R3to. I sogni e il rap di Federico

Caro Diario, sono giorni d’agosto e ci sta che tu entri in un bar e trovi al banco un ragazzone vestito con un completino a strisce rossonere orizzontali. Ora devi sapere che nonostante Cip mi sia entrata per sempre nel cuore ha anche lei i suoi difetti, perché insomma neanche lei è perfetta, per esempio ci stanno un numero esagerato di persone tifose della Juve. Morale della storia, ho chiesto al ragazzo in questione per quale squadra facesse il tifo e lui mi ha risposto “è la divisa del Flamenco, non faccio il tifo per loro, mi piace molto lo sport ma il calcio non lo seguo tanto, la divisa è per Ronaldinho, lui mi piace perché sorride sempre, io tutti questi calciatori super miliardari che stanno sempre ingrugniti, tristi, non li reggo tanto, il calcio dovrebbe essere sorriso, gioco, divertimento, così potrebbe essere davvero di insegnamento per i ragazzini”.

Non so come la vedi tu amico Diario, ma a me si è attivato il quinto senso e tre quarti e quando poi Jepis, che stava con me al bar, ha preso il braccio del ragazzo lo ha girato leggermente e mi mostrato il tatuaggio di Cip, ho deciso che volevo saperne di più e così ho fatto.
Ancora due chiacchiere per riscaldare i motori mi hanno permesso di sapere che lui è Federico Torre, che a Dicembre compie 25 anni, che è nato a Milano, che in casa con la mamma continua a parlare il dialetto casiddisi e che a volte gli amici lo prendono in giro per questo, che i genitori sono separati da parecchi anni ma hanno mantenuto un ottimo rapporto e continuano a darsi una mano, dopo di che gli ho chiesto di trasferirci nella bottega di Jepis per continuare la nostra chiacchierata.
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“Vincenzo, io Caselle la porto sempre con me, ce l’ho nel sangue anche se sono nato a Milano, hai visto il tatuaggio, assieme a Cip ci stanno i nomi delle mie due nonne, due figure straordinariamente importanti nella mia vita, direi predominanti. 
Mia madre gestisce una tabaccheria sta a via Vetruvio, vicino alla Stazione Centrale di Milano, mio padre invece è commerciante di vestiti all’ingrosso.
Io sono diplomato, ho fatto due anni di aeronautica e tre di informatica e ho un sogno, quello di fare della mia vita, di quello che sono, il mio lavoro.
Ti faccio un esempio, sono un grande appassionato di sport – tennis, calcio, moto, go kart, tutto lo sport – e “da grande” mi piacerebbe lavorare in questo mondo, per esempio come mental coach. Vorrei essere un motivatore, uno stimolatore, quello che ogni giorno ti dà una mano, nelle vittorie e ancor più nelle sconfitte.
Non si può passare la vita solo a mangiare e a giocare alla play station. Dopo di che può darsi che tutto questo rimanga un sogno, ma per me la vita è fatta anche di questo, è fatta anche di sogni.
Nel presente c’è la tabaccheria, nel senso che quando posso dò una mano a mia madre, e soprattutto c’è la musica.
 Vincenzo, non te l’ho detto ancora ma sono un rapper, il mio nome d’arte è Reto, nasce dall’abitudine che c’era a Milano da ragazzi di invertire le sillabe delle parole, per esempio drema al posto di madre, ancora adesso se la chiamo drema mia madre capisce che sto parlando con lei.
Ho un canale youtube, una pagina instagram e una canzone alla quale sono particolarmente affezionato, Karma. 
Le vuoi sentire le prime strofe?”
“Vai!”

“Non lo sanno,
come ho fatto,
impreparato distratto.
Tutti mi hanno chiesto un passaggio, ma non ho mai fatto il bastardo.
Con te.
Forse perché un ricordo non c’è,
ho messo tutto in gioco, ho preso fuoco,
in un rogo più grande di me, di te.
Ecco, questo è l’inizio, che te ne pare?”

