Il viaggio di Enzo, della cooperativa La Paranza e del Rione Sanità

Caro Diario, Enzo Porzio te l’ho raccontato tante volte e non te l’ho raccontato mai, nel senso che sta in molte delle mie storie, ma mai da protagonista come mi sarebbe piaciuto, un po’ anche per colpa sua.
No no, cosa hai capito, non è perché è «atteggiuso», nel senso che fa il divo, al contrario; è un perché sta sempre impicciato, sulle orme del suo Maestro, padre Antonio Loffredo, e perché è una persona semplice, di quelle che se deve parlare del Rione Sanità tu premi il tasto «start» e lui non si ferma più, ma se deve raccontare se stesso diventa tosta, pensa che l’ho dovuto minacciare per portarlo qui.
Come dici amico Diario? Cosa vuol dire che l’ho dovuto minacciare? Mammà, mo’ ti ci metti anche tu, «minacciare» nel senso buono e giocoso del termine. È accaduto qualche giorno fa, quando sono andato a trovarlo alle Catacombe con i miei amici Rodolfo e Lucia. Mentre ci guidava verso l’ingresso, l’ho visto fotografare «a volo a volo» una grossa pianta che era stata divelta dal vento.
«Enzo, perché l’hai fotografata?», gli ho chiesto.
«Così i ragazzi della manutenzione arrivano e la rimettono subito a posto», mi ha risposto. «Abbiamo un gruppo su WhatsApp, si chiama “A voce d’o male tiempo”».
«Come si chiama?»
«A voce d’o male tiempo. Vedi che ne abbiamo anche un altro, quello dello staff, si chiama San Gennaro è meglio ‘e Pelè.»
È stato a quel punto che l’ho minacciato, gli ho detto che o mi mandava entro sera le cose che gli avevo chiesto o io la sua storia la scrivevo comunque, anche senza di lui, sarebbe stato il mio primo racconto con il protagonista in contumacia.
Stanotte è arrivato, con la prima parte, e ha promesso che mi manda subito la seconda, ma intanto tu leggi questa, e poi vedi se non ti innamori pure tu di Enzo Porzio.

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«Caro Vincenzo, oggi posso dire di essere nato a Napoli e cresciuto nel Mondo. Purtroppo non l’ho visto ancora tutto, ma non mi posso lamentare, ho viaggiato tanto e il viaggio mi ha cambiato la vita.
Nel 2006 eravamo in visita alla Terra Santa con la parrocchia della Sanità, eravamo in 20 circa e io e altri 6 amici eravamo i più giovani del gruppo e non amavamo seguire le regole in generale, figuriamoci poi quelle che un prete provava a dettarci per farci visitare luoghi che poi ho scoperto essere straordinari.
Quel giorno in Giordania faceva caldissimo come sempre, stavamo visitando la città di Nazareth, io e i miei amici dopo aver seguito il gruppo nei primi due luoghi Santi decidemmo che ne avevamo avuto abbastanza e ci buttammo in un bar per bere e mangiare, insomma perdevamo un po’ di tempo in attesa che il resto del gruppo finisse la visita. Al termine del tour nella città dell’infanzia di Gesù, salimmo nel Bus pronti a tornare in hotel, e io e i mei compagni di viaggio ci accomodammo sul fondo, nei posti riservati a noi più casinisti e disordinati.
Mentre il pullman chiudeva le porte don Antonio si avvicinò e ci disse poche semplici parole che ricordo quasi testualmente: “stiamo lasciando la casa di Maria e voi non l’avete vista, ve la siete persa per fare le solite cose che potete fare anche a casa vostra. Chissà quando ritornerete in questo posto e se mai avrete ancora la possibilità di visitare questi luoghi. Ora noi stiamo andando via e vi siete persi qualcosa di unico. Abbiamo un viaggio da fare e tante cose da vedere, scegliete se fare le vostre solite cose oppure se volete fare cose nuove”.
Senza nemmeno attendere risposta o reazione girò le spalle e andò ad accomodarsi d’avanti. Mi devi credere Vincenzo, ci lasciò letteralmente a bocca aperta, freddati. Quelle parole scatenarono un terremoto in ognuno di noi e il nostro viaggio cambiò. Fortunatamente eravamo solo all’inizio e la visita alla casa della Madonna fu l’unica cosa che riuscimmo a perderci.
Vincenzo, quello è stato IL VIAGGIO. Da quel viaggio la mia vita è cambiata, avevo scoperto don Antonio, un secondo padre per me, un uomo dal quale imparare a vivere, a vedere le cose da altri punti di vista, a guardare dentro di sé e lontano.

