stupirsi. Credo che stiamo perdendo il tempo dell’osservazione. Pensiamo che tutte le cose da sapere, da vedere o da fare stiano su Facebook e invece il mondo ci sfugge letteralmente di mano. Non c’è niente di più bello che perdersi nel cercare di comprendere gli altri, ma anche nell’osservare la natura che cambia. Si dice sempre che non c’è miglior spettacolo che un tramonto sul mare, ma assistiamo a tantissimi altri spettacoli naturali e non ci facciamo caso. Un merlo che guarda furtivo dove spiccare il volo, una lumaca che lascia la sua scia luminosa nel prato, le lucciole di maggio nelle notti senza luna. Questo per me è emozione e quotidianità. Inoltre mi diverto a impastare. Faccio il pane in casa e ogni fine settimana non manca pizza e focaccia. La famiglia di mia moglie lo ha sempre fatto da una generazione all’altra e mi è piaciuto continuare questa tradizione.

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5. Philip Roth, Perché Scrivere
Primo Levi: Ad Auschwitz ho notato spesso un fenomeno curioso: il bisogno del lavoro ben fatto è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità professionale.

Questa citazione è una delle mie preferite quando porti in giro il manifesto del lavoro ben fatto. Solo perché all’inizio, come credo sia giusto e naturale, mi sono un po’ arrabbiato con questo muratore italiano: perché non poteva usare la sua sapienza per creare muri dritti, ma magari che potessero cedere in testa ai tedeschi? E invece ho compreso fino in fondo che è una grande lezione di vita, il lavoro finale qua è marginale eppure è al centro di tutto…
Nel 2012 quando è nato il mio primogenito ho rivolto tutte le attenzioni a me, sì sembrerà strano, ma prima di ammirare con occhi commossi mio figlio che cominciava a crescere, imparava a dare valore alle cose, ho rivolto lo sguardo a ciò che potevo offrire a mio figlio. Il mio comportamento, la mia etica, il mio modo di “fare” era giusto per educare bene un bambino? In altre parole: ero pronto? E questo racconto di Philip Roth l’ho visto proprio come la straordinaria avventura dell’essere genitore. Nel momento in cui mi è richiesto di “fare” di dare il buon esempio, mi dovevo “aggiustare” oppure avevo un comportamento corretto? Il muro (l’esempio) lo tiravo su bene? Queste sono state e sono ancora le domande che mi faccio e questo episodio mi permette di ricordare. Poi nel 2015 arriva il mio secondo figlio, una bambina, e il mio essere padre prende ancora una nuova piega. Ogni creatura che nasce ha bisogno di comprensione e di rispetto emotivo, e, non dico niente di nuovo, ognuno è diverso e richiede di ripartire di nuovo da capo. In questi anni sto capendo con la mia vita cosa intendeva fare quel muratore italiano. Poter dare un senso al suo lavoro, al suo essere, seppure in una situazione, diciamo, per essere generosi, “limitata”, ma ciò di cui era consapevole è che non si doveva attaccare in alcun modo la dignità della persona.

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6. Manifesto del Lavoro Ben Fatto, Articolo 3
Ciò che va quasi bene, non va bene.

Mi comporta molto dolore in ambito professionale quando ci sono delle situazioni che non posso gestire personalmente e mi viene chiesto di raggiungere il risultato a prescindere da come ci si può arrivare. Per me è un atteggiamento assurdo, perché il viaggio è l’essenza stessa dell’esperienza e non la meta. Saper gestire le difficoltà, provare a fare l’impossibile, riporre speranza nelle tue capacità equivale a darti forza. È questione di fiducia in se stessi. Ho sempre cercato di avere questa propensione nel lavoro, anche quando appare insormontabile. Sono cocciuto di carattere e il superamento delle difficoltà è una soddisfazione che non si può eguagliare sia se si parla di vita privata che di lavoro. È per questo che il fatto di raggiungere in qualsiasi modo l’obiettivo non è nel mio carattere e non mi interessa. Se posso provarci, ci provo, se vedo che sta andando male, voglio poter dimostrare di aver fatto veramente tutto il possibile, anche di più di quello che potevo fare. Credo che solo così si può continuare a crescere. Sono sicuro anche che questa visione delle cose, abbia in qualche modo educato la mia convinzione che è importante dare valore al professionista come persona prima che alla “risorsa (economica) umana” che rappresenta. È il motivo per cui quando ho incontrato il network di FiordiRisorse mi sono innamorato all’istante della loro (ora nostra) chiave interpretativa del presente a partire dalle umane risorse. E tutto questo grazie alla mente di Osvaldo Danzi e alla cura formidabile di Stefania Zolotti, direttore di Senza Filtro, la rivista online dove queste idee vengono raccontate con perfetto stile giornalistico e dove ho la fortuna di scrivere ogni tanto.

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7. Elias Canetti, La tortura delle mosche
Chi ha imparato abbastanza, non ha imparato niente.

