Il rap e la luce di Turner. Vinz Turner

Vincenzo «Vinz Turner» Pezzella è entrato nella mia vita l’undici di febbraio di quest’anno, a Casoria, nel corso della serata organizza dall’artista Enzo Marino al Caffè Sgambati per raccontare le storie de Il Coltello e la rete, le foto di Gaetano Massa e il rap di Vinz Turner, si proprio lui, il protagonista di questa storia, che poi in realtà l’avevo già conosciuto attraverso le foto di Gaetano, finite in mostra in Italia e all’estero, oltre che su un bel po’ di riviste, ma questo se non me lo diceva Vincenzo io non me lo ricordavo mica.

Mi ha colpito molto Vinz nel nostro primo incontro. Mi hanno colpito i suoi modi educati, che dovrebbero essere normali nei ragazzi ma «dovrebbero» non a caso non è «sono»; il buon italiano, che anche all’università ascoltare e leggere frasi che contengono «soggetto, predicato e complemento» non è poi così facile;  la voglia di raccontare gli studi, i professori che ti capiscono e quelli che invece no; il primo lavoro, che non sente suo, il valore del lavoro, il lavoro attuale, il ruolo della famiglia, l’importanza di seguire la propria strada, e mi fermo qui perché poi ve lo faccio raccontare da lui che è meglio. Io intendo aggiungere soltanto che Vincenzo ha 20 anni – è nato nel 1996 a Codogno, oggi provincia di Lodi – perché in quel periodo suo padre, originario di Casavatore – comune dell’hinterland napoletano – fa l’operaio in un’azienda del milanese. Il papà di Vincenzo comincia presto, all’età di 14 anni,  a girare l’Italia inseguendo il lavoro, la dignità, il rispetto. La madre invece è pugliese, ma da adolescente arriva anche lei – insieme alla famiglia of course – a Casavatore. La prima tappa dopo il matrimonio è Cremona, l’ultima Codogno, Vincenzo ha un anno quando i genitori decidono di tornare a Casavatore per lavorare entrambi in una fabbrica di abbigliamento. Ecco, io mi fermo qui, il resto ve lo dice Vinz, mi raccomando non ve lo perdete, che è troppo bello.