Per i primi 14 anni della mia vita ho vissuto a Via Stella 94, una traversa di Via Santa Teresa degli Scalzi. Mamma, oggi come all’ora, lavorava in lavanderia, papà invece faceva la guardia al Museo Archeologico. Niente di particolarmente entusiasmante in questi anni: casa, scuola, chiesa e giocavo a pallone per strada come ogni bravo bambino napoletano. Mi tenevo lontano dai guai, frequentavo poco le cattive compagnie, quel giusto che mi serviva a capire “addò fa friddo e addò sta ‘o sole”.
Per mia fortuna ho sempre scelto il sole. A un certo punto il palazzo dove abitavamo fu dichiarato pericolante e ci dovemmo trasferire al Rione Don Guanella, una periferia della periferia, terra di nessuno della Napoli nord, tra Capodimonte e Secondigliano.
Il posto era veramente brutto da vedere, l’unica cosa bella che ricordo furono gli amici. Ero appena arrivato in questo quartiere dagli stradoni larghi e a percorrenza veloce, mi vedevo già segregato in casa a vita per sfuggire a tanta bruttezza ma lo sport mi salvò. Cominciai a frequentare un gruppo di ragazzi che faceva Basket nel campo accanto alla parrocchia del rione, quei ragazzi diventarono i miei amici, lo sport riempiva le nostre giornate, con il sole o con la pioggia.
Durante i week end “andavamo a Napoli” in cerca di ragazze. Si, è stato un anno divertente, poi però cambiammo casa. Mamma non aveva trovato il suo campo di basket e al rione don Guanella non ci voleva proprio stare. Tornammo a vivere a Napoli, nel quartiere dove erano cresciuti i miei genitori, ed è stato così che il Rione Sanità, che avevo frequentato poco da piccolo, dal 2000 è diventato la mia casa.

All’inizio fu proprio dura. Mio cugino provava ad inserirmi nella sua comitiva di amici ma io ero l‘ultimo arrivato, non avevo il motorino e quindi spesso rimanevo a casa con mio fratello più piccolo di me di tre anni ed i suoi amici. Cominciai a frequentare l’oratorio della parrocchia della Sanità e questo salvò la mia vita sociale e non solo. La parrocchia era molto attiva, scoprii che prima del mio arrivo c’erano stati dei preti ai quali tutti sembravano ancora molto affezionati. Nel 2000 anche padre Antonio era appena arrivato alla Sanità, io e lui vivevamo la stessa fase di “inserimento” nel Rione solo che non lo conoscevo e quindi non potevo chiedergli consigli su come risolvere la situazione.
Fortunatamente la parrocchia era molto attiva, quei sacerdoti che avevano preceduto don Antonio avevano seminato tanto. Così tanto che anche adesso che loro non c’erano più, le attività che avevano ideato e promosso continuavano senza sosta. In particolare le attività culturali, visite guidate amatoriali e visite serali teatralizzate. Una sera mi ritrovai quasi per sbaglio ad aiutare giovani più grandi di me impegnati in una visita serale alla basilica. La visita terminava con un buffet e io servivo il vino. Quella sera cambiò la mia vita perché da quel momento mi ritrovai sempre coinvolto nello staff che organizzava il buffet delle visite serali. Quel gruppo di ragazzi è poi diventato La Cooperativa La Paranza che oggi gestisce le catacombe di Napoli.