 
“Me ne pare che dopo la sento e ti dico. Adesso raccontami perché hai cominciato a cantare, cosa significa per te la musica”.
“Guarda, tutto è iniziato perché ho sentito l’esigenza di scrivere canzoni, lo facevo per me stesso, perché stavo bene, perché mettere i pensieri su carta mi faceva stare meglio.
 Vedi Vincenzo, in una città come Milano sei una formica, ognuno di noi è una formica, e invece attraverso le mie canzoni io riesco ad esprimermi, ad essere me stesso, a tirare fuori quello che ho dentro, ad avere una mia identità.
Naturalmente tutto questo è anche molto faticoso, per me e anche per chi mi sta intorno, mia madre per esempio, che per notti e notti si è dovuto sorbire me che scrivevo, facevo prove, canticchiavo e poi la mattina dopo doveva andare a lavorare.
E poi come fai a dimenticare le prime volte in studio, la paura, quella sensazione di essere in una navicella spaziale con duemila luci, pulsanti e tutto il resto.
Ecco, ci tengo a dirti che io ho avuto e ho anche la fortuna di aver conosciuto persone che mi hanno aiutato ad essere e a restare me stesso anche in un ambiente così, che non è facile, quando stai lì rischi di sgonfiarti, della serie e adesso che faccio?

Molti pensano che tu scrivi la canzoncina e poi loro se la cantano, ma in realtà se vuoi fare le cose per bene c’è un gran lavoro dietro: la scelta delle musiche, delle basi, dei termini giusti è un lavoro molto impegnativo se decidi come me di non lasciare nulla al caso.
C’è il lavoro creativo, quello che faccio da solo, quello in studio, produzione e post produzione, insomma una canzone significa centinaia di ore di pensieri e di lavoro e diversi mesi prima di vedere la luce.
Adesso non è che voglio mettermi qui a dire che le mie canzoni hanno un messaggio, però io devo dire qualcosa a chi mi ascolta altrimenti la canzone non la faccio.
Lo faccio volentieri, perché mi piace, perché mi permette di comunicare in modo diretto con chi mi ascolta. Io non cerco solo follower e fan, cerco di avere una relazione vera con chi mi ascolta e cerco a mia volta di ascoltare quello che loro mi dicono, non so se mi spiego.”

“Ti spieghi. Un’ultima cosa, dimmi un po’ di cose che ti piacciono e un po’ che invece no.”
“Un po’ delle cose che amo già te le ho dette, comunque amo viaggiare sempre con Caselle nel cuore. Amo cantare in pubblico. Amo fare sport, considero lo sport una scuola di vita che ti aiuta in tutto, lavoro, relazioni, società.
Una cosa che proprio non sopporto è quando ti illudono, quando ti dicono una cosa che non pensano, solo per farti contento. Non mi piacciano quelli che dicono ti prometto che. Non mi piace la diffidenza verso il Sud, non la voglio chiamare razzismo ma è una mancanza di fiducia per ciò che il Sud rappresenta. E non mi piace l’Inter. Senti Vincenzo, te la posso dire ancora una cosa sulla musica?”

“Certo che puoi”.
“Oggi uno dei problemi è che anche i rapper fanno musica commerciale, soprattutto non cantano quello che vogliono loro ma quello che chiedono le case discografiche.
Io sto fuori da questa logica, per questo ti ho detto che per me la musica è un lavoro ma non è un lavoro. Più avanti può darsi che cambia, ma al momento non mi voglio sentire costretto a raggiungere un risultato economico. Ripeto, poi può darsi che a un certo punto cambia, ma per adesso non sono disposto a rinunciare alla mia musica e alle mie parole.”

Ecco caro Diario, questo è il racconto di Reto, un ragazzo milanese con Cip sulla pelle e nel cuore. Mi ha detto che tra qualche giorno esce il suo nuovo brano, perciò resta sintonizzato e fammi sapere se ti piace.
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