Giovanni Mariella e l’arte della forgia

Caro Diario, la mia storia con Giovanni Mariella comincia con Giuseppe Jepis Rivello che mi manda un messaggio in chat con il link a un videoracconto, della serie “Vincenzo, quando puoi guardalo, Giovanni è una bellissima persona, nella sua forgia insieme al padre Felice lavora il ferro e pure il legno, sono maestri artigiani da diverse generazioni, penso che ti piacerà”.
La tappa successiva è la foto della lumaca, quella ancora dopo è ‘na capata, nel senso che siamo in macchina, è uscito da una settimana o due Novelle Artigiane e stiamo pensando a come realizzare il booktrailer quando per genio e per caso viene fuori l’idea della panchina, di Giovanni che costruisce la panchina con la mia voce che legge qualche riga dal libro.
Dato che nel suo dizionario il concetto di “tempi morti” non esiste non appena ci fermiamo al bar Jepis fa la telefonata che mette in moto il processo, e così l’idea diventa prima possibilità e poi realtà. A inizio Agosto Giovanni arriva in bottega con la panchina e così finalmente gli stringo la mano,  lo abbraccio, mi diventa persona in carne e ossa.
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Come dici amico Diario? In pratica avevo deciso di raccontarlo già dal videoracconto? Un po’ sì e un po’ no. Un po’ sì perché come sai la bellezza mi riscalda il cuore, e anche la generosità, che pure di quella Giovanni ne ha tanta. Un po’ no perché non volevo rubarlo a Jepis e alle sue Storie di Bottega, tu mi capisci cosa intendo, lui è un giovane jedi a cui voglio un mare di bene e se una cosa la fa lui sono contento uguale come se la facessi io.
La decisione è maturata pian piano, prima senza chiedergli il permesso ho chiesto a Jepis il permesso di raccontarla, poi sabato scorso Cinzia e io siamo andati a trovare Giovanni nella sua bottega, e così abbiamo conosciuto suo padre e sua madre, e abbiamo rivisto la moglie e i figli, e insomma è stato lì che ho deciso davvero di raccontare questo timido, tenace, creativo artigiano nato a Maratea in una calda mattina del Luglio 1984, sì, proprio l’anno di George Orwell, e vissuto per quasi 20 anni nella casa che i genitori, Felice e Pina, avevano costruito prima del loro matrimonio nel centro di Tortorella, un paesino di circa 600 abitanti nel Cilento.  Sì, è stata la bottega a farmi rompere ogni indugio, è stato il modo in cui me l’ha raccontata, è stato il modo in cui papà Felice ha bisbigliato “ancora non glielo ho detto” quando ho chiesto al figlio come si sentiva quando finito un lavoro il padre gli dice bravo, sono stati gli occhi felici  e grati con i quali ci ha detto “mio padre è fatto così, tu hai un desiderio e lui lo realizza” quando ha mostrato a me e a Cinzia il posto in cui ha la casa e due cavalli, però questo è meglio che te lo racconti lui tra poco.
Di mio ti voglio dire solo ancora due cose, una subito e una dopo che è finito il racconto di Giovanni. Quella subito è che quando ci ha detto “il principio delle cose pratiche per me è una linea guida. Mi considero una persona pratica, mi piacciono le cose pratiche, e come se non bastasse quando conosco persone nuove cerco di capire subito quanto sono pratiche, o cosa sanno fare praticamente” un poco mi sono preoccupato, perché come sai io “praticamente” come lo intende lui e come lo intendeva mio padre, che poi è come lo intende larga parte dell’umanità, non so fare niente. Però è durato poco, mi sono ripreso non appena mi è venuto in mente che la teoria è la cosa più pratica che esiste, ma di questo non è il caso di parlare ora, ritorno tra un po’, adesso goditi il racconto di Giovanni, che merita assai.

