Caro Diario, ieri con Cinzia siamo tornati al Rione Sanità. Lo facciamo spesso, però quasi sempre per portarci qualche amica/o, che come dice Cinzia la Sanità è un posto che fa i miracoli, ieri invece ce ne siamo andati in giro per i fatti nostri, io non conoscevo ancora i nuovi murales e tutti e due ancora non avevamo visto le piazze con le nuove opere dedicate a Totò.
Siamo arrivati da Piazza Cavour invece che da Capodimonte come quando portiamo gli amici a visitare le Catacombe di San Gennaro, ci siamo fermati da Ciro Oliva – Concettina ai 3 Santi per prenotare un tavolo per due per pranzo e ce ne siamo saliti per la stradina dove c’è la casa di Totò e poi la scultura con la scritta «Signori si nasce» e poi abbiamo visto la chiesa di San Severo con il murales e la piazza in rifacimento dopo di che siamo arrivati alla Basilica di Santa Maria della Sanità, che però è anche la chiesa di San Vincenzo detto ‘O Munacone, ed è anche la chiesa della splendida cappella da poco restaurata che fa da ingresso alle Catacombe di San Gaudioso. Con gli occhi e il cuore che si riempivano della straordinaria bellezza del luogo, ricordo a un certo punto di aver detto a Cinzia qualcosa tipo «che dici, è da un bel po’ che non lo incontro, dopo andiamo a vedere se in sagrestia troviamo Antonio?». Lei non mi ha risposto, ha fatto solo sì con la testa mentre continuavamo a girare e a osservare un po’ delle meraviglie che avevamo intorno. Tre o quattro minuti ancora e questa volta è stata lei a rompere il silenzio per dirmi «volevi Antonio, eccolo là». Mi sono girato e l’ho visto, di spalle, con una stecca da muratore nella mano sinistra. Naturalmente l’ho chiamato, si è girato, ci siamo abbracciati, ha cominciato a raccontarci un po’ di cose nuove e lì è cominciata una nuova storia.
Perché sì, caro Diario, Antonio è davvero una persona speciale, un narratore straordinario, e se te lo dico io puoi credermi. La tieni presente la poesia di Pablo Neruda, Siam molti? Ecco, lui è un esempio paradigmatico dei tanti uomini che siamo, dei tanti sé che ciascuno di noi si porta appresso ogni giorno. Tu lo sai, amico mio, io sono un uomo fortunato assai perché la vita mi ha fatto incontrare tante belle persone, belle perché colte, intelligenti, appassionate, intraprendenti, affettuose, curiose, visionarie, determinate, generose, insomma persone che pensano e fanno, e però quelle che davvero riescono a cambiare la vita degli altri e del mondo intorno a sé sono molto poche, e Antonio è una di queste. Lui è un combattente, un istrione, uno scugnizzo, un costruttore, un punto di riferimento, un leader, soprattutto un uomo di una umanità che traspare in ogni suo gesto, ogni suo sorriso, ogni cosa che racconta e che fa. La sua umanità è la luce che gli vedi negli occhi non solo quando ti dice degli affreschi di San Gaudioso riportati alla luce, o del monolite ideato dal maestro Peppe Desiato con la figura di Totò ritagliata al centro perché Totò ha lasciato un vuoto che adesso ogni giorno è riempito dai turisti e dagli abitanti del rione, o quando ti racconta del maestro Mono Gonzalez, dei suoi murales e delle torture subite in Cile al tempo di Pinochet, ma anche e soprattutto quando ti dice della gente del quartiere, delle persone comuni che si prendono cura degli alberi, delle piazze e delle panchine di legno spesse sei centimetri, o dei venditori di magliette e di souvenir di Totò che piano piano occupano gli spazi dello spaccio, o anche quando ti porta a prendere il caffè nel bar di fronte alla basilica – a proposito, solo a Napoli uno chiede tre caffè e il barista risponde «qui niente caffè, abbiamo solo cioccolata» – e domanda se sanno come sta il ragazzo che hanno ferito qualche giorno fa con un colpo di pistola.
Perché sì amico Diario, come direbbe Totò la normalità, la legalità, la dignità, la rinascita non sono fiaschi che si abboffano, non seguono percorsi lineari, hanno bisogno di tempo, però come dice Antonio «il treno del cambiamento è partito, ogni tanto pare che lo si possa rallentare, a tratti sembra persino che lo si possa deviare, ma la verità è che ormai nessuno lo ferma più».
Credo che da quando ho incontrato per la prima volta Antonio a casa della nostra amica Emanuela siano trascorsi più di 15 anni, e nel frattempo sono successe tante cose, Cinzia ha raccontato il Rione prima in un reportage e poi in un libro al quale ho contribuito un poco pure io, Antonio ha cominciato a scrivere le cose che pensa e che fa prima in un bellissimo libro edito da Mondadori e poi in tante altre pubblicazioni compreso il libricino che ci ha donato ieri, Conversando con il Principe, scritto con Mariarosaria Paesano, nel quale a proposito del mestiere di scrivere ho trovato questa frase che mi è piaciuta assai: «L’atto di scrivere è intimo, quasi solipsistico, introverso e riflessivo. Sistema i pensieri e irrora di nuova linfa i desideri, alimentando la fiducia che possano trasformarsi in progetti». Quello che però non è cambiato è la sua voglia di contribuire al riscatto di uno dei luoghi più belli di Napoli, e dunque del mondo.
Insomma, che tu ci creda o no, caro Diario, ieri mentre Antonio parlava mi sono detto «devo raccontare il lavoro ben fatto di quest’uomo qui».
