Caro Diario, alla voce narrazione Sandro Paladino l’ho conosciuto grazie a Giuseppe Rivello insieme a suo nonno Felice Magliano, 104 anni, il protagonista della bella storia che puoi leggere qui. Alla voce vita l’ho conosciuto invece sabato scorso, a Caselle in Pittari, e abbiamo chiacchierato di bellezza, di futuro, di morte e di altre sciocchezze. Per la verità l’idea di raccontarlo mi era venuta già prima, quando in chat mi aveva scritto che lui è un artigiano dell’assistenza, però dopo averci parlato non è stata più un’idea, è diventata un’urgenza.
Così gli ho scritto, gli ho chiesto se poteva tornare a #Cip, mi ha detto di si ed eccoci qua.
Per cominciare devi sapere, amico Diario, che Sandro ha 42 anni, è di San Giovanni a Piro, gli piace leggere, gli piace correre ed è un amante delle tradizioni e del territorio. Suo padre, oggi pensionato, ha fatto il muratore, l’agricoltore, l’impiegato, la mamma come in tante famiglie del Sud è casalinga mentre i nonni sono stati pastori e agricoltori.
A proprosito, non ti ho detto ancora che è presidente dell’Associazione Culturale MediaPyros che tra le altre cose edita un mensile che da 6 anni ha una versione online e soprattutto esce puntualmente in versione cartacea ogni mese da 19 anni. Per concludere questa parte aggiungo che è sposato e ha due figlie, che ama il rock e la musica italiana (Nomadi, Rino Gaetano, Ligabue) e che gli piace lavorare in gruppo, essere parte di un team. E poi ancora che gli piacciono le persone schiette e che mettono passione in quello che fanno mentre non sopporta l’ipocrisia, la falsità, le persone che non si schierano mai, quelle che aspettano che il mondo gli crolli addosso e si lamentano senza mai fare nulla per cercare di cambiare le cose.
Come dici caro Diario? In che senso gli piace correre? Nel senso che è un maratoneta, dice che la maratona è la metafora della vita, sei circondato da mille persone, da tanti schiamazzi e possibili distrazioni e però se non ti concentri, se non stai sul punto, se non ci metti sacrificio, abnegazione e forza mentale non ce la fai a raggiungere i tuoi obiettivi.
“Vedi Vincenzo”, mi ha detto, “la maratona è un viaggio straordinario, è un progetto basato su sacrifici giornalieri e continui, ti permette di confrontarti con il tuo corpo e con la tua mente, di misurarti con te stesso e con i tuoi limiti”.
Lo so amico Diario, te l’ho detto già altre volte, ma mio padre diceva che «’O cavallo bbuono se vede ‘ncoppa ‘a sagliuta» e il modo in cui Sandro mi racconta il suo rapporto con la maratona e con la vita mi riporta lì, alla necessità di non perdere mai di vista il nesso che c’è tra gli obiettivi che ti dai nella vita e la fatica che è necessario fare per raggiungerli. Proprio così, dietro a ogni cosa, da quella più piccola a quella più grande, c’è il lavoro delle donne e degli uomini in carne e ossa, sembra scontato e invece non lo è, soprattutto di questi tempi, per questo racconto le persone come Sandro, perché quelle/i come lui, che come sai sono tante/i, sono i testimoni più credibili di questa fondamentale verità.
Ecco, detto che a questo punto della nostra chiacchierata ci siamo bevuti un altro bicchierone di acqua e menta, che quello veramente lo trovo dissetante assai, aggiungo che Sandro mi ha detto che si è diplomato al liceo scientico e poi ha conseguito il diploma da infermiere master come coordinatore delle professioni infiermeristiche, quello che nel linguaggio comune usiamo definire caposala, anche se lui ci ha tenuto a precisare che è un infermiere “normale” ed è molto contento così, anche se secondo me tanto “normale” non è, ma questo te lo dico tra un attimo perché prima ti devo dire che da liceale ha fatto il cameriere per poter andare ai concerti, alle partite o anche prendere la patente senza stare sempre a chiedere soldi e che sempre per le stesse ragioni e anche di più ha fatto il barista mentre studiava da infermiere, che poi da più di 18 anni è il suo lavoro.
“Vincenzo, ho iniziato a Milano all’ospedale San Giuseppe, poi sono stato per un breve periodo a Vallo della Lucania e poi a Sapri, reparto rianimazione”.
“Un posto tosto nel quale lavorare ogni giorno”.
“Vero, eppure mi viene da dire che per me la rianimazione è stata una scelta di vita”.
“In che senso, scusa?”
“Nel senso che secondo me dal punto di vista professionale è il lavoro più completo, richiede competenze in tutte le patologie, dal campo chirurgico a quello medico a quello dei traumi della strada. E poi hai sempre poco tempo a disposizione e devi fare il tuo lavoro in maniera eccellente sia per mantenere le funzioni vitali del paziente sia per assicurargli il livello più elevato possibile di qualità della vita. E poi perché, ed è la cosa più importante, stando lì non ti puoi accontentare di usare le tue mani, la tua testa e il tuo cuore solo per somministrare farmaci o disinfettare una ferita, devi saper accarezzare l’anima del paziente senza invadere la sua intimità.
Vedi, nei reparti come il nostro anche quando sembra tutto tranquillo si può scatenare l’inferno, è come quando vedi il pit stop durante un Gran Premio di Formula Uno, ci sono dieci persone ognuna delle quali ha un compito preciso e lo deve eseguire perfettamente e in breve tempo. Insomma non è che stai lì solo per guardare un monitor, devi saper interpretare il turbamento, le paure, lo scoraggiamento e devi cercare ogni volta che puoi di esorcizzarle e di regalare un sorriso.
