Cara Irene, cercando tra i libri che ho in vario modo raccontato o recensito nella mia vita, sono inciampato in un breve articolo pubblicato nel 2011 in versione cartacea per Il Mese di Rassegna Sindacale e dedicato a un libro di Sarah Bakewell, Montaigne. L’arte di vivere.
La prima cosa che mi sono chiesto è se c’era ancora in giro, i libri meravigliosi mai ristampati perché non sono best seller sono davvero tanti, ma per fortuna in questo caso la risposta è stata sì, e insomma mi sono entusiasmato e ho deciso di dare qualche ritocco al mio post e di condividerlo con te, anche perché la testata sulla quale era stato pubblicato purtroppo non esiste più da tempo. Ti avviso, se continuo ad entusiasmarmi può essere che lo faccio ancora.
“La sua esistenza era un dolce fluttuare sopra un tappeto di benevola ottusità”: diciamo la verità, detto così non è che sembri proprio un complimento, insomma uno di quei pensieri che vorresti tanto che qualcuno un giorno dedicasse a te. Se vogliamo dirla tutta, ai tempi della mia Secondigliano artigiana, operaia e magliara persino uno come Pasqualino ‘o Ricciulillo, addetto al confezionamento in un calzaturificio di Casavatore dal lunedì al venerdì e aiuto pizzaiolo il venerdì, il sabato e la domenica sera, se gli dicevi una cosa così un pugno e anche due te li mollava volentieri. Ma avrebbe avuto torto. Perché avrebbe perso la possibilità, possiamo immaginare irripetibile nella sua onesta, prevedibile, esistenza, di essere accomunato nientepopodimeno che a Michel de Montaigne. Sì, perché quello dell’esistenza che fluttua è proprio lui, o almeno così ci viene raccontato da Sarah Bakewell nel suo splendido volume dedicato per l’appunto a Montaigne.
Immagino ti starai chiedendo perché l’esistenza di un uomo di cotanto senno fluttua in questo modo? Te lo dico subito: pare che Montaigne avesse scarsissima memoria e la cosa, secondo la Backwell, ha prodotto alcuni effetti collaterali di non poco conto: il nostro era un uomo propenso alla sincerità (l’arte di dire bugie richiede una memoria di ferro), aveva una mente così “meravigliosamente vuota che nulla poteva ostacolare il suo ragionamento”, “si dimenticava facilmente delle offese ricevute e dunque serbava meno rancori”, era capace di recuperare le sensazioni più profonde delle sue esperienze, quelle che poi ha raccontato nei suo Saggi, proprio perché era preda di quella memoria “involontaria” che tanto fascino avrebbe esercitato su Proust. Sì, proprio quella memoria che all’improvviso ti riporta alla mente un volto, un gusto, un odore che pensavi ormai di aver perso per sempre.
Ora tu non provare a domandarti perché nel mio caso la mancanza di memoria produce come effetti collaterali soltanto ombrelli persi e telefonini lasciati nei posti più improbabili, perché mi potrei dispiacere, chiediti piuttosto in che senso e perché Montaigne non è stato soltanto l’ideatore del “saggio”, ma anche il primo blogger della storia.
Come dici? Non è facile? Sono d’accordo, però non sperare che te lo dica io, ti consiglio di leggere il libro, vedrai che poi me ne sarai grata.
Anzi sai che ti dico? Se ancora non ci sono riuscito per incuriosirti almeno un po’ aggiungo di provare a immaginare che cosa sarebbe successo se Montaigne avesse potuto scrivere sui social, in ricordo dell’amico Étienne de La Boétie sconfitto dalla peste, questo pensiero: “Se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: Perché era lui, perché ero io”.
Secondo me almeno un paio di centinaia di mi piace, abbracci e cuoricini non glieli avrebbe tolti nessuno. Non te lo perdere amica mia, e non perché quando è uscito, nel 2011, ha vinto un sacco di premi importanti, ma perché è bello, bello, bello. Ho pensato di consigliarlo pure alla Libreria di Jepis Bottega, se non ce l’ha già.