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«Caro Vincenzo, la mia infanzia è stata caratterizzata dalla forte passione per la bicicletta che mi portò a soli tre anni a girovagare in piena libertà per le viuzze del paese. Poco distante da casa dei miei c’era una piccola officina – circa 25 mq – dove mio nonno, Giovanni detto Vito, negli anni cinquanta aveva iniziato la sua lunga carriera da fabbro e dove anche mio padre aveva coltivato la sua passione per il ferro, lavorandoci fino al 1990.
Io già dall’età di 5/6 anni, dopo la scuola, andavo a giocare, a guardare e a imitare mio nonno e mio padre che lavoravano nella piccola forgia. Ogni sera, al tramonto, iniziava la malinconia, al solo pensiero che all’indomani sarei dovuto tornare a scuola.
Sì Vincenzo, il mio rapporto con la scuola è stato particolare fin dalle elementari, caratterizzato dalla poca passione verso le materie umanistiche e dalla curiosità che suscitavano in me l’intuizione e l’oggettività delle materie scientifiche, che mi appassionavano sempre di più. Detto ciò, aggiungo che gli anni delle scuole elementari furono bellissimi, ero libero e spensierato frequentavo una bellissima classe composta da sette alunni. La faccenda si fece un poco più complicata alle scuole medie,  i miei genitori mi iscrissero alla Scuola Media Statale Santa Croce a Sapri e questo significava che la mattina la sveglia suonava alle 6,50 e alle 7,25 partiva il pullman dalla piazza per arrivare alle 8,20 alla stazione di Sapri.
Mia madre aveva il terribile compito di controllare la mia attività scolastica; non sono mancati per lei i momenti di disperazione, già dalle elementari. Ti dico solo di quella volta che, durante uno dei tanti pomeriggi invernali, avrei dovuto fare un riassunto di una semplicissima lettura ma data la poca voglia e la fretta di uscire, arronzai. La cosa non sfuggì all’occhio vigile di mia mamma che, facendo finta di pulire la camera, aveva letto il mio “splendido” lavoro. Vuoi sapere come finì?  Che mi prese a botte con il manico della scopa, che a un certo punto mentre io scappavo intorno al tavolo urtò su una sedia e si spezzò. Come puoi immaginare il fatto che per colpa mia avva rovinata la scopa non ebbe un effetto positivo su mia madre che per portare a termine il suo lavoro passò alla scopa con  quella di legno per rincarare la dose e portare a termine il suo lavoro.
Questo mio rapporto complicato con le materie umanistiche non mi ha mai abbandonato e insomma giunsi abbastanza presto alla conclusione che alle scuole superiori sarei stato costretto a studiare, forzatamente, soprattutto le materie umanistiche, perchè le altre potevo facilmente studiarle in quarantacinque minuti, durante il tragitto in pullman da Tortorella a Sapri.
Ciò detto, aggiungo, che tutto sommato sono contento della mia carriera scolastica, anche se non ci sono stati mai 10 e lode, mi sono diplomato al Geometra nel luglio del 2003 con 89/100.
Come certamente avrai già capito, già dal mio percorso scolastico si intravedeva palesemente la mia personalità molto pratica; in classe mi distinguevo per i disegni ed i lavori pratici, nei quali mi applicavo con particolare impegno e passione, lavorandoci anche per intere serate, fino alla mezzanotte se era necessario. Inoltre devi considerare che parallelamente alla scuola ho sempre seguito il lavoro di mio padre, che come ti ho accennato nel 1990 si trasferì nel suo nuovo laboratorio. Pensa che quando iniziarono i lavori per la nuova officina, nel 1989, frequentavo ancora la scuola materna, eppure la curiosità per il nuovo cantiere mi catturava, e spesso per curiosare e “controllare”, a modo mio naturalmente, il lavoro degli operai che ci lavoravano, saltavo la scuola.

