Caro Diario, Giuseppe Autiero è entrato nella mia vita un martedì di un paio di mesi fa, mastro Pasquale Mancini aveva appena cominciato a tagliarmi i capelli quando lui è arrivato in compagnia del suo sorriso, dei suoi baffi e della sua buona educazione.
Come dici amico Diario? Pasquale Mancini è un hair stylist non un artigiano? Non sono d’accordo. È vero, il lavoro che fa insieme all’amico Salvatore è quello, ma ciò non toglie che è una persona che usa i suoi attrezzi di lavoro – forbici, pettini, rasoi e tutto il resto – con maestria, che mette la testa, le mani e il cuore in quello che fa, in pratica un maestro.
Tornando a Giuseppe, dopo il giro di chiacchiere calcistico che quello quando stai dal barbiere è obbligatorio, a un certo punto non ricordo perché accenna al fatto che c’è stata una prima parte della sua vita in cui la sua famiglia è stata ricchissima e viveva in un attico a Milano, e dopo una parte in cui è diventata così povera che è dovuta tornare a Napoli “e mi sono trovato a giocare a pallone con i sacchetti di immondizia come pali delle porte”.
Ora, come puoi immaginare, io già qui ho rischiato di farmi tagliare per lo spostamento repentino della testa verso di lui, non ti dico come mi sono “appizzato” quando ha aggiunto che la sua storia la stava scrivendo a mano su un quadernone.
Come dici caro Diario? Potresti scommettere che non mi sono fatto sfuggire l’occasione di dargli una guardata? È vero, non me la sono fatta sfuggire, però senza essere invadente come pensi tu, nel senso che prima mi sono fatto mandare qualche pagina fotograta via chat, poi mi sono fatto portare da Pasquale una quindicina di pagine fotocopiate e poi finalmente, ieri sera, gli ho prima scritto e poi telefonato e gli ho fatto le mie solite tre domande tre.
Aspetta, non andare di fretta, perché prima di dirti cosa mi ha risposto ti devo raccontare un po’ delle cose che ha scritto nel suo quadernone, in buon italiano, rigorosamene in lettere maiuscole.
«Tutto ebbe inizio la mattina del 21 Settembre 1977 in una clinica di Mugnano di Napoli, era di Giovedì. […] Al terzo mese di vita il primo cambiamento, mia mamma e mia sorella – nata a Milano – decidono di ritornare su. Sì, dico ritornare, perché erano 3 anni che facevano su e giù senza capire dove vivere. Mio padre, che faceva l’importatore di tappeti dalla Persia, decise a sua volta che Milano sarebbe potuta essere una meta cruciale per i suoi affari, e così fu.
Furono anni meravigliosi per il commercio, il lavoro di papà andava alla grande, facevamo una vita molto agiata ed io ero un bambino – unico maschio e con lo stesso nome di mio nonno – che aveva anche di più di quello che poteva desiderare, attico su due livelli zona San Siro, casa sempre piena di amici che mi portavano regali semplicemente per compiacere mio padre, ecc. […] Ma tutto quello che luccicava forse non era proprio oro e infatti per quanto non mi mancasse nulla c’era qualcosa in me che non andava, ero sempre molto tmido, introverso, i veri primi ricordi di scuola li ho dalla terza elementare e non sono ricordi belli, non sapevo leggere e la maestra dell’epoca continuava ogni giorno a mortificarmi davanti a tutti. Ormai avevo un blocco, a scuola non riuscivo più a parlare. […] Comunque scuola a parte era tutto molto bello, il pomeriggio per esempio si andava in oratorio, si giocava a calcio sul campo, oppure si giocava con i pattini, insomma all’oratorio c’era sempre qualcosa di bello da fare.»
Mi verrebbe da fermarmi qui caro Diario, ai ricordi belli, e invece ti devo dire che con un furto di 300 milioni di vecchie lire di merce ai danni di Cristofaro, il papà di Giuseppe, inizia il declino, con i fornitori da pagare, lo scoramento, i malanni, i litigi, lo spaesamento, l’esaurimento nervoso, il ritorno definitivo a Napoli che Giuseppe annota così: «Ci ritrovammo senza amici, in un quartiere che era quello che era, in uno stato psicologico molto fragile, ricordo i pianti, le paure e le sofferenze ma anche la tanta voglia di emergere e di dimostrare il mio valore.»