Come dici? Mi piace vincere facile? E invece no. Innanzitutto perché tecnicamente parlando quello di Antonio non si può definire un lavoro, piuttosto una missione, una scelta di fede e di vita. E poi perché se vuoi raccontarlo dal versante delle cose che pensa e che fa insieme ai suoi ragazzi con la Fondazione di Comunità San Gennaro e con tutti gli altri soggetti con con cui collabora dovresti scrivere un’enciclopedia, che i libri non bastano, neanche quelli che scrive lui e Cinzia con il mio aiuto.
Allora sai che ho pensato di fare?, di raccontarlo in due parole, le due parole che secondo me più di tutte guidano il suo pensiero e la sua azione.
La prima parola è «bellezza», la bellezza che salverà il mondo e cambierà il Rione Sanità, perché lì la bellezza è tanta, sta dappertutto.
La seconda è «giovani», le ragazze i ragazzi che hanno viaggiato con lui, che hanno fatto i gelatai a Londra per imparare l’inglese, che hanno messo su imprese, associazioni, botteghe, la fondazione, che insomma con le loro forze e assieme a lui sono cresciuti, sono diventati donne e uomini e oggi rappresentano la ricchezza più grande del Rione, sono la testimonianza vivente che la Sanità ce la può fare, ce l’ha fatta già.
Ecco amico Diario, questa è po’ della storia dell’incontro di ieri con Antonio, spero tanto che ti sia piaciuta, in ogni caso ci ritorno presto al Rione, che ho da raccontarti il lavoro ben fatto di Enzo Porzio e di Ciro Oliva, che poi non te l’ho detto ma la pizza io e Cinzia l’abbiamo mangiata, mezza fritta e una margherita intera ciascuno, ed era come sempre squisita. Ecco, adesso ti saluto, a presto.
Come dici? Cosa vuol dire ti saluto che non ti ho ancora detto chi è Antonio e che lavoro fa?
Hai ragione, scusami, non so come sia potuto accadere, o forse si. Te la posso dire la verità? Un poco è successo perché pensavo che si capisse e un poco perché temo che adesso che Antonio legge la storia si arrabbia con me, perché dice che sono esagerato, che lui ha solo una parte minore in questa storia, che i veri protagonisti sono i ragazzi, che bisogna raccontare loro non lui.
Come dici? Ha ragione? Certo che sì, però questo di ieri è stato un incontro per genio e per caso, come quelli che piacciono a me, e non potevo non raccontarlo.
Ah, Antonio è Antonio Loffredo, il Parroco del Rione Sanità, e adesso è davvero tutto.
Post Scriptum del 8 Maggio 2017
Caro Diario, ieri con Cinzia siamo tornati al Rione Sanità ed è stato meraviglioso. Sì, sì, è stato meraviglioso, non fa niente che l’esibizione di Vinicio Capossela iniziava alle 21.30 e noi siamo partiti da Bacoli – 27 km da Napoli – alle 15.45 perché altrimenti correvamo il rischio di passare la serata nel traffico e non fa niente neanche che al ritorno tu prendi la metropolitana a Piazza Cavour e nessuno ti avverta che non ferma a Montesanto e Piazza Amedeo ma solo a Mergellina e Campi Flegrei, che all’uscita a Mergellina non c’è un fetente di taxi e del C16 a quell’ora neanche a parlarne e che morale della favola io e Cinzia ci siamo dovuti fare 3 km a piedi, in salita, per recuperare l’auto.
Come dici caro Diario? Tutto questo per una città come Napoli è assurdo? E che è ancora più assurdo che io continui a dire che non fa niente? Non ti arrabbiare amico mio, io sono d’accordo con te, è che non voglio far dispiacere i miei amici – alcuni dei quali carissimi – che fanno gli ultras e hanno deciso non so perché di mettersi il prosciutto sugli occhi, che parlano solo della bellezza della città e non dicono mai che non funziona quasi niente, che la frequenza delle metropolitane – sia la 1 che la 2 – è vergognosa, che le strade sono tutte scassate, ma insomma lasciamo perdere, perché poi il fatto che è bella Napoli è bella assai, e ti confermo che ieri sera alla Sanità è stato meraviglioso, non solo per lo spettacolo messo su da Sky Arte, che anche loro bellezza batte organizzazione tre a zero, luci e spettacolo meravigliosi – ti metto due delle foto che ha fatto Cinzia – gestione della fila degli invitati pessima.
E comunque come sempre accade alla Sanità la serata è stata fantastica non solo per la musica e l’arte ma anche per le persone che abbiamo incontrato, gli amici del rione come Enzio Porzio, Mario Donatiello, Susy Galeone, Gianluca Esposito e la moglie Nunzia, Vincenzo Pirozzi, e nuovi amici come Salvatore, che neanche so come si chiama di cognome ma siamo stati con lui in fila quasi due ore ed è stato uno spettacolo, ci siamo divertiti assai, perché funziona il Rione Sanità è davvero un posto di ordinario coraggio e di straordinaria umanità, e insomma ho detto a Enzo Porzio che torno a trovarlo presto, che ho intenzione di raccontare la sua storia dall’inizio, da quando è arrivato nel Rione, che allora era un ragazzo di 14 anni non un uomo di 31 come adesso. A presto allora, amico mio, dal Rione Sanità per adesso è tutto. Ah, a momenti dimenticavo, Vinicio Capossela e i musicisti e i cantanti che lo hanno accompagnato sono stati davvero straordinari, uno spettacolo come il loro in un luogo come la Chiesa di San Vincenzo il Monacone è di quelle cose che tu la sera metti la testa sul cuscino e sei contento. Ecco, adesso è davvero tutto.