La vita parallela alla scuola era fatta di divertimento, ma non ho mai perso di vista l’attività di mio padre.
La domenica pomeriggio i ragazzini del paese avevano l’abitudine di riunirsi in piazza S.Vito per giocare a calcio ma nonostante ci abbia provato più volte, il calcio non è mai stato il mio forte, e spesso anziché giocare finivo per costruire capanne sui rami degli alberi.
A quattordici anni il lavoro iniziò ad impegnarmi tutti i mesi estivi. Ovviamente lavoravo perchè mi piaceva e anche perchè in famiglia era necessario aiutare. Io sono l’unico figlio maschio e quindi toccava a me iniziare a seguire l’officina. Mio padre gestiva l’officina con cinque operai quindi non poteva seguire contemporaneamente i vari cantieri.

Alla fine delle superiori mi iscrissi come tirocinante in uno studio tecnico di un geometra. La reputo ancora oggi un’esperienza bellissima; lavoravo in officina e tre giorni a settimana andavo allo studio tecnico. Già dalla scuola superiore mi appassionavano molto le materie come la Costruzione e la Topografia, e durante i due anni di tirocinio ho potuto approfondirle ancora meglio.
Nella primavera del 2005 feci l’esame del praticantato e fui abilitato ad esercitare la professione di Geometra.
Iniziai la mia attività da professionista, i miei genitori erano contenti e avrebbero voluto farmi esercitare la professione, ma io non sono stato mai convinto, avevo bisogno di fare lavori manuali e pratici. Vincenzo, il principio delle cose pratiche per me è una linea guida. Mi considero una persona pratica, mi piacciono le cose pratiche, e come se non bastasse quando conosco persone nuove cerco di capire subito quanto sono pratiche, o cosa sanno fare praticamente.

Vengo da una famiglia di artigiani, i miei due nonni erano artigiani, sei dei miei otto zii sono artigiani, in diversi ambiti. Il mio bisnonno, Felice Mariella, era fabbro.
Nel 1906 il bisnonno Felice esercitava la sua attività a Tortorella ma nel 1923, per motivi economici, fu costretto ad emigrare in Messico e l’anno dopo nacque mio nonno Vito.
Felice continuò anche in Messico il suo mestiere e si fece mandare dal fratello Giovanni un trapano a volano: uno dei classici trapani da banco, che si faceva funzionare a mano.
Il bisnonno non ebbe fortuna in Messico e vi morì nel 1926 senza aver mai conosciuto mio nonno. Dopo il suo decesso, il trapano a volano fu nuovamente smontato, imbarcato sulla nave e ritornò a Tortorella. Mio Nonno Vito lo ha custodito per tutta la vita nella sua officina e ora che il nonno non c’è più, è nella mia forgia.
Il trapano è la macchina più antica che ho, la sua data di fabbricazione è il 1908. Rappresenta l’icona della mia forgia, e ogni volta che lo guardo resto stupefatto per la sua meccanica e la sua perfezione, mio nonno direbbe la sua “fattezza”.
A pochi metri dal trapano ho invece un’attrezzatura che rappresenta l’innovazione.
Proprio così, Vincenzo, nel 2010 abbiamo comprato un pantografo a doppia testa che mi consente di lavorare il ferro e il legno; è a controllo numerico, quindi programmabile con qualsiasi programma CAD e mi permette di fare lavori simpatici ed originali.
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Dal punto di vista lavorativo per me l’officina è tutto, rappresenta la storia dell’azienda e la storia dei suoi fondatori: prima il nonno e poi mio padre, entrambi lavoratori instancabili ed appassionati di questo mestiere. Anzi, sai che tico?, secondo me sia Vito che il figlio Felice non hanno mai fatto il “mestiere” del fabbro, ma cosa molto differente, hanno studiato, condiviso, e manifestato un’arte. Per quanto mi riguarda voglio continuare a studiare il mio mestiere e scoprire l’arte che lo caratterizza, tutto questo mi incuriosisce, mi stimola, mi spinge a fare cose sempre nuove.
Che ti devo dire, mi ritengo un uomo fortunato, per il semplice motivo che amo il mio lavoro. Per il resto ti ripeto che sono una persona molto pratica che non riesce a pensare e concepire soluzioni astratte, ma deve necessariamente costruirsi un’idea nella mente, rappresentarla su un foglio con un semplice disegno e poi realizzarla materialmente. Mi piace sviluppare idee nuove realizzabili con il ferro, ma in tutto quello che faccio cerco di lanciare un messaggio per me importante.
Per me il fabbro non è solo l’artigiano che sostituisce la serratura o fa una cancellata, il fabbro è un artigiano creativo, capace di torvare soluzioni pratiche.
Il mio modo di essere fabbro si caratterizza nella realizzazione di oggetti con forme semplici e lineari, il ferro battuto che io provo a realizzare deriva da forme stilizzate che ne mettono in evidenza i lineamenti e nello stesso tempo riescono a trasmettere la forma ed il significato.
La curiosità per il mondo dell’artigianato mi spinge continuamente ad esplorare, per la voglia di capire, di conoscere, e di imparare i diversi modi e le diverse tecniche per la lavorazione di diversi materiali; a partire dal mio mestiere, di cui sicuramente non riuscirò mai a carpire tutti i segreti, ma anche alle altre lavorazioni: come quella del vetro, della pietra, del legno e per ultimo quella dell’alabastro. Infatti,la sera dedico parte del mio tempo a cercare di documentarmi attraverso la rete e i libri di testo.

