Caro Diario, questa storia qui comincia con La Notte del Lavoro Narrato 2017, con il mio arrivo a #Cip – Caselle in Pittari – e con Giuseppe “Jepis”, Margherita e Rosa Rivello che mi portano a cena a Sicilì, frazione di Morigerati, all’Ustaria Rosella.
Arrivo all’Ustaria che sto ancora in piazza, quando dalla macchina di Jepis vedo Antonio “quaglialatte” Pellegrino che inforna una pizza. Quando entriamo è solo abbracci e senso, perché lo sai come funziona, avere persone a cui vogliamo e che ci vogliono bene è la più grande ricchezza di cui noi esseri umani possiamo disporre.
Mentre stiamo per sederci a tavola arriva anche Paolo Vallone, l’ingegnere artista, naturalmente è anche lui della partita, alla voce pizza assaggiamo un po’ delle delizie che ci propone Antonio, alla voce primo scelgo i cavatieddi con baccalà, olive e capperi, li puoi vedere nella foto.
Come dici caro Diario? Dalla foto ti sembrano belli? Sono daccordo, sono belli assai, ma ti assicuro che soprattutto erano buoni, talmente buoni che ho chiesto a Jepis chi fosse il cuoco e ti puoi immaginare quale sia stata la mia sorpresa quando lo hanno chiamato ed è venuto fuori un ragazzo di 20 anni, perché sai, in cucina l’esperienza è un ingrediente importante, e insomma la bontà dei cavatieddi faceva un po’ a pugni con l’età del cuoco. Lo sai amico mio, a me queste cose qui mi ingrippano, e così l’ho invitato a passare da Jepis Bottega il giorno dopo, per ascoltare la sua storia, che magari non mi piaceva ma magari si e in questo caso l’avrei raccontata.
Lo so che lo hai già capito, ma ieri ci siamo visti, la sua storia mi è piaciuta e dunque eccomi qua.
«Che dici Vincenzo, cominciamo dal soprannome di famiglia?»
«Vai, mi sembra un’ottima idea, qui a Caselle il soprannome è quasi un’istituzione.»
«La storia comincia con il mio bisnonno che allevava le pecore e mentre le pecore pascolavano gli piaceva fare calze di lana, naturalmente a mano. Cacetta sta per calzetta, calza. Un giorno che aveva dimenticato una mezza calza a casa lanciò un grido alla moglie dicendole “Uè, Caterì, portami sta meza cauzetta”, questa mezza calza, fu sentito da alcuni paesani e da lì cominciarono a chiamarlo mezza cauzetta, che negli anni è diventato prima cauzetta e poi si è trasformato in “cacetta”. Io sono “cacettino” perché con i miei ventanni sono il più piccolo della famiglia, fine della storia.»
«Bella storia, ma è solo l’inizio altro che fine. Per esempio dimmi che cosa ti piace e che cosa invece no.»
«Amo, il calcio, quello giocato, sono abbastanza bravo, ho militato anche nel campionato di promozione, e quello guardato, sono tifoso del Napoli.»
«Ecco, questa è una notizia, qui a Caselle di solito incontro solo juventini.»
«No no, quando parliamo di pallone il colore del mio cuore è azzurro. Poi mi piace l’amicizia – gli amici sono la mia seconda famiglia -, l’umiltà, la sincerità, l’onestà, le cose genuine – sono un tifoso del km 0 – e naturalmente la mia ragazza. Sono tre anni che sono fidanzato con Emilia e ci vogliamo davvero molto bene. Tra le cose che proprio non mi piacciono ci sono la falsità, l’ipocrisia, le persone che stanno bene nella vita però vivono da sfigati e quando mi chiamano chef.»
«Direi che quest’ultima cosa è curiosa per uno che fa il cuoco, ma magari ci torniamo dopo, adesso dimmi alla voce istruzione come stai combinato.»