Ecco, adesso però ci possiamo fermare e capire un po’ di più del Giuseppe di oggi, che te lo garantisco è un uomo pieno di sorprese, leggi e vedi se non tengo ragione.
«Vincenzo, sul piano personale oltre a quello che ti ho scritto cosa ti posso dire, che mia madre Anna è una donna (casalinga) di estrema generosità e umiltà, che ho una sorella, Veronica, che è un altro punto fermo per la mia crescita, che sono sposato con Marianna da 15 anni e che abbiamo 3 meravigliose figlie, Camilla, Ludovica e Serena.
Per il resto sono un uomo con tanti interessi, uno su tutte è il Napoli, anche se a dir la verità da piccolo sono stato tifoso milanista, sai, nel periodo milanese. Tornato a Napoli mi è sembrato logico tifare per la città in cui sono nato e nella quale sono tornato a vivere. Mio padre è anche egli tifoso, ma non con la mia stessa passione, una passione che è cresciuta con gli anni, man mano che ho imparato a vivere e a sentire mia questa città.
Oltre al calcio, leggo molti libri di motivazionali, self help come si dice, tutto nasce un pomeriggio quando prendo un permesso a lavoro e vado ad ascoltare un formatore di nome Roberto Re a Città della Scienza. Venivo da una brutta vacanza interrotta da un problema di salute, rivelatosi poi, per mia fortuna, nulla di che. In quel periodo difficile, più che altro mentale, mi buttai a capofitto in questa nuova esperienza e da lì in poi ho divorato libri di tutti i tipi dei più grandi formatori, del presente e del passato. Continuo a leggere in modo passionale ancora oggi.
Per il resto mi sveglio molto presto la mattina, faccio mezzora di ginnastica o vado in palestra, leggo per un’altra mezzora e mi preparo alla giornata che mi aspetta, esprimendo gratitudine per quello che ho.
Un’altra mia passione è il cinema, ho due categorie di film preferiti: quelli autobiografici, le grandi storie di persone che nella vita sono arrivate e ce l’hanno fatta, e quelli del genere gangster del passato, su tutti il padrino Donnie Brasco, e poi tutti i film interpretati magistralmente da Al Pacino. Probabilmente questa passione nasce dal fatto che come avrai letto da piccolo ero molto chiuso, timido, non facevo mai uscire, diciamo cosi, il mio lato oscuro più pronunciato. Comunque ero attratto dalle cose fuori dagli schemi e infatti è cosi che piace definirmi, una persona schietta, diretta, che dice quel che pensa e fa quello che dice, pagando tante volte, in prima persona, per le mie esternazioni e i miei comportamenti talvolta anche discutibili anche se oggi mi rivedo di più in una persona tranquilla.
Ascolto musica di vario genere, mi piace molto quella dagli anni ’70 in poi, forse perché erano anni di grande ribellione e cambiamento, e infatti dico spesso a chi mi conosce che dovevo nascere proprio in quegli anni lì, perché sarei diventato o uno che cambiava le cose o un bandito.
Nelle persone non mi piace la falsità, sì, non sopporto le persone false, anche se oggi è difficile non esserlo almeno un poco, sono un’ottima forchetta ma siccome ho l’ipertensione sono sempre attento a ciò che mangio. Soltanto a volte, quando sono giù di morale, mi perdo nei piatti che mi piacciono di più.
Alla voce lavoro sono dipendente di un’azienda di distribuzione di prodotti per parrucchieri, barbieri ed estetiste, insomma vendiamo tinture e rasoi per capelli, forbicine per manicuriste e tutto ciò che riguarda il mondo dell’estetica. Un mondo nel quale oggi anche l’uomo cura il proprio corpo come e a volte più delle donne, depilandosi e avendo cura dei capelli e della barba in un modo quasi maniacale.