Naturalmente non si vive solo per il lavoro, anche io ho degli hobbies.
Una delle mie grandi passioni è l’equitazione, mi sono avvicinato al mondo dei cavalli circa dieci anni fa. Durante gli ultimi anni di scuola superiore, i miei genitori acquistarono un appezzamento di terreno dove avevano il desiderio di costruire una piccola casa. Io al tempo ero un aspirante geometra e progettai una casa, su due livelli interamente in pietra e legno. Dopo qualche anno, quel disegno prese forma e la casa fu realizzata quasi interamente da me e da mio padre. Parecchi oggetti che compongono l’arredamento interno, la struttura e l’arredo esterno, fanno intuire con facilità la forte presenza del fabbro in famiglia.
Proprio su questo terreno sono state costruite le stalle per i due cavalli.
L’unione della passione equestre con il nostro mestiere diedero l’impulso a me e a mio padre di creare, dal niente, un calesse. Con forme, colori e materiali che fanno ritornare alla mente una qualche tipica scena di film d’epoca.
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A parte questo, le cose che mi piacciono sono tante, tra queste strimpellare con un chitarra e viaggiare, perchè stimola la mia sete di conoscenza, mi affascina poter vedere ciò che altri sono riusciti a realizzare. Forse però la cosa più importante per me è l’amore per il mio paese e per il territorio che lo circonda. Una passione forte che mi ha spinto con coraggio a fermarmi in questi luoghi e a continuare il mio mestiere, e come se non bastasse è proprio nel mio paese che abbiamo scelto, io e mia moglie, di far crescere la nostra famiglia, che poi è proprio nel significato della parola famiglia che trovo la forza, la gioia e la voglia di scoprire cose nuove del mio mestiere, che ritengo fondamentale per la mia libertà.»
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Ecco caro Diario, questo è Giovanni Mariella raccontato da sé medesimo.
Come dici? È un gran bel racconto? Sono d’accordo, per me il suo racconto è bellissimo però lui è più bello ancora. Sai che è successo quando la sera ci siamo visti con Jepis quando è tornato dalla raccolta delle olive e gli ho detto che io e Cinzia eravamo stati a Tortorella? Ha telefonato a Giovanni, gli ha detto se aveva voglia di passare 2-3 ore insieme a lui e me la mattina dopo – Domenica – per ragionare insieme del suo lavoro e delle sue possibilità, e Giovanni gli ha detto sì, e questo abbiamo fatto, ti lascio con il post e la foto che ha condiviso Jepis sui social il pomeriggio di Domenica, perché per il resto ci vuole tempo, però per me è importante dirtelo subito che quando vivi e lavori così la fatica è tanta però pure la felicità. Alla prossima.

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