Iniziammo per gioco, in modo amatoriale. Ci occupavamo dell’organizzazione delle visite serali teatralizzate alla basilica della Sanità, organizzavamo tour guidati alle catacombe di San Gaudioso e viaggiavamo insieme quando capitava. Barcellona, Madrid, Parigi, Nizza, Berlino, Monaco, durante i tanti viaggi le relazioni fra me e i miei nuovi amici si stringevano a doppio nodo, il viaggio ci donava la consapevolezza di ciò che avevamo tutti i giorni sotto i nostri occhi. All’estero vedevamo cosa significava valorizzare un luogo d’arte, un museo, un posto semplicemente Bello e al ritorno comprendevamo quanto potenziale inesploso dormiva sotto la cenere del nostro Rione Sanità.
Eravamo giovanissimi e con tanta energia e con una domanda che pesava come un macigno sul nostro futuro: cosa faccio da grande? O meglio, da grande cosa posso fare a Napoli?
Mentre ci ponevamo questa domanda fu un’altra domanda a darci la risposta. Un gruppo di persone che portavamo abitualmente in visita alle Catacombe di San Gaudioso ci chiese la fattura per pagare i nostri servizi di accompagnamento ma noi eravamo un gruppo di amici che aveva piacere a stare insieme e che amava il proprio rione, la partita iva ci mancava.

Don Antonio ci insegnò che in una cooperativa ognuno è responsabile delle proprie azioni e tutti i componenti contribuiscono nella stessa misura al raggiungimento degli obiettivi. Ci insegnò anche che in una cooperativa sociale l’obiettivo non era l’utile ma la crescita delle persone. Ci insegnò questa strana forma giuridica poco diffusa al Sud che però noi sentivamo perfetta per noi, per il nostro modo di essere e di confrontarci con il mondo. Decidemmo che avevamo tutto il tempo per investire in noi stessi e di sbagliare. Cominciammo a sognare immaginando centinaia di migliaia di turisti che attraversavano il rione Sanità per scoprirne le bellezze. Cominciammo a credere che il sogno sarebbe potuto diventare realtà, sarebbe stata solo questione di tempo e noi avevamo tutto il tempo.

Nel 2006 nacque la cooperativa sociale La Paranza Onlus, per creare lavoro attraverso la valorizzazione del patrimonio storico-artistico e culturale del Rione Sanità di Napoli. Whow! “Paranza” perché eravamo un gruppo di amici, lo siamo ancora oggi e questo è uno dei segreti che ci permette di affrontare ogni giorno mille difficoltà.
Iniziammo una gestione un po’ più sistematica delle catacombe di San Gaudioso, ci dividemmo i compiti in base alle attitudini di ciascuno, guide, manutentori, io mi occupavo delle pubbliche relazioni. Qualcuno mi aveva detto durante una visita serale che ero un bravo oratore e io gli avevo creduto, a quanto pare ci credevano anche i miei amici che accettarono la mia candidatura per coprire quel ruolo.
Dal 2006 al 2008 sono stati gli anni dell’apprendimento sul campo, facendo imparavamo come si gestisce un luogo patrimonio di tutti. Partecipavamo alle fiere del turismo, leggevamo di tutto sugli argomenti che ci sembravano pertinenti, cercavamo di capirci qualcosa in questo grande mercato che alcuni chiamavano turismo, altri cultura.
A rendere le cose ancora più difficili fu la crisi della “monnezza” che nel 2008 affondò l’immagine di Napoli sotto un mare di articoli che riportavano foto di cumuli di spazzatura. Che dolore e che tristezza! Facevamo poche migliaia di visitatori all’anno, provavamo a farci conoscere ma i flussi turistici diminuivano. Nel 2008 decisi di partire per Londra per imparare l’inglese, sentivo che dovevo imparare questa lingua se volevo occuparmi di turismo e quell’anno in cui tutto a Napoli sembrava fermo, era l’anno giusto per partire e investire su se stessi.