Faccio l’operaio per 4 giorni e mezzo alla settimana, mentre il martedì esco come rappresentante, un lavoro che mi riempie di positività in quanto il contatto con le persone è per me vita. Sì, il rapporto con i clienti mi fa sentire bene, non a caso con tanti di loro come hai visto da Pasquale siamo diventati amici. Oltre all’aspetto economico, che anche quello è molto importante, la vendita la vivo con passione essendo figlio di un grande venditore, di una vecchia volpe del business, lo stesso era anche mia nonna, la madre di mio padre, grande venditrice e donna dal grande temperamento.
Il mio lavoro mi gratifica, mi piace, anche se fisicamente è pesante al punto che la sera, dopo una giornata iniziata come ti ho detto di buon mattino, mi concedo alle braccia di Morfeo molto presto, togliendo momenti importantissimi alla mia famiglia. Il mio lavoro mi permette di vivere e mi permette di regalare momenti di gioia ai miei familiari, ma quello che non ha prezzo è il contatto con le persone.
Ciò detto, devo aggiungere che il mio sogno da piccolo era un altro – per molti versi lo è ancora oggi – volevo fare lo speaker radiofonico, perché secondo me il comunicare, il raccontare e il parlare sono fonti di vita. Perché ho dovuto rinunciare? Innazitutto perché non ho voluto e potuto studiare – ho interrotto gli studi in 4 ragioneria – e quindi non avendo una buona conoscenza dei verbi – cosa che sto studiando – non era un lavoro che avrei potuto intraprendente.
Lasciata la scuola tra i 17 anni e i 18 – sono stato bocciato in prima media – ho iniziato a lavorare. Ho fatto molti lavori, il primo in una cornetteria di notte, molto famosa a Napoli, ma dopo circa 4 anni ho capito che non era quello che volevo, quindi decisi che volevo fare l’autista di camion, mi misi a lavorare con un mio zio, persona di grande spessore, e feci subito, come si dice in gergo, la linea. Presi le patenti, che ancora oggi ho, ma non sfondai neanche in questo settore cosicché un giorno mi feci il passaporto e andai per circa due mesi nella Repubblica Ceca. Mi aggregai ad un gruppo di ragazzi che vendevano giubbini di pelle, ma neanche quello era il mio mondo, così tornai a Napoli e mi misi a fare il commesso nei negozi di abbigliamento.
Uno diverso da me si sarebbe fermato, io no, anzi decisi di ricominciare tutto da capo e andai a lavorare in un’impresa di pulizia, lì mi mandarono a pulire i cessi nell’azienda che ancora oggi mi dà lavoro. Sì, caro Vincenzo, mi feci notare per la mia dedizione al lavoro e così dopo qualche anno fui assunto e finalmente eccomi qua che dopo 13 anni e uscendo solo un giorno a settimana ho 60 clienti costruiti da me, con il mio impegno e la mia tenacia, con la convinzione di potercela fare e chiedendo sempre di più a me stesso. Ti dico la verità, oggi sono soddisfatto, però cerco ancora di migliorare. Il mio prossimo salto sarà probabilmente quello di diventare datore di lavoro di me stesso, cercando di non perdere mai il mio carattere duro, amorevole e risoluto.
Infine mi hai chiesto che che cosa significa per me il lavoro.
Per me il lavoro è passione, è esprimere al meglio le proprie capacità, è cercare di fare sempre meglio di quello che ti viene chiesto, non fare solo ciò per cui sei pagato, fare sempre un po’ di più per sentirti gratificato come uomo la sera quando vai a letto. Vincenzo, secondo me il lavoro è quella cosa che ti stimola a scoprire che cosa sei capace di fare, fino a che punto sei disposto a spostare il tuo limite di sopportazione fisica e mentale, non so se mi sono spiegato bene.»
Ti sei spiegato bene Giuseppe, altro che se ti sei spiegato bene. Quando ieri sera mi hai scritto “sai Vincenzo, sono stato contento di aver raccontato un po’ della mia storia, oggi per me è stato un giorno speciale” sono stato contento assai pure io, perché come ho scritto sui social i visionari come Steve Jobs, Jack Ma e Jeff Bezos possono cambiare le nostre vite, le persone come te e me possono cambiare il mondo.