Rossella, l’Associazione Gottifredo e gli studenti cinesi

Caro Diario, oggi ti racconto di Rossella Sgambato, 27 anni, occhi che a me sono sembrati verdi ma lei dice azzurri, e c’è da crederle perché io con i colori proprio non ci prendo. Alla voce formazione ha conseguito la laurea triennale in Lingue, lettere e letture comparate e  quella magistrale in Relazione e istituzioni dell’Asia e dell’Africa, indirizzo lingua cinese, ma su questo avremo modo di tornare.
Come dici? Certo che conosce anche l’inglese, ma la lingua più importante in questa storia è il cinese, perciò evita le domande inutili che mi fai scordare quello che ti devo dire. 
Allora, con Rossella ci siamo incontrati ieri ad Alatri, ero lì su invito dell’Associazione Gottifredo per raccontare Novelle Artigiane. Per la verità di lei mi aveva già parlato più di una volta Tarcisio Tarquini, e mi è bastato poco per capire che il mio amico aveva ragione, che questa ragazza aveva una bella storia da raccontare, però è stato quando le ho chiesto di tradurre per le ragazze e i ragazzi cinesi le cose che avremmo detto di lì a poco e lei mi ha risposto, “come?, la traduzione simultanea?, Vincenzo per favore no” che mi sono convinto.
Come dici caro Diario? Così non si capisce niente? Chi sono queste ragazze e questi ragazzi cinesi? E poi l’ha fatta o no la traduzione in cinese?
Se vuoi sapere se ha fatto la traduzione devi leggere la nota a margine, qui si parla soltanto di Rossella, perciò ascolta la sua storia così come ho fatto io durante il viaggio in autobus che da Alatri ci ha portato a Napoli insieme alle studentesse e agli studenti cinesi.

“Vincenzo, dopo il diploma al liceo linguistico mi sono trovata di fronte a una scelta”, ha iniziato, “per la verità ero abbastanza indecisa tra giapponese e cinese, poi, anche alla luce delle future opportunità lavorative, ho scelto il cinese”.
“Scusa Rossella”, l’ho incalzata, “ma perché hai scelto proprio tra giapponese e cinese e non tra altre lingue?”.
“Devo dire la verità?”
“Certo che sì”.
“Ho seguito il consiglio di mio padre, che al tempo lavorava per un’azienda giapponese”.
“Va bene, su questo torniamo dopo, adesso raccontami un poco di te, parlami di un po’ di cose che ti piacciono e un po’ che invece no, in qualunque ambito, però non cose così, cose che ti caratterizzano, cose che quando ti leggeranno le persone che ti conoscono penseranno sì, è proprio lei, mentre quelle che non ti conoscono diranno però che tipo questa Rossella”.
“Che ti devo dire Vincenzo, nella musica ho una preferenza particolare, un artista che mi riporta alle mie origini – mia madre è campana – Pino Daniele, adoro le sue canzoni. E per le stesse ragioni sono una tifosa sfegatata del Napoli. Dopo di che ti posso dire che non mi piacciono i dolci, che sono introversa e a volte anche insicura. Sì, direi che mi piace lavorare dietro le quinte, non amo stare troppo in evidenza, le luci della ribalta non fanno per me. E poi ancora che tendo alla perfezione, per questa cosa qui anche durante l’università sono stata criticata parecchio, e in parte lo capisco, tendere alla perfezione ha aspetti positivi ma anche negativi.
A mio favore direi che sono molto generosa, sono una persona che mette a disposizione tutto quello che ha per gli altri. Ah, mi piacciono molto le banane verdi, acerbe, appena raccolte, e sono molto contenta del mio lavoro”.