È in questo senso che mi piace pensarmi come un artigiano dell’assistenza, perché non sono un mero esecutore di ordini o un bravo tecnico, sono – siamo – soprattutto umanità, empatia, la capacità di riuscire a mettersi nei panni del paziente e di capire le sue paure e i suoi bisogni, sia psicologici che fisici. Ti posso fare un piccolo esempio Vincenzo?”
“Certo che puoi”.
“Ecco, prendere per mano una persona che si risveglia da un coma, rincuorarlo, può essere molto importante, e così mostrare affetto nei confronti del paziente, e persino aiutarlo a vivere con dignità gli ultimi giorni della sua vita. Per me è importante non etichettare mai il paziente con un numero, quelle cose orribili tipo stanza 15 letto 6, e tanto meno con una patologia, l’infartuato oppure l’oncologico o, peggio ancora, il terminale. È anche per questo che mi rivolgo ai pazienti quasi sempre con il tu, che mentre faccio il mio lavoro ogni volta che posso cerco di farmi raccontare qualcosa della loro vita, delle loro esperienze, insomma cerco il più possibile di non farli sentire soli.
Vedi Vincenzo, nei posti come quelli in cui lavoro io i pazienti non ci vengono, ce li portano, e questo secondo me richiede da parte nostra un surplus di attenzione e di cura oltre che di professionalità, perché noi diventiamo spesso un’ancora a cui loro cercano di aggrapparsi. È per questo che penso di fare un lavoro importante, perché ha un valore sociale, perché richiede grande rispetto delle persone, perché anche in condizioni molto difficili ti può dare grandi soddisfazioni. Direi che da certi punti di vista il lavoro in rianimazione è come una maratona”.
“E dal punto di vista psicologico, a furia di fare un lavoro come il tuo non si rischia di portarsi a casa il lavoro, i problemi, talvolta il senso di sconfitta?”
“Guarda, che sia un lavoro tosto è fuori discussione, per esempio quando vedi gli occhi di un bambino che si spengono senti il mondo che ti crolla addosso. Però dipende molto anche da te, dal tuo approccio, dal tuo modo di vivere il tuo lavoro. Personalmente ritengo che stare a contatto con la morte è una grande occasione per capire il senso della vita, per imparare ad amarla, a coglierne il più possibile la bellezza, la bellezza che sta dappertutto, persino in un reparto di rianimazione”.
“In che senso, scusa?”
“Mi spiego con due esempi un po’ estremi, però in questo modo mi faccio capire bene.
Una volta è arrivato un paziente con sclerosi multipla e sordo muto con un’occlusione intestinale che doveva essere operata immediatamente. Ha scritto su un foglio che se prima non arrivava la sua compagna lui non autorizzava l’operazione. Abbiamo trovato il modo di fargli capire che se non si operava subito correva il rischio di morire ma non c’è stato verso. Dopo una quarantina di minuti è arrivata la compagna e con il dito di una mano gli ha scritto sulla fronte “ti amo” e allora lui ha sorriso e lo abbiamo potuto accompagnare in sala operatoria. O un altro esempio è la madre di un ragazzo di 22 anni che purtroppo non ce l’ha fatta che il giorno in cui mi sono sposato – senza che io l’avessi invitata – mi ha mandato un mazzo di fiori.
Ecco, io credo che ci sia una grande bellezza in tutto questo, è una bellezza che deriva certo da quello che sai fare ma deriva ancora di più da come lo fai, da come ti rapporti alle persone, da come dimostri che ciascuno di loro è in ogni circostanza esattamente questo, una persona. Penso che siamo d’accordo su questo, Vincenzo”.
“Si, amico mio, siamo d’accordo!”.
Come dici caro Diario? Questa storia è così straordinaria che fai fatica a crederci? Ti capisco, però ti assicuro che Sandro è proprio così, ed è contento di esserlo, perché mi ha detto che anche se è un poco più faticoso è tanto più bello. Ciao, conto di tornare presto.
Post Scriptum del 11 Luglio 2018
Caro Diario, sui social stanno arrivando un sacco di commenti assai generosi con il racconto di Sandro e ti confesso che ne sono particolarmente contento, perché la sua è una storia veramente “esagerata”, e quando è così un po’ mi viene il timore che chi legge sia scettico, insomma possa pensare che io abbia esagerato.
Come dici amico mio? Ti dispiace di non essere sui social e di non poterli leggere? Facciamo così, uno te lo condivido qui, perché la signora Nina Magliano, che non ho (ancora) il piacere di conoscere, si è rivolta direttamente a te, e insomma la sua è una testimonianza più che un commento, perciò faccio un’eccezione. Eccola:
«Caro Diario, scusa l’intromissione, ma da parte mia aggiungo che Sandro rappresenta per me una presenza fondamentale nella mia vita. L’ho scoperto quando stavo attraversando un periodo buio e lui, con abnegazione, umiltà e tanta disponibilità si precipitava a casa per le terapie. Oltre che un modello infermiere si è dimostrato un grande Amico che riusciva a trasmettere tanta serenità e voglia di farcela. È stata la persona che mi ha spronata a correre e a partecipare ad una edizione della Corsalonga che ha dato una valida svolta nella mia vita e, inoltre, quella che ha supportato il mio caro papà, non come un infermiere ma come un figlio, nell’ultimo periodo della sua vita facendolo sorridere sempre, fino all’ultimo respiro. Grazie caro Diario di averlo raccontato con tanta maestria e che Dio lo benedica!»