Ricominciai da zero, trovai un lavoro come gelataio da Zazà. Il negozio si trova a Canary Warf in un grande centro commerciale sotto un fantastico grattacielo sede delle maggiori banche inglesi. Il giorno lavoravo, la sera andavo a scuola. In questa lotta a metà tra sopravvivenza e scoperta, vivevo a grandi sorsi questa città straordinaria. Da banconista della gelateria, passai alla produzione e poi successivamente a responsabile di cassa e acquisti. Dopo quasi un anno avevo la totale fiducia del titolare dell’azienda e una grande comitiva di sud americani che frequentavo ogni giorno; in più, cominciavo a guardare le università inglesi per capire quale avrei potuto frequentare.
L’obiettivo era di ritornare a Napoli, ma a questo punto valeva la pena formarsi all’estero e ritornare a casa da laureato. Avevo quasi deciso l’ateneo da frequentare quando una domenica mi chiamò Susy Galeone, una dei pilastri della nostra cooperativa: “Enzo, abbiamo vinto il bando di Fondazione Con Il Sud. Abbiamo bisogno di te, torna a Napoli”. BAM! Ritorna? Mi dicevo che volevo ritornare ma non subito, stavo per cominciare addirittura studiare, ho cominciato da zero e ora qui sono qualcuno, mica una cosa del genere si decide così, in un secondo?!

Quelle due o forse tre settimane che sono passate dalla telefonata di Susy alla decisione che presi di ritornare me le ricordo ancora con una immagine impressa nella mente. Ero ad un bivio della mia vita, una strada mi portava a restare a Londra, a studiare e lavorare lì. Una volta completati gli studi, sarei ritornato a Napoli più forte e preparato di prima, ne ero sicuro. L’altra strada invece mi portava a Napoli a spremere le mie energie per la mia terra. I miei amici avevano bisogno di me. Da un lato avevo la certezza e dall’altro l’incertezza. Una strada mi portava lontano dall’altra. Dovevo scegliere e non fu per niente facile o scontato. La sera che scelsi di ritornare a Napoli me la ricordo ancora, ricordo che dopo una serata a vedere un film con gli amici, mi misi nel letto e mi dissi “ok ora mi metto a pensare ad una soluzione” ormai era un esercizio che facevo abitualmente solo che concludevo i ragionamenti ritrovandomi al bivio e senza aver scelto. Quella sera fu diverso, il sentimento che mi fece tornare a Napoli fu la paura del rimpianto. Scoprii che se a Napoli La Paranza avesse avuto il successo che io speravo, avrei voluto esserci fin dall’inizio. Il giorno dopo non avevo dubbi, stavo preparando le valigie ed il ritorno a casa.

Il bando di Fondazione Con Il Sud era il primo bando storico artistico della Fondazione presieduta da Carlo Borgomeo. Finanziava progetti che prevedevano occupazione giovanile e recupero di luoghi poco valorizzati. Sembrava scritto per noi. Completammo le schede di presentazione del progetto e poi partii per Londra. Ritornai per realizzare un sogno in realità. Nel progetto avevamo scritto che le Catacombe di San Gennaro erano poco valorizzate, che il sito …» [ continua ]
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Rieccomi amico Diario, stanotte Enzo Porzio si è rimesso a scrivere, e dunque eccomi qui, che anche se lui è sempre preoccupato che nelle cose che scrive ci scappi lo strafalcione in realtà è molto preciso e lineare nella scrittura, e insomma io non devo fare niente, e quand’è così mi piace assai. Ci risentiamo più avanti per i saluti.

