Come ricorda Carlo Rovelli all’inizio del suo delizioso libro, Sette brevi lezioni di fisica, «se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte», intendendo naturalmente per «perdere tempo» leggere Kant, seguire a tempo perso lezioni all’università o anche più modestamente, come nel mio caso, pensare tra un treno, una lezione e una riunione alla domanda di Antonio Savarese di cui ho raccontato nel mio post precedente. Sta di fatto che stamane mi sono svegliato avendo in mente che il #lavorobenfatto ha bisogno di #organizzazionibenfatte per dispiegare appieno le proprie potenzialità e farsi sistema. Erano da poco passate le 5:00 e così ho potuto pensarci ancora un po’ prima di alzarmi, prepararmi e scendere con mio figlio Luca, si erano ormai fatte le 6 e 10, lui direzione lavoro e io direzione Bar Luciano per la brioche e il caffè mattutino, che dopo la giornata piglia tutta un’altra piega.
Tornando a casa, il link con il Dizionario del Pensiero Organizzativo è venuto spontaneo. Il Dizionario è uno dei libri a cui sono più affezionato, perché è nato da un’idea coraggiosa, perché l’idea ha funzionato (è alla terza edizione), perché mi ricorda gli anni da prof. di sociologia dell’organizzazione alla Salerno University e per tante altre ragioni che vi dico un’altra volta perché altrimenti non la finiamo più. Ci ho pensato ancora un poco – intanto ero di nuovo in casa -, poi mi sono detto sì, l’idea mi piace: da qui in poi, partendo dal dizionario, insieme alle storie di sempre avrei raccontato un po’ delle persone e delle idee che hanno segnato lo sviluppo delle organizzazioni, del lavoro, dell’economia e della società dalla seconda rivoluzione industriale a oggi.
Mancava ormai appena qualche minuto alle 8.00 e mi sono detto che a quell’ora Angelo Lana, presidente della Casa Editrice Ediesse è già al suo posto di combattimento, così ho chiamato, ho chiesto e affettuosamente ricevuto l’autorizzazione a procedere.
Dunque eccomi qui con il post introduttivo. Speriamo che l’idea piaccia anche ad Antonio. Intanto buona lettura.
Per quelli che, come noi, sono cresciuti all’ombra del pensiero greco (1), al principio ci sono sempre delle domande.
Accade alle persone comuni, che fanno a pugni ogni giorno con il desiderio di conquistare un futuro migliore per sé stessi e per i propri figli. Accade ai filosofi, che si ritrovano, millennio dopo millennio, ad interrogarsi su «ciò che vi è», su «ciò che vale», su «chi noi siamo». Accade nei film, come quando in Matrix l’affascinante Trinity sussurra a Neo «It’s the question that drive us, Neo. It’s the question that brought you here. You know the question, just as I did» e Neo risponde «What is the Matrix?». Accade ai papi, come suggerisce l’aneddoto che vuole che Karol Wojtyla abbia risposto, al giornalista che si congratulava per la bellezza di «Varcare la soglia della speranza», (3) che il merito era delle domande di Vittorio Messori, dato che senza buone domande non esistono buone risposte. Accade anche ai sociologi dell’organizzazione, alle prese con la necessità di comprendere «come funzionano le organizzazioni» e «come potrebbero funzionare meglio».
Già. «Come funzionano le organizzazioni?»; «Come potrebbero funzionare meglio?». Sono partito da queste domande – e dall’idea che per apprendere bisogna innanzitutto capire, poi studiare, infine applicare ciò che si è capito e studiato a contesti reali (famiglia, amici, lavoro, svago, studio, affetti, ecc.) -, per pensare e sperimentare la metodologia in grado, da un lato, di valorizzare al meglio le potenzialità e le capacità di ciascun componente della classe, e dall’altro, e conseguentemente, di fare di quest’ultima una organizzazione che elabora, mette in comune e scambia idee, contenuti, informazioni per apprendere, costruire significati, creare conoscenza.
La mia esperienza dice che si tratta di un approccio che acquista tanto più senso e significato – nell’accezione che, in ambito organizzativo, Karl Weick ha dato dei due venerabili termini -, quanto più si riesce a tenere assieme ciò che è proprio di una storia nobile e non certo finita – come ad esempio il rapporto tra docente e studente, la lezione in aula, il libro di testo -, e ciò che invece è sperimentazione e innovazione – come ad esempio gli studenti, autori, produttori di contenuti, portatori di saperi; la valorizzazione della conoscenza non solo esplicita ma anche tacita dei partecipanti al processo di apprendimento; i processi di comunicazione orizzontali; l’utilizzo delle nuove tecnologie non come conduttrici ma come componenti del sapere; la verifica sul campo di metodologia, didattica, contenuti -.
Detto che in cantieri come questi i lavori sono per definizione perennemente in corso, si può aggiungere che questo approccio di tipo connettivo contribuisce a rendere possibile, e visibile, nel corso degli anni, un processo di miglioramento continuo della «organizzazione classe» e del corso, e che da tale processo lo stesso dizionario ha tratto, nel corso delle diverse edizioni, un effettivo, costante beneficio.
L’idea di pubblicare su queste pagine parte di questo lavoro mi auguro possa rappresentare una ulteriore, straordinaria occasione per rimettere mano con il vostro contributo al dizionario così da renderlo ancora di più rispondente allo scopo per il quale è nato: offrire a chi legge, e a chi studia, riferimenti e mappe cognitive atte a scoprire, apprendere, assimilare, approfondire le connessioni e le priorità che tengono assieme autori e concetti che popolano la storia del pensiero organizzativo.
Sun Tzu ha scritto che «una volta colte, le opportunità si moltiplicano». (4) E Winston Wolf (Harvey Keitel), in Pulp Fiction, il film cult di Quentin Tarantino, si presenta a Vincent Vega (John Travolta), Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino) con la mitica battuta «Sono il signor Wolf. Risolvo problemi».
Ecco, il sociologo dalle mai finite connessioni che piace a me ha più o meno queste caratteristiche: risolve problemi, coglie opportunità, e dunque le moltiplica.
Note
1. L’eccezione, non solo significativa ma destinata ad incidere sempre più sul nostro futuro, è data dal pensiero “altro” che viene dalla Cina, come spiega mirabilmente Francois Jullien nei suoi libri, per ultimo “Le trasformazioni silenziose”, Raffaello Cortina, 2010
2. Il riferimento è naturalmente a The Matrix di Andy e Larry Wachowski, con Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Monica Bellucci, 2003
3. Giovanni Paolo II, Messori Vittorio, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, 2004
4. cfr. Sun Tzu, L’Arte della Guerra, Astrolabio Ubaldini