«Sono diplomato all’Istituto Alberghiero Carlo Pisacane di Sapri, settore cucina ed enogastronomia.
Come tanti qui ho comiciato a lavorare già da studente. Per 3 anni in un bar qui a Caselle, i fine settimana e gli extra in un ristorante di Policastro, l’anno scorso – quello in cui mi sono diplomato – come aiuto cuoco in un ristorante qui a #Cip ero il capo partita agli antipasti, in pratica il responsabile nella preparazione, impiattamento distribuzione degli antipasti.»
«E l’Ustaria Rosella quando è entrata nella tua vita?»
«Lo scorso inverno, per la verità la mia intenzione era di andare a fare esperienza in altre parti d’Italia o all’estero, in particolare in Svizzera avevo anche dei punti di riferimento. Poi invece mi hanno chiamato Jepis e Quaglialatte ed è cambiato tutto.»
«Restare a casa propria è sempre preferibile.»
«Sì, non lo nascondo, ma le due cose che per me sono state davvero determinanti sono state il fatto che nella società che avviava il locale ci fossero insieme a Giovanni Cammarano e Antonella Pellegrino anche loro e soprattutto il progetto che c’è alla base, insomma il tipo di cucina che si voleva fare.»
«Cioè?»
«Cioè la cucina tradizionale del posto. Che ti devo dire, lagana e ceci, il carciofo imbottito, la frascatola, una polenta di grano tenero, la braciola al sugo con la quale si fa anche il ragù.
È la mia cucina, sono piatti che appartengono alla mia tradizione alla mia vita e a quella della mia famiglia. Vedi Vincenzo, noi dell’Usteria Rosella intendiamo trasmettere la nostra tradizione culturale e culinaria a chi viene a mangiare da noi. Lavoriamo solo ed esclusivamente pasta fresca fatta a mano con farine locali di grano di Caselle.»
«Qual è la pasta che proponete di più?»
«Abbiamo tre tipi di pasta principali: il cavatieddu, il tagliolino e il raviolo che a Sicilì lo chiamiano ‘o maccarone chino (il maccherone pieno).»
«Ecco, adesso è il momento giusto: mi spieghi perché ti dà così fastidio essere chiamato chef?»
«Perché io adesso ho bisogno di fare gavetta, ho bisogno di continuare a lavare i piatti, e sono contento di farlo, perché come dice Quaglialatte la cucina è il mio ambiente, il mio campo di gioco, e lo devo tenere sistemato io.E poi anche se durante la settimana riesco a tenere la cucina da solo, tecnicamente parlando sono un aiuto chef, ho come tutor uno chef che nei fine settimana dirige le operazioni. Spero presto di diventare indipendente, ma per adesso continuo a imparare molte cose.»
«Mi fai un esempio?»
«Il RaviolEvo, una bellissima idea dello chef.»
«Cioè?»
«È una sorta di raviolo al contrario, nel senso che invece di avere la pasta fuori e la ricotta dentro ha la ricotta fuori che fa da letto al raviolo che ha al proprio interno l’olio. Si chiama Evo proprio per questo, extra vergine oliva.»
«Cacettino, due ultime cose. La prima: qual è il tuo sogno?»
«Avere un ristorante tutto mio, dove fare il cuoco, per tutta la vita.»
«La seconda: perché per te il lavoro è importante, vale?»
«Prof., come ti ho detto ho cominciato a lavorare a 15 anni. All’inizio la molla principale era la voglia di essere indipendente, il fatto che non volevo chiedere soldi ai miei. Più avanti, quando ho incontrato la cucina, ho capito che si tratta di passione. Sì, lo stipendio è importante, ma viene dopo.
Magari quando avrò una famiglia mia il rapporto tra la passione e il guadagno dovrà trovare un nuovo equilibrio, ma se tu adesso mi chiedi cos’è per me il lavoro io ti rispondo che il lavoro è passione.»