«Nel progetto avevamo scritto che le Catacombe di San Gennaro erano poco valorizzate, andavano riaperte per riaprire il Rione Sanità che ormai da due secoli viveva una condizione di ghetto grazie, si fa per dire, al ponte di Gioacchino Murat. Ecco perché intitolammo il progetto “San Gennaro extra moenia, una porta fra passato e futuro”, convinti che la riapertura delle Catacombe di San Gennaro e dell’annessa basilica avrebbe portato linfa vitale alla valle della Sanità e che la collina di Capodimonte sarebbe diventata la porta d’ingresso dalla quale catapultarsi, attraverso il nostro racconto, in un’antica e vera parte di Napoli. L’idea era di creare lavoro attraverso la valorizzazione delle risorse culturali ed umane del quartiere, e ora avevamo tutte le armi per raggiungere il nostro obiettivo.

Ci rimboccammo le maniche e costruimmo quello che molti hanno poi definito “un modello da replicare ovunque esistano giovani pronti ad impegnarsi per la loro terra ed un patrimonio culturale che attende di essere valorizzato”.
La marcia era stata ingranata, grazie all’aiuto di persone straordinarie incontrate lungo il percorso, ingegneri, designer, architetti, manager e tanti altri sognatori che decisero di donare le loro professionalità a sostegno di un sogno ormai condiviso. In un anno le Catacombe di San Gennaro furono ripulite, illuminate, rese completamente fruibili attraverso rampe e pedane (anche per persone con disabilità). Ideammo i percorsi di visita e il biglietto unico per la visita alle due catacombe che gestivamo. Costruimmo l’immagine coordinata, il sito web e tutto quello che andava fatto per rilanciare uno dei più importanti luoghi del cristianesimo a Napoli. Inaugurammo la riapertura delle Catacombe con un ciclo di visite serali che durarono 3 mesi e registrarono il tutto esaurito praticamente ogni sera.

“Lux in Tenebris”, dal buio alla luce, e così nel primo anno di attività raggiungemmo 8.000 visitatori: ma eravamo soltanto all’inizio.
L’encomiabile lavoro di tutti quelli che hanno contribuito alla valorizzazione delle Catacombe di San Gennaro ha portato in 11 anni (2006-2017) a risultati straordinari. 

Vincenzo, lo sai, il dato che più mi rende fiero di essere un socio della Paranza è il numero di posti di lavoro diretti che abbiamo creato. 
All’inizio eravamo 5 pazzi e oggi siamo 23 dipendenti regolarmente stipendiati, guardo al futuro col sorriso e non vedo l’ora di conoscere i prossimi giovanissimi che sceglieranno di cambiare la loro vita entrando a far parte della nostra famiglia.
L’altro numero straordinario è quello dei visitatori alle Catacombe, siamo passati da 8.000 visitatori all’anno a 100.000! 
Sì, quest’anno festeggeremo il centomillesimo visitatore, sembrava un traguardo lontanissimo nel 2006 eppure eccolo, ci siamo quasi, le nostre statistiche ci dicono che accadrà a fine dicembre, e sarà una grande festa!
E sia chiaro, amico mio, che questo dato non è fine a se stesso, 100.000 visitatori significano nuove occasioni d’incontro fra abitanti del posto e visitatori, e nuove opportunità di crescita economica.

Un altro dato che riempie il cuore sono i 10.000 metri quadrati di patrimonio recuperato grazie a sponsorizzazioni e donazioni private che ci hanno permesso di restituire a tutti numerosi affreschi, mosaici e spazi che prima non erano visibili. Il lavoro quotidiano di tanti pian piano sta riposizionando il Rione Sanità nell’immaginario comune.
Contrastiamo le pagine di cronaca nera con notizie di speranza, promuoviamo la Bellezza per guarire il marcio che ci ha tenuti bloccati per troppo tempo, continuiamo ad imparare facendo.

Tanto è stato fatto e tanto ancora c’è da fare. Se da un lato recuperiamo i luoghi, dall’altro investiamo sulle persone innescando percorsi di crescita personale per ogni componente della Paranza. La formazione è sempre al centro delle nostre strategie. Siamo consapevoli che questo aspetto del nostro lavoro è quello che cambia radicalmente la nostra vita.

