Le lingue di Annateresa

Caro Diario, oggi ti racconto il lavoro ben fatto di Annateresa Buonpensiere, la mia maestra di inglese. Non l’ho ancora mai incontrata di persona, e non ricordo neanche più bene come ci siamo conosciuti, però ti assicuro che come maestra è bravissima, e che le sue lezioni mi mancano tanto.
Come dici? Perché ho interrotto? Un poco perché la mia vita è complicata, e non sempre riesco a infilarci tutto quello che vorrei, un poco perché a un certo punto Novelle Artigiane si è presa uno spazio esagerato, tutto ma proprio tutto quello che era necessario, e un po’ perché nella vita di Annateresa sono accudute cose molto belle e importanti ma questo, insieme a tanto altro, preferisco che ce lo racconti lei, poi ritorno alla fine con un piccolo pensiero.

« Caro Vincenzo, se penso a quanto tempo fa mi hai inviato le tue domande mi vergogno da matti. Penserai che sia per disinteresse o per mancanza di volontà. Invece è esattamente il contrario. A questa cosa tengo tantissimo. Ho provato a scrivere le risposte un miliardo e mezzo di volte, ma non mi sono mai sembrate all’altezza. Quando si tratta di me divento critica all’ennesima potenza e non sono mai abbastanza soddisfatta. Poi è arrivata la cosa più bella e allo stesso tempo più complicata del mondo. Tu mi avevi avvisata, ma io ho sottovalutato che cosa significasse in termini di cambiamenti avere una figlia. È da un po’ che penso a molte delle cose che ci siamo detti, a tante lezioni che mi hai dato, nonostante io fossi l’insegnante in quel caso. Molte le ho comprese totalmente solo con il tempo, o con l’esperienza.
Comunque, contro ogni parte di me ho dovuto rallentare, all’inizio è stata una scelta molto sofferta, ma poi ho iniziato ad abituarmi alla nuova vita e ci ho preso gusto. Nel frattempo, però, non mi sono mai fermata, sono nati nuovi progetti, a cui ho dovuto dare la precedenza, per cambiare qualcosa nella mia vita che per me era importante. Cambiamenti che dovevo fare ora o mai più. Adesso, però, sono pronta a tornare, più carica che mai, e il mio primo pensiero sei stato tu e le tue domande, che erano rimaste in sospeso. Ora, dato che tendo a essere logorroica, smetto di cianciare e ti scrivo di seguito le risposte alle tue domande. Nemmeno questa volta sono pienamente soddisfatta, ma forse non lo sarò mai. In compenso mi fido di te, perciò vedi tu cosa fare. Io dovevo scriverti, adesso posso riprendere felice da dove avevo interrotto.