“A proposito di lavoro, Tarcisio mi ha detto che al momento sei l’unica dipendente dell’Associazione Gottifredo”.
“Sì. L’associazione nasce nel 2015 e poco dopo ha cominciato a lavorare per i programmi Marco Polo e Turandot. Io, pur essendo l’ultima arrivata, grazie alle mie competenze e al fatto che parlo il cinese ho potuto proporre la mia candidatura, in più c’è il fatto che sono di Alatri, e valorizzare una risorsa del territorio deve essere sembrata una buona idea”.
“Ecco, adesso però facciamo un tuffo nel passato, mi dici se c’è un momento particolare nel quale il lavoro è entrato nella tua vita? Non so se mi spiego!”.
“Sì, penso di aver capito. Vedi, i miei genitori hanno sempre lavorato in aziende private, settore automotive, per diversi anni nella stessa azienda poi, in seguito a una  divisione dei rami di attività, papà in una multinazionale giapponese e mamma in una italiana. A un certo punto finirono tutti e due in cassa integrazione, io avevo 10 – 11 anni e penso che è stato allora che l’idea di lavoro si è fissata nella mia testa. Vedi Vincenzo, in fondo i miei sono stati anche fortunati perché non furono licenziati e furono molto bravi a non farci capire quello che stavano passando, ma comunque io e mio fratello Vincenzo, più piccolo di me, ci ritrovammo a fare i conti con parole come difficoltà, preoccupazioni, incertezza, crisi. Mio fratello non so, come ti ho detto era più piccolo, ma io quel periodo lì me lo ricordo bene.
 Comunque fu solo un periodo, sono potuta crescere e ho potuto fare il mio percorso di studio e di vita senza particolari patemi d’animo.
A 22 anni il primo lavoro, ho insegnato inglese per 3 mesi in una scuola privata di Aversa. A 23 anni, dopo la laurea triennale, sono andata in Cina per 2 mesi e lì ho fatto la cameriera. È stato un lavoro che apprezzato molto, una grande opportunità anche se non mi pagavano, perché il fatto di essere stata inserita in quell’ambiente mi ha permesso di imparare molto.
Vincenzo, appena sono arrivata lì sembrava che il cinese non l’avessi mai studiato, andavo in giro e mi chiedevo ma io questi tre anni che cosa ho studiato? Invece in quei 2 mesi ho cominciato ad abituarmi alle tonalità della lingua cinese, non so se lo sai ma nel cinese parlato esistono 4 toni che consentono di dare un significato differente a una parola che si pronuncia nello stesso modo. Nel cinese scritto è diverso, ma quando parli non è che hai l’idiogramma stampato”.
“No, non lo so, sono infinite le cose che non conosco, ma questo adesso non importa, continua con il tuo racconto”.
“Rientrata in Italia decido di cambiare corso di laurea. Quello che scelgo per la magistrale è totalmente diverso, ha un ambito più politico, economico, perché in realtà la mia ambizione principale non è quella di diventare una docente ma quella di lavorare in realtà internazionali tipo organizzazioni umanitarie o anche in campo diplomatico, mentre con l’indirizzo della laurea triennale avrei potuto soltanto insegnare. È così che imparo cose che il nostro sistema scolastico – tutto incentrato sull’occidente –  precedentemente non mi aveva mai insegnato, in buona sostanza mi si apre un mondo fino ad allora sconosciuto. Vedi Vincenzo, studiare una lingua non basta per comunicare con persone di altri paesi, hai bisogno di comprendere la loro cultura, le loro tradizioni, il loro approccio. Vale sempre, ma se la lingua in questione è il cinese vale ancora di più”.
“Mi fai venire in mente  il filosofo e sinologo François Jullien e i suoi meravigliosi insegnamenti sul pensiero cinese come “pensiero altro” rispetto a quello occidentale, ti consiglio di leggere qualche suo libro, te ne innamorerai. Tornando a noi, altri lavori che hai fatto prima di questo all’Associazione Gottifredo?”
“Ho fatto lezioni private di inglese e poi, con il boom, sono passata al cinese, ma per periodi brevi. I corsi universitari mi impegnavano dalla mattina alla sera e ho studiato soltanto, non ho lavorato”.
“Neanche d’estate?”.
“L’estate ero piena d’esami. Con il primo anno della magistrale concludo gli esami il primo Luglio e ricevo la telefonata dell’Associazione Gottifredo che mi dice che dal primo Gennaio successivo avrei dovuto cominciare a lavorare. Sai che faccio?”.
“No!”
“Accorpo tutti i corsi di un anno in un semestre e studio così intensamente che non ho più una  vita, solo studio, Vincenzo sono diventata una specie di macchina da studio mentre dopo studio e lavoro. Per dirti: i ragazzi arrivano a Gennaio 2016, se ne vanno a fine Settembre, il nuovo contingente arriva l’11 Novembre del 2016 e ad Aprile 2017 mi laureo con 110 e lode, alla triennale invece avevo preso 107”.