«Da piccolo amavo scrivere e inventare storie, avevo una grande fantasia, ma la mia passione più grande era la musica. Mio padre mi racconta spesso che già da neonato mi metteva le cuffie e mi faceva ascoltare gruppi come i Doors, i Guns ’n Roses e i Metallica. Fino agli 8 anni sono cresciuto col rock e l’heavy metal, ma proprio in quell’anno, il 2004, mi ritrovo a casa una cassetta di una sfida – battle è la parola giusta – di breakdance; non ricordo come sia arrivata a casa mia, ricordo che la guardai e rimasi sconvolto. Fino a quel momento non avevo mai sentito parlare di Hip-Hop, Rap, Breakdance ecc.; non sapevo né che quelle cose avessero quel nome né dove poterle imparare; vedevo quei ragazzi sullo schermo che volavano e l’unica cosa che sapevo era di volerlo fare anch’io. A tutti i costi. 
Così comincio ad allenarmi e con l’allenamento e il tempo la cosa diventa per me molto seria: frequento ancora le scuole elementari e mi alleno 5 – 6 ore al giorno,  spesso il mio maestro mi viene a prendere a scuola e andiamo in palestra o sotto i porticati, per strada, ad allenarci.  Ho partecipato molto presto alla mia prima battle e da lì e fino ai 15 anni ho dedicato la maggior parte del mio tempo alla breakdance. 
Nel frattempo comincio ad ascoltare anche il rap e a capire cos’è l’Hip-hop e quali sono le sue discipline; i primi rapper che sento in assoluto sono Eminem, 50 Cent, M.O.P e altri gruppi italiani come gli Articolo 31, La Famiglia, Co’Sang, Chief & Soci, 99 Posse: per fortuna ho ottimi insegnanti anche dal punto di vista musicale. 
Nel 2009 mi iscrivo al liceo, volevo frequentare il linguistico ma per una serie di casualità mi ritrovo a frequentare il classico; comincio nello stesso anno a produrre le prime strumentali e a scrivere i primi testi. Ero ossessionato dal rap: scrivevo, producevo, registravo, capivo i miei limiti e mi rendevo conto di essere ancora “acerbo” ma volevo migliorare a tutti i costi e continuo in questo modo fino al 2011: ormai stavo smettendo completamente di ballare, non tanto per scelta, più che altro perché concentravo tutta la mia attenzione sulla musica. Sempre nel 2011 conosco Brandon, un ragazzo di Secondigliano che come me scrive e produce e formiamo il mio primo gruppo, Trust Back. Cominciamo a lavorare al nostro primo progetto, RAW – Read After Write -, che esce l’anno successivo; scriviamo i testi, io realizzo quasi tutte le strumentali e collaboriamo con diversi gruppi già più affermati come Brokenspuork e Kimicon Twinz. Nello stesso anno con un mio amico di classe, Marcello Valerio (Young Killa) conosco altri rapper di Casoria come Dome Flame & LeleBlade (Kimicon Twinz) e Danny Mega, e così si consolida l’idea di creare il Cazooria Muv, un movimento, una famiglia di persone provenienti dall’area nord di Napoli che condividono la stessa passione. Oggi quella che noi definiamo una famiglia prende il nome di 365 MUV ed é composta da me, Dome Flame, LeleBlade, Danny Mega, Vale Lambo, C-One, Miro e Yung Snapp. 
In quello stesso periodo io e Marcello diventiamo i protagonisti di un bellissimo photo reportage di Gaetano Massa che finisce su importanti riviste come Panorama, Mondomix e Narcomafie. 
Comincio quindi a prendere ancora più seriamente la scrittura dei testi e la produzione musicale, escono dei singoli da solista,  come ad esempio Lista Nera, e comincio a lavorare al mio primo mixtape. Questo progetto autoprodotto esce nel 2014, preceduto dal video del singolo Più Forte e vede la collaborazione dei vari artisti provenienti dal roster  365 MUV e dell’abruzzese Morbo; inoltre produco 5 strumentali e le restanti sono produzioni edite, prevalentemente americane.
Pochi mesi dopo l’uscita del mixtape mi diplomo e decido di frequentare l’università per studiare la lingua inglese e quella araba, ma dopo aver superato i test e qualche settimana di frequenza comincio ad avere un po’ di incertezze su ciò che voglio davvero fare nella vita e decido di non iscrivermi più. Vado a lavorare nella fabbrica di abbigliamento dove mio padre lavora come operaio, faccio un po’ di tutto, dal  magazziniere al facchino, lavoro nel reparto taglio e nella confezione, ma non sono felice, perché dentro di me so che non voglio fare questo per tutta la vita. 
La mia via è la musica, sono disposto a fare qualsiasi lavoro che riguarda la musica, comincio a studiare per diventare tecnico del suono e produttore.
Ne parlo con i miei genitori, non è facile valutare la situazione e prendere la decisione giusta, ma alla fine mi danno tutto il loro sostegno e per me avere una famiglia entusiasta per quello che faccio é la cosa più importante. Sono sincero: non é facile dare fiducia ad un progetto così ambizioso e difficile da realizzare, soprattutto perché la musica, così come ogni altra forma di arte e di espressività, é una cosa che al primo impatto può sembrare astratta, come direbbe qualcuno «non puoi mangiare i dischi», e magari la strada del lavoro «convenzionale» sembra quella migliore.

Mentre tutto questo accade nasce una collaborazione con il produttore Rosario “D-Ross” Castagnola” (che vanta la presenza su dischi di artisti come Fabri Fibra, Marracash e Luché) e il risultato é “Mark Renton” un pezzo rap con forti influenze rock che parla metaforicamente dell’attrazione della società moderna verso le droghe; il video, diretto da Johnny Dama, é ispirato al celebre film Trainspotting e in particolare al suo protagonista, Mark Renton per l’appunto. 
Dopo l’estate del 2015 comincio a lavorare come assistente presso l’MDA Studio Recording a Casoria ed é tutt’ora il mio impiego a tempo pieno. E’ un’esperienza che mi permette di mettere in pratica tutto quello che sto studiando e nonostante sia cominciata da pochi mesi mi ha già insegnato tanto e continua a farlo giorno dopo giorno. Attualmente sto lavorando a diversi progetti, sia come produttore che come rapper e a breve ci saranno un bel po’ di novità per quanto riguarda la mia musica, perciò restate sintonizzati.»

That’s all, folks. Anzi no. Perché magari l’amico che un giorno gli ha dato il soprannome non lo sa o forse si, ma Turner,  William Turner, è stato un grandissimo pittore, precursore dell’Impressionismo,  «il pittore della luce», che poi ci hanno fatto anche un film che ha vinto numerosi e importanti premi, compreso quello per miglior interpretazione maschile a Timothy Spall, l’attore che lo impersonava. 
Cosa voglio dire con questo? Niente, solo che «art happens», l’arte accade. E a un vecchio napoletano, superstizioso il giusto come me, tutto questo sembra un segno di luce molto ben augurante.
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