Chi sono e che lavori faccio
Annateresa Buonpensiere, nata a Terlizzi, in Puglia, e cresciuta al confine tra Toscana e Liguria, innamorata di un siciliano e della Sicilia, ma con un cuore 100% britannico. Nella mia bio scrivo: lettrice compulsiva, curiosa cronica e traduttrice per vocazione. Perché al di là di quello che faccio (traduttrice, insegnante, lettrice, segretaria, mamma ecc.), ciò che più mi rappresenta è la passione: per i libri; per lo studio, la sete di conoscenza; per gli idiomi e le parole. Da qui la vocazione per la traduzione, che riesce a dare sfogo a tutte queste passioni.
Ma partiamo dalle origini, così provo davvero a spiegarmi bene. Come ti dicevo, vengo dalla Puglia, che adesso è tanto di moda, ma quando sono nata io era una terra meravigliosa, ma di poche speranze. I miei nonni erano contadini e mio padre, carico di ambizione e tenacia, aveva dovuto emigrare fin da piccolo per lavorare e costruirsi un futuro, al confine tra Liguria e Toscana. Lo vedevo poco, principalmente in estate, ma ammiravo la sua intraprendenza e la voglia di migliorarsi sempre, la grinta con cui era riuscito a crearsi una piccola impresa dal nulla. Quando avevo 7 anni ci trasferimmo tutti (mamma, fratellino e io) dove lavorava papà. Così divenni straniera. Straniera ovunque. A Terlizzi, il mio paese natale, ero la «bimba del Nord», il mio accento era strano. A Fiumaretta, il paesino in cui vivevamo, ero la «bambina del Sud» e il mio accento e il mio modo di parlare erano diversi da quelli dei miei compagni di scuola.
Strano e diverso sono parole che a quell’età non si comprendono. Ti racconto questo perché penso che da lì parta la mia attenzione per la lingua.
La passione ha radici molto più profonde, quando ero piccola piccola papà, quando c’era, mi raccontava le favole e io cercavo di leggerle come faceva lui, fino a quando, all’età di 4 anni, ho imparato a leggerle davvero.
All’età di 11 anni, invece, iniziai a interessarmi alla lingua italiana in modo più attento, sia da un punto di vista morfologico che fonetico. Volevo avere una dizione perfetta, non volevo essere la ragazzina del Sud o del Nord. Volevo parlare italiano corretto. Nutrivo da sempre una passione per le parole e mi appassionai sempre di più alla lettura. Volevo imparare l’italiano dei libri, anche se a casa mia nessuno leggeva e non c’erano libri, tranne quelli di scuola. Quasi ogni giorno andavo in edicola e ogni mese mi facevo accompagnare in biblioteca da mamma.
Leggevo sempre, ogni volta che potevo, qualsiasi cosa. Inoltre, nella scuola nuova avevo iniziato a studiare inglese e fu un colpo di fulmine. Adoravo i suoni di questa lingua, le sue sfumature, mi divertivo a trovare le differenze e le somiglianze con l’italiano, amavo la cultura anticheggiante, questa terra in cui esistevano ancora re e regine, dove le persone erano più timide, ma più creative, più simili a me.
Perciò alle superiori ho scelto di approfondire questa conoscenza e imparare lingue nuove. Mi sono iscritta al liceo linguistico, ho scelto di studiare il francese e il destino mi ha imposto di studiare il tedesco. In realtà all’inizio non ne volevo sapere, il tedesco non mi piaceva e non mi interessava. Invece, dopo la prima lezione ero entusiasta.
Avevo un’insegnante simile a me, italiana, ma con cuore tedesco, innamorata della lingua che insegnava, che trasmetteva tutta la sua passione. E poi riuscire a parlare e capire questa lingua così complessa e oscura ai più mi riempiva d’orgoglio. Insomma, finito il liceo mi ero appassionata sempre di più all’inglese, avevo imparato ad apprezzare il francese ed ero passata dall’odio all’amore con il tedesco. In sintesi, le lingue mi piacevano proprio, ma cosa ci volevo fare? Boh! Scoprì solo in quinta superiore l’esistenza della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici, un’università in cui si imparava a tradurre! Non avevo mai preso in considerazione l’idea, eppure avevo letto migliaia di libri tradotti, avevo provato a tradurne io stessa, ma non immaginavo di poterlo studiare all’università. Lì ho capito che quella era la mia strada.
Io le lingue volevo impararle alla perfezione e volevo usare le parole, giocarci, gustarmele. La traduzione poi univa la mia passione per le lingue a quella per i libri, era il mio mondo, e l’idea di poterne fare un lavoro mi ha convinta subito. La traduzione è il mio mondo, amico mio, tu ormai lo sai.
Dopo la laurea triennale volevo specializzarmi in traduzione letteraria, ma le facoltà che prevedevano questa specializzazione erano tutte lontane da casa e anche se ho superato il test di ingresso per quella di Milano, non potevo permettermela, quindi, con un grande senso di sconforto decisi di prendermi un anno per lavorare e mettere da parte i soldi. Ho lavorato in un asilo in cui avevo fatto uno stage durante il percorso universitario. Mi hanno chiamata per sostituire un’insegnante che era andata via all’improvviso ed è stata un’esperienza bellissima e illuminante.
Avevo sempre dato lezioni di inglese a mia sorella minore e ai suoi compagni di scuola, da quando frequentavo il liceo, e mi ero fatta delle idee sull’insegnamento delle lingue, che trovavano perfettamente riscontro nel metodo utilizzato da quella scuola. L’esperienza, però, durò poco, me lo avevano detto fin dall’inizio, loro garantivano la presenza di sole insegnanti madrelingua e io, anche se mi sento inglese tanto quanto italiana, non sono madrelingua.
Il problema, caro Vincenzo, è che ormai tutti sono tuttologi. C’è questa convinzione che l’insegnante madrelingua sia meglio dell’insegnante italiana. Non è così e ti spiego perché: nel caso degli adulti, un’insegnante non madrelingua può capire la difficoltà di imparare quella lingua, perché chi la impara dalla nascita la conosce naturalmente, non può sapere quali difficoltà incontra un italiano che impara la sua lingua. E ti dico un italiano perché le difficoltà di apprendimento di una lingua sono diverse a seconda della lingua madre di chi ci si avvicina. Per quanto riguarda i bambini, invece, i genitori hanno spesso paura che imparino pronunce sbagliate. I bambini possono apprezzare l’insegnante, ma non vi si identificano perché per quanto possano apprezzarla non la vedono come una loro simile, perciò non assumeranno la sua pronuncia, ma è importante che abbiano fonti diverse per ascoltare l’inglese e identificarcisi, magari attraverso cartoni animati e canzoni per bambini. Comunque, qui la storia è lunga, per ora lasciamo perdere e torniamo a noi.
L’asilo si trovava in Sicilia, doveva viveva quello che ora è mio marito e perciò mi ero trasferita lì, ma con il termine del lavoro tornai a casa per cercare un lavoro che mi avrebbe permesso di guadagnare quello che mi serviva per riprendere gli studi.
Trovai subito lavoro in un’azienda leader nel commercio di materie prime come impiegata commerciale. Pensai che potevo utilizzare le lingue che avevo imparato, mantenerle così vive e guadagnare.
Il contratto diventò a tempo indeterminato dopo i sei mesi di tirocinio e nel frattempo mio marito aveva perso il lavoro. Perciò non lasciai il lavoro per studiare, mi trovavo anche bene e lasciai perdere l’idea di continuare gli studi, anche se in fondo in fondo, dentro di me, quella fiamma bruciava. La mia famiglia prese anche in gestione un campeggio e io, dopo il lavoro in ufficio, andavo a dar loro una mano con i clienti stranieri.
Finalmente parlavo davvero inglese, francese e tedesco! Iniziarono a mancarmi le lingue, in ufficio le occasioni per utilizzarle davvero come avrei voluto erano molto poche e l’ambito di discussione sempre lo stesso. Mi mancavano anche i libri. Sì, leggevo, ma meno di quanto volessi. Iniziai così a cercare corsi online o corsi vicini per specializzarmi nella traduzione editoriale. Perché prima di tutto, secondo me, bisogna avere le competenze, insieme alla passione. Aprii il blog, iniziai a crearmi un’identità come traduttrice e anche a insegnare le lingue, dopo il lavoro.
Nacque Teatime Translations, la mia attività di traduzione, consulenza linguistica e corsi di lingue straniere. Mentre intanto studiavo, leggevo, progettavo. Mi associai a LaAV, un’associazione di lettori volontari e durante un corso di lettura ad alta voce conobbi Sonia, che aveva un percorso simile al mio e insegnava inglese con il metodo innovativo del Format Narrativo, nato da una ricerca svolta dalla Prof.ssa Traute Täschner dell’Università Sapienza di Roma. Mi incuriosì e le chiesi di spiegarmi qualcosa in più. Bastarono poche parole e mi iscrissi al Corso di glottodidattica infantile per imparare il metodo. Nel frattempo mi sono sposata ed è nata Anya, che ha dato una luce nuova a tutta la mia vita.
Sono stata subito felice di essere incinta, ma poi mi sono chiesta: «E ora?».
Teatime era appena nata e avevo ancora mille progetti e idee da sviluppare, compresa l’università, progetto che non avevo mai abbandonato davvero. Dovevo mollare qualcosa, ma non potevo rinunciare alle mie passioni. Ci ho provato. Con il pancione che cresceva mi sono messa a studiare le storie di Hocus&Lotus, sia nella teoria che nella pratica, con il pancione che fino a 9 mesi di gravidanza saltellava con me a suon di «quack quack» e «cra cra», perché per diventare insegnante certificata del metodo ideato dalla Prof.ssa Täschner è necessario attivare un corso e registrare un video in cui si mette in pratica quanto appreso.
Ho lasciato il lavoro in ufficio e sono pronta a dedicarmi ai progetti e alle idee in fermento. Sonia è diventata un’amica e una collega e insieme stiamo creando l’Associazione culturale Beebilingual, per la diffusione delle lingue straniere.