“Come si svolge concretamente il tuo lavoro?”
“Coordino il progetto iostudioitaliano,  proprio così, tutto attaccato, gestisco studenti cinesi che arrivano qui ad Alatri per 10 mesi e contemporaneamente lavoro per mantenere i rapporti con la Cina, dove per ovvie ragioni ritorno per circa un mese ogni anno, e mantenere il flusso annuale di studenti,  una quarantina l’anno è il nostro numero ideale.

“Che cosa fai con loro durante questi 10 mesi”, chiedo ancora. 
Rossella sorride, muove la testa e mi risponde “Vincenzo, so’ la mamma, sono tutti o quasi 18enni, appena diplomati, vengono per imparare la lingua per poter accedere alle accademie di belle arti, ai conservatori, alle università.
Il primo mese è particolare, loro arrivano in un mondo assolutamente nuovo e la cosa principale da fare è quella di accoglierli nella comunità locale, cosa non così scontata perché anche Alatri è una comunità piccola e insomma ci vuole un po’ di tempo per mettere i diversi tasselli al loro posto. Poi si inizia con lo studio della lingua italiana con le attività culturali collegate, la gita di oggi a Napoli è una di queste.
Ah, non ti ho ancora detto che la maggior parte degli studenti di quest’anno viene da Nantong, una media città della Cina, e come puoi immaginare appartengono a famiglie che possono permettersi di sostenerli in questo loro percorso.
L’obiettivo è insegnare loro sia a parlare che a leggere e a scrivere, anche perché quando fanno l’esame hanno una prova orale, una di ascolto, una di comprensione del testo e una scritta. 
Noi somministriamo le prove rispettando i criteri previsti dall’Università Roma Tre, poi le raccogliamo e le spediamo all’ufficio CLA (Centro Linguistico di Ateneo), loro le correggono e le valutano assegnando a ciascuno un punteggio”.
“Capita che qualcuno sia bocciato?”.
“Certo che capita. Noi nel nostro lavoro puntiamo sempre sulla qualità, li prepariamo, ma poi li valuta l’università o gli istituti d’arte o musicali dove sono diretti e naturalmente non tutti passano l’esame. Nel corso dei 10 mesi il percorso di studio parte dal livello A1 e arriva a quello  B2, con 800 ore di lingua italiana e 200 di cultura artistica”.

Ecco amico Diario, ormai siamo quasi giunti a Napoli quando faccio a Rossella la domanda che mi piace di più, “cosa significa per te il lavoro, perché è importante, vale”. Lei rimane per un po’ in silenzio e allora io come per incoraggiarla le dico “che ne so, autonomia” e lei risponde “sì, certo, autonomia”, però poi fa il sorriso più bello che ha, truculea (scuote) la testa e dice “sì Vincenzo, autonomia ci sta, però per me il lavoro è soprattutto soddisfazione, è quando ti chiedono che lavoro fai e tu mentre rispondi capisci che fai il lavoro per cui hai studiato, e pensi che sei fortunata perché tutti i sacrifici che hai fatto non sono stati vani e dentro di te sei contenta assai”.
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