Io in particolar modo devo alla formazione una delle cose più belle che mi siano capitate. Nel 2012 sono partito per l’America per studiare business e leadership, si trattava di un corso intensivo di due mesi insieme a 120 giovani provenienti da 52 paesi diversi nell’ambito del “Global Village for future leader and manager”.
Durante questo corso ho conosciuto Sabina e il significato della parola “colpo di fulmine”. Furono due mesi intensi che mi hanno arricchito in un modo unico e indescrivibile, e non mi riferisco solo all’aspetto sentimentale.
Al termine del corso persi di proposito l’aereo che doveva riportarmi a Napoli e viaggiai con Sabina per due settimane tra New York, Boston e Martha’s Vineyard. Poi un aereo per Napoli dovetti riprenderlo, dopo 6 mesi Sabina si trasferì dalla Moldavia a Napoli, nel 2015 ci siamo sposati e un anno fa è nata la gioia della nostra vita, Maria Cristina.

I viaggi continuano ma ora siamo noi ad accompagnare i giovanissimi alla scoperta del mondo e di loro stessi. Prima di partire don Antonio ci benedice con un’antica formula che recita più o meno così:
Che la strada si alzi per venirti incontro,
Che il vento soffi sempre alle tue spalle,
Che il sole ti illumini e ti riscaldi
E la pioggia cada piano sui tuoi campi fino al momento in cui ci ritroveremo.
E che Dio ti tenga lieve sul palmo della sua mano.
Questo vuol dire che nei nostri viaggi una leggera pioggerella non manca mai e la dobbiamo considerare pure di buon auspicio!
Ti saluto Vincenzo, spero di ritornare presto in Terra Santa per recuperare le tappe di quel viaggio straordinario che ci aprì gli occhi al mondo. Ah, spero anche che questo racconto ti sia piaciuto, è la prima volta che mi cimento in questo tipo di scrittura.»
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Ecco amico Diario, per ora il viaggio di Enzo finisce qui, ma solo per ora, perché in realtà il viaggio della Cooperativa La Paranza e del Rione Sanità il viaggio è appena agli inizi. Sì, caro Diario, come direbbe il Mahatma Gandhi questi ragazzi e queste ragazze sono il cambiamento che vogliono vedere nel mondo, e allora ce la faranno, ce la stanno già facendo, ce l’hanno già fatta. Mammà comme so’ cuntento.

Post Scriptum del 29 Dicembre 2017
Caro Diario, ieri alle Catacombe è successo una cosa bella assai, te la faccio raccontare da una foto e da un messaggio di Susy Galeone.
Come dici? Perché proprio da lei? Innanzitutto perché come hai letto dal racconto di Enzo è fin dall’inizio una delle colonne portanti della Cooperativa La Paranza, e poi perché lei è la prossima che racconto alla voce Rione Sanità, dammi un po’ di tempo e poi ti faccio vedere che bella storia che viene fuori.
Allora, tornando a noi, questa è Susy: «100.000 visitatori in un anno, 100.000 visitatori in un anno, me lo ripeto da stamattina e se lo dico a qualcuno la voce mi trema dall’emozione.
Quanti 11 anni fa ci avrebbero scommesso?! Pochi, forse anche a noi per un po’ è sembrata un’utopia. Ma anno dopo anno i frutti del nostro lavoro sono cresciuti e sono diventati sempre più evidenti, i frutti del lavoro di un gruppo di amici che non sapevano fare altro che credere in un sogno. Oggi quello che rende il sogno ancora più straordinario è la consapevolezza che in quel sogno ormai ci credono decine di giovani con cui condivido quotidianamente speranze, progetti, auspici, e la mia vita! Avanti così ragazzi, vi adoro tutti e sono fiera di far parte di una squadra come la nostra! Siete meravigliosi!»
Questa è invece la foto:
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