Caro Vincenzo, quando ci siamo conosciuti ero all’inizio di tutto questo percorso e non avrei mai immaginato che oggi sarei stata qui, così. Non so cosa mi riservi il futuro, ma so che ci saranno la traduzione, i libri e le lingue.

Che cosa non mi piace e cosa invece si
Non mi piacciono la falsità e la cattiveria, la mancanza di meritocrazia.
Oltre al mio lavoro, ma questo si è capito già, amo viaggiare e scoprire il mondo, conoscere persone di culture diverse, mi piacciono le persone vere, quelle che mettono testa, mani e cuore in quello che fanno, come dici tu. Mi piace mangiare, mi piace il tea e tutto ciò che è british e ho appena scoperto che adoro riscoprire il mondo una seconda volta attraverso gli occhi e lo sguardo felice e sorpreso di mia figlia.

Perché per me il lavoro è importante, vale
Il lavoro è ciò che mi permette di esprimere me stessa. E penso che valga anche l’inverso, solo quando riesci a mettere te stesso in quello che fai il lavoro può essere ben fatto. Io senza il mio lavoro non sono io. »
annateresa1
Ecco caro Diario, questa è un po’ di Annateresa, che è dolce e ferma come le maestre che piacciono a me, e poi ti incoraggia anche quando ti corregge, perché insomma io all’inglese voglio bene molto di più da quando ho conosciuto lei. Sì amico mio, conosciuto, anche se ancora non ci siamo mai incontrati, perché il lato bello della tecnologia è prima di tutti questo, quello che ti avvicina alle persone, alle loro teste, ai loro cuori.