La formazione è un punto centrale della mia vita, che risponde al mio desiderio di curiosità: sono la classica persona che ama studiare, non nel senso scolastico del termine (non sono mai stato uno studente modello), ma nel senso cognitivo, cioè appassionarmi a un argomento tanto da fare delle ricerche specifiche, leggere libri e confrontarmi con gli altri.
Insomma, Vincenzo, a un certo punto della mia vita ho acquisito una consapevolezza ulteriore di quanto la formazione fosse necessaria a me, ma anche ad altri, proprio perché, come dice la citazione, non si finisce mai di imparare e soprattutto più sai e più sai di non sapere.
Nasce così il desiderio a inizio 2020 di diventare libero professionista e svolgere attività di consulenza sulla formazione per le aziende. Ho iniziato davvero da poco, in clima pre-Covid poi tutto si è fermato. Ma in questi pochi mesi di attività ho già avuto una bella soddisfazione grazie all’esperienza della gefarAcademy, il desiderio del grande amico Gianmarco Guerrini, titolare insieme a Gian Luca Bacciarini ed Elisa Proietti dello Studio Gefar, di creare un’Academy per il Valdarno. Abbiamo iniziato a creare eventi formativi insieme al network di Fiordirisorse ed è stato un bel successo di pubblico e di attenzione mediatica. Questa è, e sta diventando ogni giorno di più, la mia sfida per il futuro.

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8. Walter Isaacson, Steve Jobs
[…] Suo padre gli aveva inculcato un concetto che gli era rimasto impresso: era importante costruire bene la parte posteriore di armadi e steccati, anche se rimaneva nascosta e nessuna la vedeva. Gli piaceva fare le cose bene. Si premurava di fare bene anche le parti che non erano visibili a nessuno.

Durante questa quarantena ho fatto fare spesso il compito per la didattica a distanza ai miei figli e c’è stato un episodio che mi ha fatto riflettere e credo sia molto simile a quello raccontato da questa citazione. Un giorno io e mia moglie comprammo a nostra figlia Martina, delle matite nuove, ben 24. Per lei era qualcosa di nuovo perché era abituata a colorare con i pennarelli in piccola varietà di colore. Non appena aprì la scatola vide che c’era anche il bianco. Non potete immaginare la felicità. “Non ho mai visto il colore bianco.” Le dissi (sbagliando, ma genitori non si nasce, si diventa a forza di errori) che si poteva usare sulla carta colorata e provammo subito su un foglio nero. Giorni dopo doveva fare, come compito, quattro disegni di come ci si deve lavare le mani. Arrivati alla fase della saponetta, la disegnò nella sua forma e intorno la riempì di schiuma, evidenziandone i contorni con una matita grigia. Al momento di colorare, senza farsi troppi problemi, disse: “Ora coloro la schiuma di bianco!” E io obiettai (sempre sbagliando): “ma il foglio che stai utilizzando è bianco, non si vedrà che l’hai colorato.” E lei rispose: “Lo so ma così la schiuma è più bella! L’ho fatta del colore vero” Non potete immaginare come restai di sasso, l’ennesima riprova che dai bambini abbiamo sempre molto da imparare. Ecco un episodio simile a quello raccontato da Isaacson che ci racconta che la bellezza è un approccio alle cose che fai e dona al tuo lavoro il senso che ricerchiamo anche involontariamente.
Vincenzo, quando mi hai lasciato la citazione mi hai anche detto che ti sarebbe piaciuto che ti indicassi una persona o un momento che mi ha reso consapevole del fatto che la bellezza e il lavoro stanno bene insieme. Pensandoci bene una svolta c’è: torna ancora la mia passione del cinema e le mie piccole esperienze teatrali della gioventù. L’epifania è arrivata quando sono venuto a sapere che Luchino Visconti, regista di alcuni dei più grandi film italiani che amavo, girava pellicole o dirigeva spettacoli teatrali con una cura maniacale per la scenografia. Se sulla scena per esempio c’era un tavolino con un cassetto, dentro quel cassetto doveva esserci l’occorrente che solitamente sta in un cassetto del genere, anche se non si doveva mai aprire o se non si vedeva in scena. Non voglio peccare di presunzione, ma quando faccio qualcosa cerco sempre di farlo nel migliore dei modi, perché solo così riesco a godere del manufatto o del servizio che ho dato. Mi permette di ricevere dal lavoro che faccio, sia esso per passione o per dovere, ciò che cerco dall’attività, quella che si chiama soddisfazione. La parola stessa però non rende l’idea di quella sensazione di compiutezza e felicità. Perché una semplice soddisfazione può dartela molte cose, anche senza che tu ci abbia messo un grande impegno. Una pianta che hai seminato e cresce, un pane che nella fase di lievitazione gonfia, la bella pagella di scuola di tuo figlio. Ma tante di queste cose possono essere casualità oppure non completamente dipendenti da te. La soddisfazione che hai quando finisci un lavoro può essere una grande cosa. Un’emozione unica da scoprire: ha a che fare con l’amore che metti in quello che fai.

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9. Lascia la tua citazione
Posso fare un’eccezione alla regola? Vorrei lasciarne due, sono molto brevi, spero non ne avrai a male.
Platone: L’inizio è la parte più importante del lavoro.
Henry Ford: Qualità significa fare le cose bene quando nessuno ti sta guardando.